Voto Visitatori: | 6,74 / 10 (142 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 8,50 / 10 | ||
"Smokin'Aces" è tutto quello che Tarantino avrebbe dovuto fare negli ultimi anni e che non ha fatto. La pellicola di Joe Carnahan, già acclamato specialista del cinema nero-poliziesco, è infatti totalmente moderna ma allo stesso tempo appartiene dal primo fotogramma fino all'ultimo a quel genere, finito negli anni '70, che il regista di "Pulp Fiction" omaggia continuamente.
La sfida vinta di Carnahan è stata proprio questa: riuscire a scrivere e dirigere un film di exploitation allo stato puro senza trasformarlo in una fiera delle citazioni.
I possibili rimandi, volti più che altro all'occhio cinefilo, rimangono circoscritti all'interno del genere, o meglio dei generi, e non oltrepassano mai quei confini. Ed ecco che la pellicola non è più citazione ma Cinema.
Quando si oltrepassano i limiti imposti dal b-movie allora quel Cinema diventa gioco e divertissement del regista col pubblico. Non è il caso, questo, di Smokin'Aces, in cui il poliziesco si contamina con l'azione, lo splatter, lo humour nero e tanto ritmo narrativo.
Nella follia visiva e creativa troviamo personaggi che sembrano usciti dalle pagine di un racconto di Joe Lansdale: cecchini con benda sull'occhio, nazisti burloni ricalcati sulle fattezze dei Motorhead, loschi cacciatori di taglie, Bonneville del '66 e mazzi di carte assassini, motoseghe e mafiosi, sbirri, avvocati bizzarri e voilà, folli e raffinati maestri dell'antica arte della tortura. Non mancano naturalmente le donne da urlo, come la brava Alicia Keys, qui nelle vesti di un'assassina a contratto.
Il tono del film è corale, tutti i personaggi alla fine si ritrovano nello stesso punto ma in momenti diversi, quasi una sorta di Paul Thomas Anderson in salsa pulp; e vai col divertimento dunque: l'enorme caos allegro e scanzonato messo in piedi da Carnahan farà scattare anche il più rigido degli spettatori.
Se però l'abbuffata di personaggi offre spazio alla fantasia weird dell'astuto regista, i drammi umani non sono certo lasciati da parte, e possono contare su ottime caratterizzazioni di uomini e donne (e un bambino) che hanno perso ogni speranza o che semplicemente rifiutano di vivere secondo legge, qualsiasi essa sia.
In fondo nei personaggi come Buddy "Aces" Israel, a cui tutti cercano di strappare il cuore, nei poliziotti mandati allo sbaraglio dai poteri forti e in qualche sicario sbandato c'è una sorta di disperata umanità, un legame che viene a formarsi con il pubblico (anche se non troppo forte, sia chiaro) e che alla fine non si spezza. Carnahan conosce le regole della tragedia, sa come gestire le situazioni più difficili e soprattutto riesce a imbastire una tensione drammatica che sfocia nella rappresentazione di uno degli omicidi più freddi del recente cinema, e che vede protagonista un irriconoscibile e occhialuto Matthew Fox, già medico affascinante della serie tv "Lost".
Merito di tutto questo va in gran parte anche a un cast molto azzeccato che unisce attori molto noti al grande pubblico, bravi caratteristi e giovani ma talentuosi sconosciuti.
Torna Ray Liotta e torna Andy Garcia, anacronistico capo del Federal Bureau, ma anche Ben Affleck, in versione baffuta e in verità molto bravo, gigione nella sua parte di accalappia ricercati e ultimamente trasformato in caratterista.
Illumina e muove la macchina da presa il calabrese Mauro Fiore, ex- collaboratore di quel Janusz Kaminski ormai fedele direttore della fotografia dai toni freddi e lucidi dei film di Spielberg. A differenza di Kaminski, Fiore usa i colori caldi e tipici delle più belle giornate di primavera, creando così un bellissimo effetto di contrasto con la vicenda satura di violenza, sparatorie e morti ammazzati.
Altro merito del film risiede nella colonna sonora che mischia funky e un po' di rock progressive, oltre un famoso brano di Ennio Morricone che si snoda in una scena dagli esiti inaspettati, ma anche comici.
L'ironia di alcuni dialoghi e situazioni evita un'atmosfera troppo seriosa che avrebbe danneggiato il film, basti pensare infatti al trio dei fratelli Tremor, hitleriani convinti e assatanati, ma terribilmente simpatici.
Il regista, infine, evita di cadere nel pantano che sceneggiature piene di avvenimenti come questa possono comportare e tira dritto e spedito fino al finale, particolare non per il colpo di scena ma per la conclusione delle storie dei personaggi, senza inutili storielle aggiunte solo per ingrossare le fila; tutto quello che c'era da raccontare lo vediamo nel corso dei suoi scorrevoli 110 minuti.
La regia di Carnahan non ha, fortunatamente, pretese artistiche, ed è sicuramente di mestiere; un ottimo mestiere che gli permette di volare da una scena all'altra, da un viso all'altro, senza estetismi patinati da videoclip o alla Tony Scott. Le inquadrature sono oltremodo originali, poco uso di steadycam (qualcuno sia lodato) e molti giochi di riflessi e unione tra parole e immagini, si veda a tal scopo la sequenza dell'ascensore che vede l'agente Carruthers alle prese con il cattivissimo killer dalla lama facile Acosta.
Un modo di dirigere, il suo, che sfrutta gli spazi scenografici e la musica per costruire inquadrature particolareggiate, usando per l'appunto quell'immaginazione creativa che dovrebbe essere propria di un regista. E' evidente che dietro la macchina da presa c'è qualcuno che si è divertito a lavorare e a scrivere il suo film, dal quale sarebbe deleterio non farsi coinvolgere.
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Recensione a cura di matteoscarface - aggiornata al 13/07/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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