Voto Visitatori: | 6,71 / 10 (136 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 9,00 / 10 | ||
This train...carries saints and sinners
This train...carries losers and winners
This train...carries whores and gamblers
Bruce Springsteen, "Land of hope and dreams"
2031. L'umanità è stata quasi spazzata via da una improvvisa era glaciale, causata da un avventato tentativo di rimediare al global warming causato dall'umanità stessa. Gli unici sopravvissuti vivono a bordo di un treno, una specie di Arca di Noè della società umana, lo Snowpiercer, che corre intorno alla terra traendo energia da un motore perpetuo. Sul treno la società umana è suddivisa in classi: i derelitti nelle ultime carrozze, carri bestiame dove si vive come in un campo di concentramento, mentre nei lussuosi vagoni anteriori, che vedremo nella seconda parte del film, vivono pochi privilegiati che hanno preso il potere. Nelle ultime carrozze cova una rivolta. Verrà capeggiata da Curtis, sorta di eletto prescelto per una rivoluzione imminente.
Passando attraverso colpi di scena accuratamente dosati, scenari sempre più sensazionali mano a mano che, procedendo di vagone in vagone verso la testa del treno, i rivoltosi si fanno strada attraverso la società dei ricchi, lo svolgimento del film seguirà le precarie sorti di questa rivolta, sino ad una conclusione a sorpresa, imprevedibile, in cui si cela il senso - inatteso e sconvolgente - di una riflessione socio-politica di notevole spessore. Senza naturalmente svelare il finale, diciamo solamente che con esso il film acquista il sapore di un'amara allegoria hobbesiana sull'impossibilità della democrazia. In effetti Curtis si troverà a fronteggiare nella figura di Wilford - l'odiato creatore e proprietario del treno - un'incarnazione del Leviatano di hobbesiana memoria. E Curtis a quel punto apprenderà di essere sì, effettivamente, l'eletto. Ma non esattamente nel senso che immaginava.
"Snowpiercer" - che ha aperto, fuori concorso, il festival del cinema di Roma 2013 - è l'esempio di quanto fruttuosa possa essere al cinema la contaminazione fra fonti e sensibilità culturali diverse e lontane. Il film è tratto da una graphic novel francese ("Le transperceneige") di Jacques Lob, Benjamin Legrand e Jean-Marc Rochette. La produzione e il cast sono internazionali: il film è parlato in inglese e vi figurano interpreti del calibro di Tilda Swinton (memorabile la sua interpretazione, caricaturale e cattivissima), John Hurt e la star coreana Song Kang-ho, che affiancano Chris Evans nel ruolo di Curtis. La regia è del coreano Bong Joon-ho, lo stesso dell'apprezzatissimo cult horror "The Host" del 2006, che ha curato l'adattamento di "Snowpiercer" e l'ha co-sceneggiato, imprimendo all'opera una forte impronta personale.
Lo spunto allegorico socio-politico è vicino, sulla carta, a film post-apocalittici come "Elysium" di Neill Blomkamp, altra pellicola del 2013 che mette in scena un'analoga distopia ambientata in un immaginario futuro specchio della divisione in classi che contraddistingue ogni civiltà umana, ma che, all'inizio del XXI secolo, sembra essere premonizione di un rinnovato acuirsi del divario fra due classi: da una parte un'élite aristocratica, dall'altra una massa di indigenti.
La "classe media" è stata un'illusione. Nel secondo decennio del XXI secolo appaiono purtroppo più che mai moribonde le speranze che il welfare state aveva regalato ai nostri padri nella seconda metà del XX secolo (nei paesi occidentali, o occidentalizzati come la Corea del Sud).
Così le opere che rappresentano scenari futuribili sempre più neri, che rispecchiano l'attuale tendenza del new world order, si vanno moltiplicando al cinema come altrove. Si pensi, per fare solo un altro esempio, al non del tutto disprezzabile "In time" di Andrew Niccol (2011). Spesso, però, come in "Elysium", succede che uno spunto di partenza buono è rovinato da uno sviluppo della trama piegato agli stilemi di un cinema d'azione convenzionale e, soprattutto, noioso. Le ambizioni vengono schiacciate dalle megaproduzioni, che impongono stanchi e abusati codici da blockbuster. In questo panorama "Snowpiercer" svetta invece come una piacevolissima sorpresa: anticommerciale e intransigente; narrativamente innovativo e visivamente notevole.
Quella che in un film come "Elysium" è metafora chiara da subito, e rimane unicamente lo scenario di una classica e risaputa vicenda di riscatto, qui non è che la premessa. Fa da sfondo a una vicenda i cui sviluppi portano infine alla vera, traumatica rivelazione conclusiva, nella quale si cela l'autentica metafora supportata dal film.
Ciò che fa di "Snowpiercer" un film di livello superiore è poi anche la capacità di svariare fra toni e registri diversi, dall'horror che non lesina la frontalità della violenza (in tipica chiave orientale), a momenti drammatici e pause quasi liriche. Il tutto legato da un filo conduttore grottesco, venato di humor nero.
Bong poi possiede un superbo gusto per la messa in scena che nella seconda parte, ambientata nei vagoni dei "ricchi", si fa barocca e visionaria. Ogni vagone è una diversa tappa e a ciascuno si accompagna un diversa chiave narrativa.
"Snowpiercer" è un mirabile esempio di distopia futuribile, con la quale l'acredine della poetica di Bong - di stampo chiaramente anarchico - mette a nudo in modo inappellabile il male che è essenziale al potere. E il film, allo stesso tempo, rappresenta la riuscita convergenza tra modalità lontane di far cinema. Da un lato, la feroce impronta coreana con scene, spesso spiazzanti, di brutale violenza. Dall'altro, lo svolgimento della trama, i colpi di scena, il ritmo serrato della narrazione, rimangono appetibili per il pubblico occidentale. Il film, però, per fortuna, resta duro, se non ostico. Mai conciliante, ma sempre crudo soprattutto nelle sue conclusioni, le quali nulla concedono al lieto fine né dal punto di vista della trama, né, tantomeno, di senso complessivo. Grazie al suo vivido messaggio, storicamente comprovato, e ciononostante terribile (impossibile scampare al potere; impossibile che la rivoluzione porti a un giusto potere), "Snowpiercer" non rischia nemmeno per un istante di risultare un film giocattolo.
Probabilmente il progetto "Snowpiercer" è troppo intransigentemente "autoriale", per riscuotere una rilevante fortuna commerciale nell'immediato. Almeno in Italia. Sarà un instant-cult per pochi, ma un futuro cult per cinefili non necessariamente orientalofili. Da annali del cinema: di genere, e non solo.
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Recensione a cura di Stefano Santoli - aggiornata al 26/02/2014 18.35.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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