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In un paese affacciato sul mare, nei pressi di Valencia, giunge Ulisses (Jordi Mollà), un giovane professore di letteratura dall'animo inquieto che trova nella mitologia antica alcune chiavi di lettura del suo presente esistenziale. Ulisses ama il mare, la pesca, le barche a motore.
Il professore si sistema in una pensione dove conosce Martina (Leonor Watling), la giovane figlia dei proprietari che fa servizio anche ai tavoli. Tra i due nasce subito un'intesa, gli occhi si cercano e quando si incrociano gli sguardi si animano di desiderio. Finiscono per innamorarsi. Martina è attratta dalla completezza di Ulisses: bello e colto; lui ama sia la bellezza che la spontaneità della ragazza.
Ulisses si sente da lei ispirato e recita versi dell'Eneide che illuminano di poesia la loro esistenza, preannunciando al loro amore un percorso passionale nel sublime.
Martina sposa Ulisses rinunciando in un primo momento a una vita facile con Sierra (Eduard Fernandez), un impresario edile dall'aspetto un po' insolente che da tempo gli faceva la corte. I due hanno un figlio e vanno a vivere in una casa tutta loro, ma ben presto una oscura inquietudine, forse inconscia, e la noiosa vita in un paese che rimane in parte straniero fanno propendere Ulisses per la fuga.
Una mattina il professore esce in mare con la sua barchetta a motore di nome Martina, ma invece di andare a pescare raggiunge un grosso yacht dove l'attende una bella signora conosciuta a una festa. Salito a bordo Ulisses abbandona a un certo punto la sua barca. Approfittando di un temporale in arrivo la scioglie e la lascia andare alla deriva. Senza nessuno a bordo il natante ritrovato farà credere alla gente che Ulisses è morto.
Lo yacht punta poi verso l'isola di Sumatra, nell'arcipelago indonesiano, dove Ulisses ha deciso di cambiare vita.
Martina, quando i suoi compaesani troveranno la barca del marito semidistrutta tra gli scogli, soffrirà moltissimo, nonostante ciò deciderà di risposarsi, solo per convenienza. Forse, un po' paradossalmente, il matrimonio di interesse basato su uno scambio dove l'amore è assente le permetterà di rimanere fedele al ricordo del marito defunto, che considera l'unico amore della sua vita.
La donna sposerà il ricco Sierra, suo ex pretendente, che riconoscerà il figlio e accoglierà i due nella sua lussuosa villa, colmandoli di attenzioni e di agi.
Ulisses si rifarà di nuovo vivo al paese? La sua inquietudine di fondo, la forza pulsionale del suo nomadismo colto e poetico si risveglierà anche in Sumatra portandolo a nuove drammatiche scelte? Ulisses è sempre innamorato di Martina tanto da sentire il bisogno irrefrenabile di ritornare da lei?
Scilla e Cariddi. "Son de mar" rappresenta l'itinerario passionale e difficile di un amore angelicato al quale la bellezza fisica dei protagonisti conferisce un contrasto di grande effetto estetico e raffinatezza erotica. Quando, metaforicamente, l'amore dei due attraversa, nel suo avventuroso itinerario, il noto stretto di mare, mitologico, di Scilla e Cariddi (oggi lo stretto di Messina) tende a naufragare, tirato giù in fondo al mare dal mostro Scilla a salvaguardia di un confine della conoscenza, gelosamente serbato, custodito in omaggio al bisogno di sicurezza dell'uomo: tipico di ogni epoca
Ulisse nell'Odissea, si sa, non poteva rimanere ad Itaca, doveva seguire le sue spinte pulsionali provenienti da un inconscio oscuro, le cui inquietudini lo portavano ad una audacia soprannaturale, allontanandolo sempre più dal suo paese, per tanto tempo, in cerca di nuovi mondi.
Non a caso perciò Bigas Luna dà al protagonista del film il nome di Ulisses: vuole sottolineare alcuni paralleli narrativi e metaforici del personaggio con la famosa opera di Omero.
"Son de mar" è un film incredibilmente sottovalutato dalla critica, stroncato per una presunta banalità della sua storia d'amore e per un modo di raccontare sbrigativo e scontato, di scarso interesse estetico e spettacolare.
Il film invece è tutt'altro. Bigas Luna, senza infamia e senza lodi, tesse una trama narrativa di buon pregio fotografico e simbolicamente amalgamata, scorrevole, senza ridondanze o complicazioni sceniche: difficili da seguire al momento della visione.
Inoltre i dialoghi sono intelligenti, da neorealismo, tanto per dare un'idea, essenziali e diretti. Essi contribuiscono alla creazione di un'opera cinematografica di tutto rispetto e sono ben combinati con un linguaggio visivo ricco di inquadrature ricercate, abbondanti di metonimie (il coccodrillo) e metafore (episodi dell'Eneide e dell'Odissea) che parlano da sole, sempre in modo pertinente, al senso da dare di volta in volta alle scene e alla emotività da suscitare in un certo contesto narrativo.
La narrazione suscita commozione e appassiona con un erotismo molto avvolgente fotograficamente, rappresentato con arte, il quale prende spunto da una pittura rinascimentale. Esso non è mai volgare, perché controllato dalla forza dell'amore sublime espresso dai personaggi ed è preso in un gioco di corpi e anime che si cercano e si rincorrono con ansia, sapendo di essere ormai preda di un destino oscuro, che non offre alcuna garanzia di felicità costante.
Protagonista del film è perciò l'amore, incarnato nella storia di una coppia moderna, in un paese che conserva i sapori di un'età metà novecento incontaminata dalla volgarità, una passione travolgente impregnata di romanticismo che non si piega mai nella banalità o grossolanità espressiva, perché si rifà a un sentimento antico, che sembra incorruttibile, presente oggi solo per un attimo nella lettura delle opere mitologiche dell'antichità.
Bigas Luna non si pone il problema di capire l'amore più in profondità, scovando le sue varie sfumature, i suoi paradossi, i suoi bizzarri meccanismi inconsci che a volte ne fanno semplicemente un sintomo nevrotico, una follia dissociativa non sempre benefica o portatrice di una salute psichica capace di sfociare nella propositività.
Al regista spagnolo interessa rappresentare la furia devastatrice dell'amore, la linea del suo evolversi pulsionale, tracciandone spesso una parabola chiara ma che, paradossalmente, più mostra, a volte magistralmente, la spontaneità dei personaggi, maggiormente nasconde ciò che l'amore sottende in termini di strutture rappresentative inconsce: uniche rivelatrici degli investimenti psichici problematici del passato infantile e adolescenziale.
Più ci si abbandona al sentire immediato, sembra suggerire il film, meno ci si conosce; più si segue l'istinto che racchiude il sentimento, più si vede svanire l'occasione di una elaborazione dell'inconscio: vero serbatoio delle logiche dell'amore.
Può la passione allora, attraverso una parola precisa sul suo senso oscuro strappata con la psicanalisi, divenire altro? Vera felicità, propositiva ed equilibratrice della vita, assenza di bisogno, oblio dell'idea della morte, amore sincero, sicuro, che mette al riparo da ogni paura della vita? Il film non sembra voler dare risposte a questo tipo di domande ma anche tra le righe di un film si può leggere qualche dettaglio dell'inconscio o di un altro sapere, forse appartenente all'autore stesso, qualcosa che non riesce a far quadrato con il resto sistematico dell'opera, rivelando da una fessura la luce sottile di un mondo altro, inesplorato.
In questo caso proprio per questo Scilla e Cariddi rappresentano il confine tra il conscio e l'inconscio, l'amore che tende a naufragare nello stretto anela a svelare il mare dell'inconscio, la verità sul proprio senso, anche a rischio di perdere con la conoscenza dell'enigma la forza pulsionale della passione, ma a vantaggio di un sentimento più sicuro, senza ansie, dove l'amore passa dai due soggetti all'oggetto della conoscenza, all'amore per l'obiettività, trasformando la passione in un sentimento a due, altro, temperato, eterno e riconoscente, animato dalla poesia soave ammiratrice della bellezza e della pace a cui porta l'amore per l'apprendimento più profondo del mondo emotivo?
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 14/09/2011 15.18.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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