Voto Visitatori: | 7,84 / 10 (89 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 9,00 / 10 | ||
Il sipario del film si apre sulle miniere romane della Libia nel 79 a.c., Spartaco è uno schiavo di straordinaria costituzione fisica e integrità psichica, di origine trace (oggi parte della Turchia occidentale e della Grecia), addetto al trasporto delle pietre minerali ricavate dalle rocce, un giorno, dopo aver soccorso un compagno svenuto dalla fatica, Spartaco viene aggredito da un soldato romano addetto alla sorveglianza, che lo frusta selvaggiamente, il trace si ribella prontamente addentandogli con rabbia una gamba. Questo episodio segnerà il destino di Spartaco. Incatenato per punizione a una roccia, sotto un sole cocente, prossimo all'agonia, diventa facile preda di aquile e corvi. Lo salva dalla morte l'arrivo sul posto di Lentulo Battiato (un ottimo Peter Ustinov) padrone a Capua di una rinomata scuola di gladiatori romani, il quale, rimasto colpito dalle descrizioni su ribellismo di Spartaco, fattegli dall'ufficiale romano, decide di prenderlo con sé per farlo diventare un buon gladiatore.
Spartaco a Capua accetta rassegnato le regole della scuola, finché esse vengono rispettate da tutti. Ma un giorno Lentulo Battiato, per non inimicarsi Crasso (Laurence Olivier), politico appartenente ai vertici dell'Impero romano, e per non rinunciare a una grossa somma di sesterzi da lui offerta, decide di metter su nella sua arena di Capua un duello a morte tra gladiatori, uno spettacolo che viola l'etica della prestigiosa scuola. Il trace nel duello con un suo compagno nero avrà la peggio, ma il nero gli risparmierà generosamente la vita e cercherà di uccidere Crasso arrampicandosi sul terrazzo dal quale egli assisteva allo spettacolo. Un soldato romano prontamente lo trafiggerà nella schiena con una lancia.
Questo tragico episodio metterà drammaticamente in fermento gli allievi gladiatori di Capua. Un giorno durante l'ora di pasto, a seguito di una grave mancanza di rispetto verso Spartaco da parte del maestro stesso della scuola, tutti assistono alla reazione drammatica del trace, che soffoca con le mani il maestro in una pentola di minestra, il fatto sanguinoso, ma giusto, porterà tutti gli allievi gladiatori a ribellarsi. Gli schiavi fuggono da Capua, e si avviano, comandati da Spartaco, verso il sud d'Italia, con direzione il porto di Brindisi da dove contano di ritornare in patria. Lo scontro con i romani diventerà inevitabile, perché Crasso si opporrà tenacemente al loro ritorno in Tracia da uomini liberi: vuol mantenere dell'Impero Romano un immagine di forza, autorevolezza e prestigio.
Il film, prodotto dall'attore K. Douglas è tratto dall'omonimo romanzo (1952) di Howard Fast ed è sceneggiato da Dalton Trumbo.
In un primo tempo Douglas aveva ingaggiato il regista Anthony Mann per poi sostituirlo, a causa di forti divergenze sui modi stessi di girare il film, con Stanley Kubrick che a quei tempi era considerato un regista-autore di sicuro avvenire: già apprezzato in film come "Il bacio dell'assassino", " Rapina a mano armata", "Paura e desiderio, "Orizzonti di gloria".
Kubrick dà al genere mitologico hollywoodiano, allora in voga, una direzione diversa, allontanandosi da una certa tradizione espressiva basata prevalentemente sulla ieraticità dei modi recitativi dei personaggi protagonisti dei film, Kubrick propone con questo film dialoghi e scene dai codici nuovi, più elaborati, sia per i concetti che per l'esposizione visiva delle azioni. A volte questo non avviene in modo del tutto congruo al periodo storico e culturale di riferimento, si avvertono qua e là modi discorsivi e di costume troppo moderni in non perfetta sintonia con quanto sta accadendo storicamente in quel preciso contesto culturale dell'Impero romano. Kubrick alza la qualità del genere soprattutto con la fotografia, sempre molto ricercata e luminosa, con raffinati dettagli e grand'angoli panoramici di una nitidezza e profondità di campo che lasciano stupefatti, con giochi di luce in punti selezionati e studiati in modo funzionale all'equilibrio estetico della composizione misurati da una macchina da presa tecnologicamente sempre aggiornata guidata con grande professionalità: un gioco espressivo fotografico in grado di sostituirsi in modo spettacolare e preciso a lunghi periodi di dialoghi.
La scena finale della battaglia tra Spartaco e Crasso, con poche parole ma con un montaggio-linguaggio superlativo dà una comprensione pressoché totale delle tattiche in gioco, grazie a una sequenza di riprese che mostra i movimenti degli schieramenti lentamente, in tutta la loro logica elaborata a tavolino dai comandanti.
Nel primo scontro tra l'esercito degli schiavi e quello dei romani, con i primi già schierati in modo frontale in attesa dello scontro diretto con la prima coorte che avanza a passo d'uomo, è da sottolineare un effetto estetico dovuto alla bravura fotografica di Kubrick. Dopo che la macchina da presa si è soffermata a lungo in modo alternato sugli sguardi degli schiavi e dei soldati romani ancora distanti, fa un primo piano delle iniziali file dell'esercito degli schiavi, lasciando vedere dall'alto anche un leggero spazio verde vuoto davanti alla prima fila, dopodiché improvvisamente quando ancora sembravano distanti compaiono gli elmi e le lance dei primi soldati romani che sembrano ormai a pochi metri dagli schiavi. L'effetto sorpresa è straordinario tanto da destare stupore visivo.
Il film, sul piano etico filosofico, sembra voler mandare un messaggio non tanto antischiavista in assoluto, quanto di opportunità relazionale valida in ogni tempo, sottolineando l'importanza del rispetto in ogni situazione della dignità umana e delle regole etiche pattuite, mancando il quale, vedi l'episodio iniziale della miniera e lo scontro a morte tra gladiatori, possono scatenarsi una serie di eventi drammatici esponenzialmente sempre più esplosivi tanto da mettere, come in questo caso, seriamente in difficoltà tutto l'esercito dell'Impero Romano.
Molti schiavi dell'occidente, a seconda dell'epoca, non si sono mai ribellati, nonostante la loro forza contrattuale e la rappresentatività politica, perché a seconda delle culture in cui erano inseriti, venivano trattati con riguardo e a volte con vera e propria amorevolezza tanto da far dimenticare loro la triste condizione di schiavitù.
La liberazione degli schiavi dipendeva, non tanto dai loro padroni, ma dal potere politico, da un sistema amministrativo sovente complesso che rappresentava anche pregiudizi, xenofobie, razzismi, vasti interessi di compravendita umana. Di quest'ultima spesso non si voleva parlare per timori esagerati di disordini sociali.
In seguito, nonostante i vari neonati liberalismi, che ritenevano la schiavitù un danno per le loro economie ma i cui principi liberali stentavano ancora a divenire culture mature nelle classi dirigenti, la schiavitù rimarrà in vigore ancora per lungo tempo.
"Spartacus" non è un film progettato in tutti i suoi aspetti, anche distributivi, da Kubrick, a differenza di quanto accadeva frequentemente con gli altri film del grande regista, di cui lui concepiva tutto, quest'opera risente in qualche modo della presenza di più mani plasmatrici, tanto che lo stesso Kubrick, dalle numerose interviste rilasciate, ha fatto capire di non averla molto amata.
In effetti, a parte la grande tecnica e l'invenzione fotografica che porta con chiarezza la sua firma in tutte le scene, Spartaco non ha una sceneggiatura del livello di cui ci ha abituati Kubrick, è assente quel suo stile inconfondibile che rendeva l'opera filmica ben strutturata anche letterariamente. Troppi gli stacchi improvvisi di scena, con riprese che mal si riallacciano al senso messo in gioco in precedenza, numerose le questioni e le problematiche politiche del senato messe in campo e abbandonate senza un sufficiente sviluppo, inoltre le psicologie dei personaggi brillano di una sufficiente messa a fuoco solo per pochi attimi, per poi andare in pasto al populismo più sub culturale che crede sia alla parola d'ordine precisa dettata da chi ha autorità assoluta sia allo spettacolo cinematografico basato sopratutto sull'azione sfrenata che rilascia miticamente un vincitore preciso.
Bene gli attori, in particolare Kirk Douglas che si immedesima nella parte di Spartacus con straordinaria professionalità, tanto da riuscire a fondere la finzione con la realtà, la fantasia con il reale, l'immaginazione con il gusto del mito. Anche se c'è da dire che non è lo stesso di "Orizzonti di gloria", il suo modo di muoversi, il linguaggio del suo sguardo, la modulazione delle pieghe del viso non sembrano dirette o suggerite da Kubrick, ma espressione diretta di un suo modo di concepire il cinema e la recitazione, intesi un po' come specchio mitologico del gusto popolare.
Jean Simmons (Varinia) dà alla sua bellezza, nel personaggio che interpreta, un volto umano riuscito, che la rende prigioniera di un orgoglio di purezza interiore che neppure il suo ruolo di prostituta della scuola di Capua riesce a scalfire. In un contesto scenico difficile, di sofferenza profonda e tenue speranze, dove nulla può essere paragonato alla sensualità che caratterizza una normale coppia romana libera, Varinia conquista il pubblico con la sua morbidezza espressiva sublimata, ma dà anche al cinema mitologico una svolta scandalistica di un certo peso: il personaggio di Varinia accetterà per il bene del figlio di vivere con un altro uomo, con Spartaco ancora vivo e condannato a morte, questo accentuerà rispetto agli altri film mitologici, caratterizzati da allusioni un po' puritane, il cambiamento hollywoodiano messo in moto da Kubrick.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 13/06/2012 15.19.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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