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La piccola Stella, cresciuta in un bar malfamato da genitori insensibili e distratti, finisce per caso in una scuola media signorile, dove patisce ovvii complessi di inferiorità. Li supererà, aiutata da una coteanea più colta, ricorrendo allo studio come forma di elevazione e sublimazione.
Una poetica comédie savante sull'adolescenza.
Il lavoro della francese Sylvie Verheyde è stato presentato a Venezia coi buoni voti di Nanni Moretti, che, evidentemente, si conferma ottimo intenditore di cinema.
Difatti "Stella", che sembrava destinato a cineteche e cinefili, ha invece ottime qualità per aprirsi ad un pubblico ben più vasto, raccontando vicende ed elementi psicologici di respiro universale, oltre a quadri di ambiente e aspetti sociologici di grande attualità.
La stagione dell'adolescenza è una delle predilette dagli autori di tutti i tempi, portati a idealizzare nostalgicamente il tempo della gioventù perduta; dalla lirica greca, alla poesia dello stil nuovo, fino all'epoca romantica, molti l'hanno decantata come un'epoca felice, mentre sembravano non accorgersi di quanto fosse complessa e piena di turbe la delicatissima fase.
Poi, finalmente, il pragmatismo della cultura laica e della ricerca scientifica, e soprattutto la psicologia moderna, hanno colmato la lacuna, individuando le turbe e le problematiche di questa difficile stagione della vita; legate innanzitutto al senso di inadeguatezza di individui "ibridi", non più bambini, ma non ancora adulti.
L'adolescente ripudia il suo stato infantile, brucia dalla voglia di crescere, e si confronta continuamente coi "grandi" per la voglia ansiosa di diventarlo; non avendone però gli strumenti ha paura di tutto, e vive in stato di perenne insicurezza. Quindi si confronta velleitariamente coi genitori, con atteggiamenti di sfida e di ripudio, mentre avrebbe un assoluto bisogno di guida e protezione. La sua insicurezza, poi, ingigantisce a dismisura nella dimensione più inquietante, della sfera erotico-sessuale: vere "Colonne d'Ercole " per il passaggio all'età adulta.
Questa delicata fase della vita è raccontata sovente, e in modo proiettivo, in generi espressivi diversi: in letteratura, ad esempio, da Dacia Marini col suo emblematico "L'età del malessere", in cui la giovane Enrica, squallida famiglia alle spalle, vive in modo sonnambulesco il suo primo erotismo, senza capire cosa le succeda intorno, paralizzata dalla paura di vivere. Al cinema, invece, citiamo la ragazzina di "Zazie dans le métro" (Louis Malle), e soprattutto il 14enne Pierre Léaud de "I quattrocento colpi", di Truffaut.
Quest'ultimo ha una storia molto simile a quella di Stella, che, altrettanto irrequieta per attirare l'attenzione degli adulti e offesa dalla loro insensibilità, demerita vergognosamente a livello scolastico e, come il giovane Léaud, trova conforto unico nell'amicizia con una coetanea, più equilibrata e affettuosa.
La piccola Stella troverà però il proprio riscatto, individuando nello studio e nella scuola uno strumento unico e sicuro per la sua crescita, elevazione sociale ed emancipazione individuale (messaggio di prim'ordine per i giovani di oggi: studiare per emergere e non infoltire le lunghe file di disoccupati).
In ciò risiede un altro elemento significativo del film.
Il riscatto della protagonista non passerà grazie a personaggi del milieu borghese parigino della sua scuola, ma per merito dell'amichetta ebrea-sudamericana, proveniente da una famiglia di intellettuali argentini transfughi politici: quasi una premonizione, negli anni '70, della società multietnica a venire, quando ancora il proletariato urbano qui rappresentato non era in prevalenza composto da immigrati extra-comunitari.
Va detto che la complessa materia è trattata con toni straordinariamente delicati dalla bravissima regista, che mai cede ad effetti facili e sguardi morbosi, anche nei momenti più difficili (l'avance del pedofilo), e sa usare i toni raffinati dell'accenno allusivo, anziché dell'ostentazione voyeuristica, della riflessione e della preterizione, invece del proclama patente e scabroso; fors'anche, magari, trattandosi di un vissuto personale.
Gran parte di merito va riconosciuta anche alla piccola protagonista, dall'espressione intensa e molto compresa nel ruolo, ottimamente accentuata dalla regia con l'uso sapiente e reiterato del primo piano per tutti i personaggi.
Anche la pittura degli ambienti, soprattutto dello squallido bar, e la fotografia degli esterni nella triste e uggiosa campagna del Nord risultano assolutamente degne di nota.
Per concludere, un film di rara qualità, con attenzione superiore alla psicologia degli individui, anziché a situazioni roboanti di facile effetto, come in troppi film commerciali, di mera evasione.
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 14/01/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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