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Vincitore di ben cinque premi Oscar nell'edizione 2012 e di altri importanti riconoscimenti internazionali nel corso del 2011 il film "The Artist", scritto e diretto dal francese Michel Hazanavicius, può a pieno titolo entrare nella storia del cinema per la sua peculiarità di fondo: dal 1929, anno di nascita degli Oscar, è il secondo film muto a vincere l'agognata statuetta e soprattutto si segnala come unico esempio di film non parlato in un'epoca che fa del rumore il suo credo.
Girato a colori con una frequenza più bassa di fotogrammi al secondo per ricordare l'aspetto delle pellicole anni Venti e con una gamma di grigi che varia a seconda delle situazioni - lucido nei momenti sfavillanti e felici, più cupo e grigio in quelli tristi - "The Artist" cura minuziosamente scenografie, ambientazioni, trucco, dando allo spettatore la sensazione di fare un salto a ritroso nel tempo.
Retrò è anche la colonna sonora che accompagna la storia firmata da Ludovic Bource ed elemento di primaria importanza poiché, in una storia senza parole, all'accompagnamento musicale è dato l'ingrato compito di introdurre i vari passaggi e di sottolinearne i momenti clou: pensiamo alla scena di Peppy che si stringe appassionatamente alla giacca del divo e a come cambia la scena quando la ragazza è sorpresa da Valentin.
Alla cura tecnica si aggiunge la recitazione accurata dei protagonisti, in grado di modulare coerentemente le espressioni facciali e la mimica e riportando in auge nel cinema la prossemica che invece è tanto importante nella comunicazione quotidiana. La storia si regge esclusivamente su gesti e sguardi e il pubblico, abituato ai film d'azione tutti effetti speciali visivi e sonori, impara l'arte della riflessione attraverso l'osservazione delle azioni compiute dagli attori.
La trama del film non è innovativa, contiene spunti che arrivano da più pellicole del passato da "E' nata una stella" a "Viale del tramonto" passando da "Cantando sotto la pioggia" ai film musicali interpretati da Fred Astaire. Nell'omaggio del regista anche citazioni a pellicola: melodramma, commedia, amore, caduta e ascesa.
Siamo nel 1927, trait-d'union tra due epoche distinte e anno di uscita del primo film parlato, "Il cantante di jazz". George Valentin (Jean Dujardin - il cognome è chiaramente un omaggio al divino Rodolfo), un bellimbusto con baffetti e capelli impomatati che ricorda molto il divo del muto Douglas Fairbanks, è all'apice del successo. La sua fama si deve alla grande espressività facciale e anche a un delizioso cagnetto dal quale il divo non si separa mai, che "recita" con lui in gustosi siparietti. L'interpretazione del cagnolino (omaggio al cane Astra della coppia di detective anni Trenta Nick e Nora Charles) ha suscitato notevole simpatia tanto da pensare di proporre nel futuro una candidatura anche per gli animali attori.
Il destino fa scontrare l'attore Valentin con Peppy Miller (Bérénice Bejo), una giovane fan dai capelli corti alla maschietta (moda diffusa dopo la prima guerra mondiale che insieme all'accorciamento delle gonne testimonia un primo movimento femminista). La ragazza riesce poi a partecipare a un film del divo come comparsa. Tra i due sembrerebbe nascere una simpatia ma lo smisurato ego dell'uomo, innamorato solo di se stesso, e la differenza d'età vincono il sentimento e le strade dei due si separano.
La successiva decisione della casa di produzione di Valentin di passare al sonoro porta a un rovesciamento di ruoli repentino: il divo che rifiuta di parlare (forse per impreparazione e alterigia) si ritroverà ben presto solo e in bolletta mentre la giovane starlette raggiungerà rapidamente la fama.
Uno dei rari momenti sonori del film vede Valentin protagonista di un sogno allegorico subito dopo aver fatto il gran rifiuto al suo produttore: intorno all'attore il mondo è pieno di suoni ma Valentin, pur volendo, non riesce a parlare. E' condannato a tacere e questo lo porterà alla rovina.
L'azione si sposta agli anni della Grande Depressione (1929-1932) e abilmente descrive i due mondi paralleli dei due protagonisti: da una parte l'ascesa professionale e sociale della giovane Peppy e dall'altra la decadenza di Valentin.
Abbandonato da tutti (persino il suo vecchio produttore, interpretato da John Goodman, non esita a chiudergli la porta in faccia) tranne che dal fedele autista tuttofare, il "lungagnone" James Cromwell (faccia arrivata direttamente dagli anni Trenta), l'uomo passa le sue giornate chiuso in casa a meditare sugli antichi allori e dedito all'alcol (siamo nell'epoca del Proibizionismo). A nulla valgono i silenziosi tentativi d'aiuto da parte della bella Miller: Valentin, prigioniero dei suoi errori, rifiuta di cedere ancora una volta al sentimento e si lascia andare all'autocommiserazione. Ma proprio quando tutto sembra perduto arriva la svolta e l'inevitabile lieto fine...
La vicenda vuole meditare sul valore della fama tanto grande quanto spesso transitoria (sic transit gloria mundi): Valentin si considera un artista perché, grazie alle sue interpretazioni ricche di pathos e di sfumature, è capace di attirare su di sé l'ammirazione di masse di spettatori ma il suo successo rimane tale fino a quando non viene soppiantato in maniera repentina e quindi crudele da un nuovo personaggio e da una nuova moda, quella del sonoro, basata non più sulla mera gestualità, ma sulla voce e sui testi parlati.
Aver avuto tanto in un lasso di tempo relativamente breve e ritrovarsi nell'oblìo professionale e sociale altrettanto rapidamente è duro da accettare per chiunque. Così l'uomo non riesce ad accettare neanche la mano amica del suo uomo di fiducia o quella della donna che lo ama, facendo tacito affidamento solo sul suo fedele animaletto destinato a contribuire in maniera consistente al cammino verso la salvezza.
La trama diventa quindi metafora universale degli splendori e delle miserie della vita e per quanto il film possa essere anacronistico nella sua concezione e quindi potenzialmente fruibile per pochi eletti, la barriera che poteva dividerlo dal grande pubblico si abbatte vinta dal significato intrinseco alla storia stessa.
Nessuna contaminazione verbale, solo sguardi che guidano lo spettatore a seguire il dramma dell'artista, gli ostacoli che deve superare, il tenero sentimento che prova per la protagonista. Sguardi e gesti che appassionano, abbattono la barriera spazio-tempo e vincono sul cinema urlato a cui ci si è passivamente abituati. A ciò si aggiunge la comunanza tra un'epoca lontana ma transitoria e addolorata con la nostra, altrettanto scossa da mutamenti e crisi sociali ed economiche. Tutti questi particolari grandi o minimali hanno attirato l'attenzione di critica e pubblico su una perla rara nel panorama cinematografico attuale. Imperdibile.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 15/03/2012 17.36.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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