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Partendo dalla vera storia di Joseph Merrick (uomo afflitto da neurofibromatosi, morbo che gli deturpa gravemente il volto e gran parte del corpo), David Lynch plasma un film dalla singolare intensità emotiva, feroce e commovente allo stesso tempo.
John Merrick (John Hurt) è un ventunenne che fin dalla nascita si porta dietro le deturpazioni dovute alla sua terribile malattia: ha un corpo quasi totalmente ricoperto da escrescenze tumorali, la colonna vertebrale deformata, la forma del cranio assolutamente irregolare e il labbro superiore così anomalo rispetto a quello inferiore da fargli emettere suoni più simili a un animale che a un uomo. Tutto ciò ha contribuito a creargli l'epiteto di UOMO ELEFANTE.
La sua vita è un calvario: trattato come la più turpe delle bestie dal suo tutore/padrone, che lo fa esibire come fenomeno da baraccone nel circo, viene notato dal dottor Frederick Treves (Anthony Hopkins), giovane medico londinese che decide di occuparsi di lui portandolo con sé a Londra e gli riserva una stanza nella clinica in cui lavora.
Per John sembra l'inizio di una nuova vita e di una ritrovata dignità come uomo che non gli era mai stata concessa...ma è tutta un'illusione: il dottor Treves, pur essendo legato a John da un sincero affetto, è animato soprattutto dalla volontà di studiare approfonditamente un caso clinico rarissimo per guadagnare fama e prestigio agli occhi dei suoi già affermati colleghi.
David Lynch sembra dirci: vedete qualche differenza tra il comportamento dell' ex padrone di John, crudele e spietato, e l'atteggiamento del dottore elegante e premuroso?
Per entrambi John è ciò che appare: un'anomalia della natura e, in quanto tale, fonte di profitto.
Ma il dottor Treves gradualmente, come lo spettatore, riesce ad andare oltre l'aspetto esteriore di John, scorgendo sempre più chiaramente chi è John Merrick: un animo nobile, uno spirito sensibile imprigionato in un corpo mostruoso.
E qui torniamo a uno dei temi più cari a Lynch: nulla è mai come appare, ciò che ci sembra evidente, scontato non è altro che la superficie delle cose. E spesso la verità è frutto di una ricerca introspettiva profondissima: solo chi si sforza di andare oltre le apparenze può sperare di capire prima se stesso, e poi ciò che lo circonda... John Merrick compreso!
Ed è quello che fa il dottor Treves quando, rivolgendosi alla moglie, si chiede: "Sono un uomo buono... o sono un uomo cattivo?"
In quel preciso momento Frederick Treves si rende conto di come il suo comportamento nei confronti di John Merrick non fosse molto diverso da quello dell'uomo senza scrupoli da cui l'aveva salvato; tutte le lodi dei giornali e dell'alta società londinese, che lo vedono come un filantropo, non fanno altro che metterlo davanti alla propria pochezza.
John Merrick finalmente ha una stanza in cui dormire, persone che gli danno un po' di calore umano e si prendono cura di lui...insomma, recupera quella dignità umana che nella sua vita non aveva mai avuto.
Ma sono soprattutto le persone che lo frequentano ad uscire arricchite dalla sua conoscenza, come ad esempio la famosa attrice di teatro (Anne Bancroft) che, incuriosita dalla popolarità di un uomo così spiritualmente nobile ma fisicamente deforme, lo va a trovare.
La scena che Lynch ne ricava è di una suggestione e poeticità unica: lei gli regala una copia della tragedia di William Shakespeare "Romeo e Giulietta" e John, visibilmente commosso da un gesto tanto generoso, inizia a recitare a stento un brano della tragedia...seguito dall' incredula quanto emozionata attrice!
Lynch parla attraverso l'attrice: "Tu non sei l'uomo elefante...tu sei Romeo!".
Questa frase racchiude tutto il senso del film. Anche ciò che a prima vista appare "diverso" da quello a cui noi siamo abituati può racchiudere un senso profondissimo e nascondere una nobiltà inaspettata.
E questo viene confermato anche dalle toccanti scene in cui John, chiuso nella stanza a lui adibita, costruisce il modellino della cattedrale, di cui egli intravede solo la punta... e tutto il resto deve essere lasciato alla sua immaginazione.
La scena è intensa, il bianco e nero che Lynch decide di adoperare rende l'atmosfera eterea, quasi fuori dal tempo e dice quanto per il regista ciò che vediamo, che crediamo di riconoscere immediatamente non è altro che una parte (la punta della cattedrale di John)... tutto il resto deve essere frutto dell' immaginazione del singolo, uno sforzo che non tutte le persone vogliono fare!
John Merrick, pezzo dopo pezzo, immagina e costruisce tutta la cattedrale e ciò non è altro che una metafora della presa di coscienza della sua umanità: egli si rende conto di non essere un animale, un mostro,un uomo-elefante... ma bensì un ESSERE UMANO!
Il suo periodo di serenità, però, finisce ben presto.
Venuto a conoscenza del luogo in cui alloggiava, il suo vecchio e brutale padrone riesce a ricondurlo con sé facendolo esibire nuovamente come attrazione da circo.
John Merrick ormai ha perso ogni speranza: dopo aver provato per poco tempo cosa vuol dire essere trattato come un essere umano, ora sembra quasi accettare il triste destino che lo attende.
Inaspettatamente però viene aiutato a fuggire dalla gabbia in cui è imprigionato e, opportunamente camuffato, prende il treno per Londra per tornare dall'unica persona che lo ha trattato da amico dimostrandogli affetto.
Sceso dal treno urta accidentalmente una bambina e, in preda al panico, fugge via rincorso da una folla ostile fino a trovarsi in un vicolo cieco con davanti a sé la folla.
E qui l'opera raggiunge l'apice del pathos... John Merrick, ormai consapevole della sua umanità e di non essere certo un fenomeno da baraccone, urla alla folla davanti a sé: "NON SONO UN ANIMALE... NON SONO UN ELEFANTE! SONO UN UOMO... SONO UN UOMO!".
Questo è sicuramente il momento più straziante e coinvolgente di tutto il film...e Lynch ci conduce a questo momento dopo una serie di scene memorabili, in cui conosciamo sempre meglio l'uomo John Merrick, fino ad immedesimarci in lui.
Così, quando lo sentiamo urlare "NON SONO UN ELEFANTE, SONO UN UOMO!" è facile pensare a quando ci siamo sentiti giudicati superficialmente e avremmo avuto voglia di dire a tutti quello che siamo realmente.
Tornato nella clinica del dottor Treves, John trova un nuovo periodo di serenità culminato nella realizzazione del suo sogno: passare una serata a teatro.
Qui ritrova l'attrice che in passato era venuta a trovarlo e riceve l'applauso di tutto il teatro; finalmente gli sembra di avere una vita come tutti gli altri essere umani.
John ormai sa di aver trovato la dignità di uomo che non aveva mai avuto da quando era nato, ha trovato in Frederick Treves un AMICO, tanto da confessargli: "Sono felice ogni ora di ogni giorno della mia vita, perché mi sento amato!".
Anche il personaggio del dottor Treves durante tutto il film si è evoluto; egli si è reso conto dell'opportunismo che inizialmente lo aveva spinto a portare l'uomo elefante a Londra, ma ora si sente profondamente arricchito, ora riesce a vedere oltre quel corpo deformato un essere gentile, un uomo, un AMICO!
Nel finale John sente di aver ormai realizzato ciò a cui teneva più di ogni altra cosa: sentirsi un essere umano e come tale essere amato (questo processo viene fatto coincidere suggestivamente da Lynch con l'ultimazione del modellino in miniatura della cattedrale di cui John intravede solo la punta). Ma c'è un ultimo gesto che l'uomo elefante non ha mai potuto fare: dormire sdraiato sul letto come tutti, visto che appoggiare il suo cranio deformato sul letto l'avrebbe soffocato.
Egli ha deciso, vuole dormire come un uomo... e, cullato dalla leggera brezza che entra dalla finestra della sua stanzetta, si sdraia e pensando alla madre chiude gli occhi.
Il tema trattato da Lynch è attualissimo: la diversità ha sempre fatto paura, e questo timore nei confronti del "diverso" è dovuto alla non-conoscenza e spesso è facile pensare che il diverso sia un male, un'anomalia da evitare.
Il vero male è la leggerezza, la faciloneria con cui la nostra società ci ha abituati a giudicare le persone e le cose cadendo spesso nella facile equazione bello = bene e brutto = male.
La superba regia di Lynch, la suggestione di certe atmosfere, la genialità di molte scene e la profondità delle tematiche affrontate rendono questa pellicola un capolavoro assoluto.
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Recensione a cura di Antonio Cocco - aggiornata al 19/01/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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