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"Siate sicuri che i vostri peccati vi troveranno".
L'ossessione per un numero "magico" e soprannaturale, che si trasforma in un delirio contro il Caso inteso come Deus Ex Machina. Il delirio che si trasforma in una parabola sul senso di colpa e sulla redenzione. Il senso dell'inesorabilità derivante dalla consapevolezza di far parte di un gioco in cui tutto è già stato scritto, di essere vittime di un ordine prestabilito.
Falsamente attribuito ad un racconto di Stephen King dalla campagna pubblicitaria e da alcune riviste specializzate italiane, "The Number 23" è tratto da un soggetto originale dello sceneggiatore esordiente di origine inglese Farnley Phillips, che troviamo anche in veste di produttore, attraverso la sua Fingerling Films, insieme con la ben più nota New Line Cinema.
Il soggetto e la sceneggiatura di Phillips si ispirano al reale fenomeno che si è creato intorno al cosiddetto Enigma del Numero 23, secondo cui tutti gli eventi importanti e in particolare quel genere di eventi traumatici che comportano cambiamenti radicali, siano in qualche modo collegati col numero 23. Basta ricorrere all'ausilio di un qualsiasi motore di ricerca su Internet per rendersi conto delle proporzioni di questo fenomeno e di quanti curiosi, teorici, amatori e sostenitori si siano radunati intorno ad esso. Esiste anche un sito cui gli utenti spediscono fotografie del Numero 23 scattate in tutto il mondo.
Ciò detto e risparmiandoci in questa sede il gravoso onere di elencare anche solo alcune delle numerose coincidenze, spesso piuttosto forzate, attraverso le quali, fra giochi numerici di scomposizione matematica, di sottrazione e di addizione, si riesce ad estrapolare questo famigerato 23, si deve subito rilevare che la sceneggiatura commette un errore, quasi certamente involontario. Infatti, durante una delle prime sequenze del film, quando Walter Sparrow (Jim Carrey) narra queste spaventose coincidenze, egli dichiara che Ted Bundy, noto ed efferato serial killer statunitense, è morto il 23 gennaio, ma Bundy fu giustiziato il 24/1/1989. A chi fosse interessato alla fenomenologia dell'Enigma del Numero 23 si consiglia una rapida e facile documentazione attraverso Internet.
"The Number 23" di primo acchito sembra narrare la storia di un'ossessione, quella del nostro Sparrow, un modesto accalappiacani, che scivola con una velocità impressionante e poco convincente in una vorticosa spirale di paranoia correlata al Numero 23.
Walter, che ci narra la storia come voce fuoricampo, attribuisce la progressiva rovina della propria vita ad una serie di circostanze casuali e nefaste, originate dal suo rifiuto al tentativo di seduzione di una sua becera collega di lavoro, avvenuto il 23 dicembre durante una festa natalizia, cui sua moglie Agatha (Virginia Madsen) non aveva potuto partecipare per ragioni di salute. A causa di quel rifiuto Sparrow, marito fedele e padre esemplare, si ritroverà ad acquistare insieme a sua moglie uno strano libro, scritto a macchina e rilegato a mano, che porta lo stesso titolo del film. La prima a leggerlo è Agatha, ma, quando il libro passa nelle mani di Walter, egli trova una serie impressionante di analogie fra la propria infanzia e quella narrata dal protagonista del libro, il detective Fingerling (ancora interpretato da Jim Carrey). Attratto da tali somiglianze, Sparrow viene rapito dalla lettura del libro e in lui s'ingenera la medesima ossessione per il Numero 23, che perseguita Fingerling.
È evidente come la storia abbia uno spunto fascinoso e apparentemente assai originale, ma nel dipanarsi della vicenda perde entrambi gli elementi. Per quanto riguarda l'originalità è evidente come l'evolversi dell'ossessione numerologica richiami facilmente alla memoria il film "Pi Greco – Il Teorema del Delirio", di cui però non è capace di mantenere le suggestive atmosfere claustrofobiche. Inoltre l'ossessione numerica prevale sulle circostanze e sulle coincidenze in base alle quali Sparrow si identifica con Fingerling, spingendo così lo spettatore a discostarsi sia dal personaggio, sia dalla vicenda. La narrazione è spezzata su due piani differenti: quello concernente la vita di Walter Sparrow e quello riguardante la vicenda del detective Fingerling. Questi due piani si sovrappongono e si confondono, assottigliando sempre di più il confine fra il reale e l'allucinatorio.
(Anche se il paragrafo seguente non può essere definito un vero e proprio spoiler, se ne sconsiglia la lettura a chi ancora non avesse visto il film)
Sotto il profilo dei contenuti e delle chiavi di lettura più profonde, il soggetto è molto apprezzabile. Phillips ha ripreso il classico tema del doppelganger, così caro alla narrativa gotica, sviluppandolo in chiave psicanalitica. In realtà però non si assiste a niente di nuovo.
L'incontro col proprio alter ego è sempre stato inteso come un momento di autodistruzione e di espiazione delle proprie colpe ("William Wilson" di Edgar Allan Poe docet). Il libro non è altro che lo specchio nero della realtà di Walter Sparrow. Fingerling è un uomo tormentato, tenebroso e seducente, incline alla perversione e all'ossessione. Apparentemente l'esatto opposto di Sparrow. Così come la dark lady Fabrizia (ancora Virginia Madsen), che fa perdere la testa a Fingerling, precipitandolo in un delirio ossessivo di sadismo e di morte, altro non è che la trasposizione erotica e perversa di Agatha Sparrow. Ad ogni luce si contrappone un'ombra. Tutto sembra essere diverso da come appare, ma, in seconda analisi, l'apparenza e la realtà finiscono col coincidere.
Il tema del doppelganger, come accennato, si sviluppa in chiave psicanalitica. Esso, infatti, assurge a capro espiatorio, alla metà oscura (cit.), alla libido sfrenata. È quell'alter ego che si assume le colpe che l'Io profondo rifiuta. E anche qui niente di nuovo. Come non ricordarsi di "Doppia Personalità" ("Raising Cain", 1992), di "Vestito per Uccidere" (1980) o di "Sisters" (1973), tutte pellicole scritte e dirette da Brian De Palma, tutti soggetti che richiamano inevitabilmente "Psycho" (1960) di Alfred Hitchcock. E, già che ci siamo, rimanendo in anni più recenti, perché non ricordare "Fight Club" (1999) di David Fincher e "Secret Window" (2004) di David Koepp?
Fingerling oltre essere tutto questo è anche lo specchio della coscienza, è l'Io narrante del libro che si contrappone all'Io narrante del film.
Phillips ha mescolato il tutto costruendo una spirale ossessiva e allucinatoria, che nella sua dimensione rivelatrice si trasforma in un percorso di espiazione e di riscatto. La vita quasi idilliaca del protagonista Sparrow, precipita in un incubo per poi uscirne lavata dalla proprie colpe ed epurata dal proprio passato. Una parabola di redenzione complessivamente edulcorata e socialmente ipocrita.
La sceneggiatura si dimostra pretenziosa e pasticciata, volta ad una impression finale facilmente prevedibile e tutt'altro che originale.
Inoltre c'è un grave errore giuridico di fondo: negli Stati Uniti, così come nella maggioranza dei paesi occidentali, un uomo palesemente infermo di mente (il personaggio in questione è stato vari anni in cura presso una clinica psichiatrica) è ritenuto incapace d'agire e ne consegue che l'ordinamento giuridico esclude l'imputabilità del soggetto.
Altro tema, complementare a quanto detto e analizzato in modo assai superficiale dallo sceneggiatore, è quello del suicidio. Esso è una punizione, l'espiazione dei propri peccati? Oppure è una comoda via di fuga volta a lenire il dolore del rimorso?
"Una volta ho letto che la sola questione filosofica che conta è se sia giusto commettere suicidio oppure no".
"The Number 23" è il ventitreesimo film di Joel Schumacher, regista piuttosto eclettico e incostante, spesso ingiustamente bistrattato dalla critica e dal pubblico.
Schumacher ha impostato la regia di questa pellicola prediligendo le sequenze estrapolate dalla lettura del libro. Esse sono ben curate e visivamente intriganti. Sanno trasmettere tanto il senso dell'ossessione, quanto quello della disperazione. Hanno inoltre una carica passionale assai ben calibrata, che passa dall'attaccamento alla vita fino al desiderio di distruzione attraversando erotismo, seduzione, perversione e una sottile vena di sadomasochismo. Il regista alterna il ricorso ad immagini sfocate, dominate da una luce diafana e malata, al contrasto cromatico. A prevalere sono i colori scuri, cupi e di forte impatto visivo. Nelle sequenze di estrapolazione narrativa dominano il nero e il bianco sporco; in quelle della vita cosiddetta reale prevalgono i colori accesi e vivaci. Unico elemento di continuità fra i due generi di sequenze è il colore rosso che ritroviamo nelle pareti di casa Sparrow, nella copertina del libro, nel sangue sulle mani, sul coltello e sulle lenzuola, nelle fiamme ardenti da cui si allontana Fabrizia, nella luce rossa della stanza "misteriosa" in cui penetra Agatha.
Nelle sequenze di estrapolazione narrativa, l'alternanza nero e bianco sporco con immagine sgranata, trasmette il senso dell'allucinazione e di un'atmosfera cupa e perversa. Si pensi ai giochi di luce sul volto di Fingerling, ombreggiato da una barba trascurata e da occhiaia profonde, alla sua pelle chiara, ma ricoperta di tatuaggi verde scuro (praticamente neri), al contrasto fra la sagoma scura del sassofono e la canottiera sporca, che egli indossa, e, in mezzo a tutto questo, le macchie di sangue rosso scuro. Si pensi anche a Fabrizia: lunghi capelli neri, un vestito nero con gonna quasi inguinale che lascia interamente scoperte le gambe dalla pelle bianchissima, che terminano con una calzatura anch'essa nera. È emblematica del contrasto fra questi due colori la sequenza in cui la donna sbatte Fingerling, anch'egli completamente vestito di nero, contro un muro bianco sporco e incomincia a baciarlo, avvinghiandosi a lui.
La seduzione visiva di queste sequenze purtroppo però non trova una forza equivalente nella regia relativa alla vita reale del nostro protagonista. Inoltre laddove il primo tempo del film crea bene le atmosfere, stimolando la curiosità dello spettatore e riuscendo a coinvolgerlo, il secondo tempo scivola via in maniera didascalica, noiosa e apparentemente trascurata. Tuttavia non sembra corretto definirle come delle pecche di regia, ma sembra più consono dire che la regia ha subito le gravi carenze di una sceneggiatura piuttosto mediocre (anche se notevole per un autore esordiente).
Nel dipanarsi della vicenda, in realtà molto lineare e tutt'altro che misteriosa, è ancora più deludente il fatto che i momenti rivelatori siano assai meno probabili e costruiti in modo peggiore, dei momenti allucinatori e deliranti.
È poi incongruente il fatto che il film si concluda affermando che il fato non esiste, ma che tutto è frutto delle nostre scelte e che ogni azione produce le proprie conseguenze. È vero che questa dichiarazione è la diretta antagonista dell'affermazione iniziale di Sparrow, secondo cui tutte le sue sventure derivano dal caso e da una serie fortuita di coincidenze, e vuole confutarla. Ma è anche vero, e da qui ne discende tutta l'incongruenza, che la trama si dipana fino ai suoi ultimissimi risvolti, attraverso coincidenze e casualità che definire forzature sarebbe troppo poco. Anche qui però il difetto ha sede nella sceneggiatura e non nella regia.
Ottima la fotografia di Matthew Libatique, che aveva già lavorato con Joel Schumacher nei film "In Linea con l'Assassino" e "Tigerland" e che era già stato direttore della fotografia del sopraccitato "Pi Greco – Il Teorema del Delirio" e di pellicole quali "Gothika" e "Inside Man".
Gli attori sono tutti molto bravi. Jim Carrey eccelle e dimostra ancora una volta le sue ottime doti espressive e la sua grande ecletticità, offrendo al pubblico un'interpretazione intensa e coinvolgente.
Molto brava Virginia Madsen, benché sia stata una seconda scelta (ha sostituito Elisabeth Shue, che dovette rinunciare al ruolo poiché incinta). La Madsen si giostra perfettamente nel duplice ruolo di Agatha/Fabrizia, trasmettendo sempre le emozioni in modo calibrato e credibile, riuscendo ad apparire erotica, perversa e sensuale, ma anche fedele, algida e ialina.
Abile e convincente anche Danny Huston ("21 Grammi") nel duplice ruolo di Dannis French e del dottor Phoenix.
Assai apprezzabile poi la bella Rhona Mitra nel ruolo chiave di Laura Tollins.
Particolarmente interessante il lavoro di Lynn Collins che ha addirittura un triplice ruolo: la bionda suicida, la signora Dobkins e la madre di Fingerling.
Bravissimi Logan Lerman e Paul Butcher, i due ragazzi che interpretano rispettivamente il figlio di Sparrow e il personaggio di Sparrow/Fingerling adolescente.
La buona prova del cast è ancora una volta dimostrazione della grande capacità di Joel Schumacher nel dirigere gli attori instaurando con loro un rapporto intenso.
Peccato che nella traduzione italiana si perda l'efficacia di alcuni giochi di parole (mantenuti in modo fedele dai traduttori, ma inevitabilmente meno incisivi) come ad esempio l'acronimo del nome del cane che morde Sparrow: Ned (Nasty Evil Dog... Nasty Evil dead Dog).
Sono ben scritti i dialoghi relativi alle sequenze di estrapolazione narrativa. Essi rispecchiano fedelmente i dialoghi tipici della letteratura noir, scorrono via velocemente e con una certa suggestione e una certa seduzione per lo spettatore.
"The Number 23" è un film complessivamente mediocre a causa della sua sceneggiatura banale e mal scritta, venata di furbesca ruffianeria. Non riesce a coinvolgere completamente né ad appassionare. La struttura narrativa è sempliciona, pasticciata e assai debole. La pellicola viene tuttavia parzialmente riscattata dal suo notevole livello artistico e meriterebbe di essere visionata anche solo per l'interpretazione del sempre bravo Jim Carrey e per la seduzione visiva delle più volte citate sequenze di estrapolazione narrativa.
Ma anche in questa recensione, così come nel film:
"Quella che voi avete letto fin qui non è la completa verità. Molto è stato cambiato per proteggere gli innocenti... e i colpevoli".
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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 27/04/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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