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Dopo il successo di critica e pubblico ottenuto con i suoi incantevoli "In the mood for love" e "2046", il regista cinese adottato da Hong Kong Wong Kar Wai si cimenta nella sua prima pellicola in lingua inglese, lasciando per l'occasione anche la sua amata patria, fonte d'ispirazione e passioni; il risultato è "My blueberry nights", pellicola non a caso incentrata sulla distanza, fisica ed affettiva.
La storia è quella di Elizabeth (Norah Jones), giovane ragazza newyorkese che trova nel gestore di un ristorante (Jeremy, interpretato da Jude Law) un insolito e discreto confidente con cui sfogare la sofferenza per essere stata lasciata dal proprio fidanzato. Piccoli bocconi di torta al mirtillo faranno maturare in lei la convinzione di partire alla scoperta di se stessa, di nuovi stimoli, di nuove opportunità: lungo la strada la sua vita incrocerà quella di altre esistenze disilluse, vittime della solitudine e della distanza dai propri affetti: sarà proprio grazie agli incontri con spiriti perduti come quelli di Arnie e Sue Lynn (David Strathairn e Rachel Weisz), due ex coniugi alla deriva, o di Leslie (Natalie Portman), ricca ed intrigante giocatrice di poker, ad indicarle la strada da seguire.
Sono storie sussurrate con un fil di voce, quelle di Wong Kar Wai; storie piccole di anime deluse, schiaffeggiate dalla vita o semplicemente incapaci di rialzarsi da terra o di relativizzare le proprie esperienze.
Elizabeth è una ragazza tradita, offesa, ferita, che decide di lasciare le chiavi dell'appartamento del proprio ex fidanzato al gestore del locale sotto l'angolo in segno di rottura col passato; allo stesso tempo, però, quel gesto la ricondurrà con insistenza in quel luogo, per vedere se quelle chiavi sono state reclamate.
Allo stesso modo Jeremy, il gestore del locale, continua a conservare tutte le chiavi lasciate lì dagli avventori traditi, diventando così il depositario non solo delle loro disillusioni, ma anche delle loro speranze ("Perché non le butti?" "Perché altrimenti quelle porte rimarrebbero chiuse per sempre, e non spetta a me deciderlo"). Jeremy in quel gesto ritrova anche la propria situazione, quela di un uomo lasciato dalla propria compagna da un giorno all'altro, senza avvisaglie, e che da quel momento si è limitato ad andare avanti meccanicamente, senza porsi domande sulle proprie aspettative o possibilità.
Jeremy è solo una chiave abbandonata distrattamente in un barattolo di vetro, sospirante al pensiero della speranza di qualcosa che non è e che non potrà più essere.
Il percorso di crescita e di consapevolezza di Elizabeth passa però anche e soprattutto attraverso il Viaggio, che la porterà da principio ad imbattersi in una bettola frequentata dal vecchio ubriacone Arnie, un poliziotto che non riesce a rassegnarsi di aver perso la giovane moglie Sue Lynn. Arnie, uno straordinario David Strathairn, ha scelto di non scegliere, mortificandosi giorno dopo giorno e ritrovandosi solo a tarda notte sul fondo di un bicchiere di Whisky. Arnie è un perdente, uno sconfitto, nonostante sembri quasi invulnerabile durante il giorno dietro lo schermo della propria uniforme da poliziotto; l'incontro con Elizabeth lo farà sentire per un breve istante protetto da quell'essere affine, che prova ad aiutare nel suo proposito di comprare una macchina con qualche dollaro di mancia, lui che non ha neanche i soldi per pagare le bottiglie che si scola, sera dopo sera, frustrazione dopo frustrazione.
La nemesi (o alter ego?) di Arnie è la sua ex moglie Sue Lynn, molto più giovane, bella, affascinante, apparentemente sprezzante e sicura di sé, in realtà si spoglia completamente di ogni maschera quando realizza di aver perso l'ex marito per sempre, l'uomo che, con le sue debolezze ed il suo "cieco amore", ne sorreggeva l'instabile castello di sicurezze. Anche in questo caso, catalizzatore dell'improvvisa eruzione di emozioni sarà l'incontro con Elizabeth dopo una sbornia, incontro in cui Sue Lynn sarà costretta a specchiarsi nei propri sensi di colpa e nelle proprie insicurezze, raggiungendo però una ritrovata autostima.
L'ultimo dei personaggi che si riveleranno decisivi nel cammino di Elizabeth sarà Leslie, incontrata in un casinò di Las Vegas. Elizabeth e Leslie sembrano appartenere a due mondi diametralmente opposti: timida ed impacciata cameriera la prima, spigliata giocatrice d'azzardo la seconda, ma accomunate dalla solitudine imposta loro dall'abbandono: Leslie vive la propria vita come un continuo senso di rivalsa nei confronti del padre che lei crede averla dimenticata, tradita, il padre di cui avrebbe voluto ogni attenzione e che invece era solito punire le intemperanze della figlia con semplice indifferenza; Leslie è bella, sicura di sé, attraente e smaliziata, ma confida ad Elizabeth di non avere mai avuto successo con gli uomini, come se si fosse creata una barriera all'interno della quale rifugiarsi avendo il battito del proprio cuore come unico, fedele compagno; magari assieme ad un poker d'assi all'occorrenza.
Dopo essersi spinta fino al Nevada, Elizabeth comprende che il suo viaggio è giunto a termine, ed è pronta per fare ritorno a New York con una rinata consapevolezza emotiva, affettiva e sentimentale, e vi ritrova un Jeremy finalmente scevro delle proprie illusioni grazie ad un sereno incontro con Katya, la ragazza che l'aveva lasciato anni prima: quando la distanza tra i cuori di due innamorati diventa incolmabile, la vicinanza fisica non può nulla contro l'inevitabile freddezza dei sentimenti.
Filo conduttore del mosaico di personaggi che animano "My blueberry nights" è la distanza, sia fisica che sentimentale: ogni tappa del percorso di Elizabeth verrà scandita da un indicatore dei chilometri che la separano da New York, città troppo frenetica per ritrovare la propria stabilità emozionale: il locale di Jeremy diventa a questo proposito il rifugio dal caos esterno, efficacemente reso dalle continue immagini di treni metropolitani radenti i palazzi di periferia.
Aumentando la distanza tra New York e se stessa Elizabeth crede di riuscire a lasciarsi alle spalle l'amarezza dell'abbandono, della distanza affettiva: ci riuscirà anche attraverso il percorso inverso compiuto dai suoi sentimenti verso Jeremy, animati da una ritrovata linfa vitale anche grazie alla separazione fisica tra i due.
Ma la riflessione sulla distanza di Wong Kar Wai si spinge oltre, analizzando le vite degli altri comprimari che via via accompagnano Elizabeth nel suo cammino: quella tra Arnie e Sue Lynn è una distanza apparente, eppure incolmabile; Arnie vorrebbe riconquistare la propria ex moglie, ma non riuscendoci preferisce abbandonare tutto imbarcandosi in un progetto di autodistruzione che lo renderà patetico agli occhi di Sue Lynn. La stessa Sue Lynn, peraltro, si ritroverà catapultata nelo stesso processo autodistruttivo quando si rende conto di aver perso per sempre Arnie, ereditandone le debolezze e la disperazione: la distanza tra loro due era beffarda, illusoria, amara, fatta di incomprensioni e sottintesi; Arnie e Sue Lynn sono solo delle anime su due sponde opposte di un viottolo che nessuno di loro ha avuto il coraggio di attraversare, finchè non è stato troppo tardi.
Anche la vita di Leslie è segnata dalla distanza, quella che lei ha sempre cercato di frapporre al padre, reo di averla semplicemente accantonata pur riempendola di beni materiali di lusso. Anche Leslie sfida la distanza, pur se imposta prevalentemente da lei, o comunque frutto di una sua libera scelta, con un percorso autolesionista solo apparentemente brillante o affascinante quale quello del gioco d'azzardo; catapultandosi al centro delle scene della più colorata e kitsch delle metropoli statunitensi, Leslie trova il nascondiglio che le è più consono.
La regia di Wong Kar Wai spicca per raffinatezza: quando si ritrova ad inquadrare le scene che vedono protagonisti Jeremy ed Elizabeth, la macchina da presa sembra sempre in cerca di un angolino discreto per osservarli senza turbare la loro quiete, adagiandosi dietro la vetrata del ristorante o servendosi della camera di sorveglianza per evitare l'invadenza della sua irruzione sulla scena. La soavità e la delicatezza della regia nei momenti di intimità tra i due protagonisti colpiscono nel profondo, andando a solleticare corde nascoste e suggerendo l'importanza della poetica delle piccole cose, compresa una fetta di torta di mirtilli con accanto del gelato; proprio la torta di mirtilli è il simbolo della pellicola, una torta che pur non essendo meno buona delle altre nessun avventore richiede mai, ma che nonostante ciò Jeremy continua a preparare senza domandarsene il perché.
Il culmine della poesia registica di Wong Kar Wai è però raggiunto dalla scena finale, da quel bacio elevato dal pessimo titolo italiano ad emblema del film stesso: quel bacio tra Jeremy ed Elizabeth, mentre il gelato affianco alla torta si scioglie fondendosi con la marmellata di mirtilli, è carico di una potenza emotiva paragonabile solo al "Ti amo" conclusivo di "Ferro 3" del regista coreano Kim Ki Duk; è un bacio che solo il superficiale titolo tradotto riesce a banalizzare con una parola, un bacio carico di significati e di passioni, di attese e di certezze, respiri ed illusioni, speranze e rassegnazioni.
Eccellente il cast, in cui spiccano per bravura soprattutto il caratterista David Strathairn, già protagonista di "Good night, and good luck" di George Clooney, e Natalie Portman, che con la sua prova mette completamente in ombra una spaesata Norah Jones, al suo debutto cinematografico. Azzeccati anche i ruoli di Jude Law e Rachel Weisz, sempre assestati su ottimi livelli.
Interessante, anche se meno incisiva rispetto alle precedenti prove del regista, la colonna sonora originale di Ry Cooder e Norah Jones.
Benchè privo del fascino di pellicole come "In the mood for love" e "2046", "My blueberry nights" mantiene un'aurea di profonda sensibilità che colpisce al cuore, e rimane un raro esempio di emozioni narrate attraverso immagini: Wong Kar Wai riesce a trasmettere anche il più tenue dei sapori o il più lieve dei profumi in cui si imbattono i suoi personaggi, dando vita ad una pellicola che forse passerà inosservata, ma che appassionerà chi avrà la curiosità di assaggiarla.
Come una torta di mirtilli.
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Recensione a cura di Jellybelly - aggiornata al 25/03/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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