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Una fitta pioggia preannuncia un dramma incombente, mentre un piano- sequenza inquadra il volto di Emma, separata dal marito con figli, davanti a una decisione imponderabile.
In un altro fotogramma, trascorsa probabilmente qualche ora (non è forse questo il nesso temporale di cui vorrebbe appropriarsi Ozpetek?), dopo un'agghiacciante sequenza di tentato-stupro che i più definirebbero gratuita, lo stesso sguardo si posa su quello del turbolento ex-consorte, nuovamente a testimoniare l'impossibilità, recisa, di una concreta riconciliazione tra marito e moglie.
Ozpetek e l'estetica dello sguardo, come ai tempi de "La finestra di fronte".
Ozpetek e il cinema corale, con quei personaggi sfacciatamente ancorati al linguaggio della fiction ed allo strumento emotivo come facile forma di parassitismo popolare.
Ozpetek e la cronaca italiana, che chissà come inquieta tanto sullo schermo quanto lascia indifferente lo spettatore televisivo: ci può anche stare l'onorevole corrotto (Fioravanti), tanto esistono figli che non seguiranno mai le orme del padre.
Sconcertante è da una parte convincersi che il regista di origine turca conosca ormai l'Italia a menadito (e non sempre la migliore possibile, ammesso che ne esista una) ma che sembri prediligere l'interiorità emotiva alla razionalità del bene (e del male) comune. Quindi, non stupirà nessuno sapere che "Un giorno perfetto" è quanto di più coinvolgente Ozpetek abbia mai fatto, e al tempo stesso l'ennesima occasione mancata di compiere il grande salto che forse la sua (ostentata sì) capacità tecnica gli permetterebbe.
Il nuovo cinema italiana ha tentato, con ottimi risultati, di uscire dagli schemi in questi anni; pensiamo a "Nuovomondo" di Crialese, a "Gomorra" di Garrone, al "Divo" di Sorrentino (tanto definitivo che l'onorevole Fioravanti di Ozpetek è inutile anche come emblema corruttivo di un certo potere), al bellissimo "Il vento fa il suo giro", girato sulle montagne cuneesi, e altri ancora, mentre "Un giorno perfetto" è quello che è, un "prodotto (im)perfetto" per lo spettatore tradizionale ancorato a seguire la spettacolarizzazione del crimine piuttosto che la sua indagine analitica ed umana (il fatto che esista qualcuno che tratti certi argomenti non è un male, comunque).
Emotiva sì, e non a caso il cerchio si chiude su una fiction che ha perlomeno il coraggio di abbattere i tabù costringendo lo spettatore comune a "vedere con i propri occhi" senza sopravvivere nel segno dell'abitudine massmediologica.
Tratto da un romanzo cupo di Melania Mazzucco, "Un giorno perfetto" narra, con la cronologia temporale che suggerisce il titolo, la vicenda di Emma e dei suoi rispettivi figli, Kevin e Valentina, della sua precarietà lavorativa e soprattutto della separazione dal violento e geloso marito impersonato da un Mastandrea, bravo anche se tutto sommato fuori dalle righe (nel tentativo impossibile di dimostrare la capacità di passare da un ruolo all'altro, si potrebbe suggerire).
La Emma del film, con tutta la comprensione del mondo, è una svampita quarantenne incapace di proteggere i propri figli o di capirli (si veda il conflitto con Valentina a causa dell'allontanamento del padre), a cui è difficile dare un'illimitata solidarietà: e del resto, non è facile capìre il motivo di tanta ossessione del carabiniere Antonio, incapace di accettare la separazione da una donna forse imperfetta quanto lui.
La capacità di Ozpetek di penetrare nelle emozioni dello spettatore, anche a costo di ostentarle, in passato ha dato frutti migliori, non c'è dubbio.
Non è cinema autoriale, ma si presta al gioco nazional-popolare con il fine di trasmettere "candidamente", e un po' borghesemente, un dramma familiare dei nostri giorni. Certo, l'autore riesce a profanizzare l'evento luttuoso, senza per questo chiedersene la ragione: non sembra interessato a questo, non abbastanza. Eppure è rivolto a noi, che non sappiamo accettarlo, per varie ragioni: dialoghi discutibili e improbabile glamour (come la trovata del quadro dell'onorevole) sembrano sfavorire la facilità del regista di declinare l'offerta (bisogna dargliene atto) della commedia per famiglie, e divulgare i "mostri che abbiamo dentro", per dirla alla Gaber, di cui si parla "altrove" troppo e in maniera fin troppo disinvolta.
Ed ecco allora che la realtà cattura un cinema di piani-sequenza, di virtuosismi tecnici e di personaggi sprecati (la cliente della cartomante Sandrelli, l'insegnante stucchevole e vagamente saffica della Guerritore, la dottoressa temeraria della Finocchiaro).
Un cinema che compensa le difficoltà di sceneggiatura (o l'insostenibile delirio letterario del finale) con la bravura tecnica, o l'appariscente convenzionalità dei dialoghi con il coraggio di rendere tangibili e reali situazioni e vicende di cui persiste un dogmatico veto anche linguistico e/o qualunquista.
E che persiste a citare un po' a casaccio Fellini, Risi, Visconti e Monicelli, mentre "altrove" si richiede la legittimità di andare oltre i colpi di sparo e le brutalità quotidiane, di affossare la nostra passiva (re)azione.
"Un giorno perfetto" è l'instant-movie (prevedibile fin dall'inizio, ma lo schema è fortemente voluto, con buona pace degli spoiler) che reclama attenzione/venerazione a un "mondo distratto": torna in mente la Longarini fotografata dai paparazzi ne "La dolce vita" che chiede "ma mi avete preso per una diva del cinema?" e presto il suo sorriso si abbandona all'inferno: episodio accantonato e dimenticato di un capolavoro.
Insomma, alla fine ci si chiede se la relazione il linguaggio popolare della fiction e la cronistoria filtrata dai media possa produrre qualcosa di meno specifico e artificioso.
Perché - nonostante tutto - il film non è male: si esce dal cinema con una forte sensazione di disagio, di soffocate emozioni. viene però legittimo domandarsi se siano (tutte o del tutto) giustificate.
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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 12/09/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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