Recensione war of the worlds - l'invasione regia di David Michael Latt USA 2005
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Recensione war of the worlds - l'invasione (2005)

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locandina del film WAR OF THE WORLDS - L'INVASIONE

Immagine tratta dal film WAR OF THE WORLDS - L'INVASIONE

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Immagine tratta dal film WAR OF THE WORLDS - L'INVASIONE

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"War of the Worlds: L'Invasione" è un film americano del genere sci-fi/horror, tratto dal famoso romanzo "La guerra dei mondi" di H.G. Wells. La regia è di David Michael Latt, famoso per "Caccia a Scare Crow" (horror 2003) e "Killers 2" (azione 2002). Il film è uscito praticamente in concomitanza con il più famoso "La guerra dei mondi" di Spielberg, anch'esso tratto dal famoso romanzo di H.G. Wells, entrambi sono entrati in distribuzione tra giugno e luglio 2005.

Il film inizia con le riprese dell'interno di una casa borghese dove vive una famiglia tipo americana, in procinto di partire per Washington. Lui è un dottore in astronomia, Herbert (Thomas Howell), lei una moglie bella e non molto devota; l'uomo a un certo punto è invitato dalla figlia a guardare sul telescopio qualcosa che appare insolito, strano e inquietante. Herbert si china ad osservare e dopo qualche istante conferma alla figlia di aver visto un oggetto nel cielo non ben identificabile, dalle apparenze di un meteorite, che rilascia una lunga scia di particelle arroventate dovuta all'attrito con l'atmosfera e sembra destinato a cadere proprio nelle loro vicinanze.

L'uomo dentro di sé fa alcune brevi considerazioni sul fatto, ma viene chiamato al cellulare dai suoi superiori che stanno seguendo in simultanea con lui il fenomeno celeste; Herbert è invitato a ritornare sul lavoro perché deve dare la sua consulenza a ciò che di strano sta accadendo nelle vicinanze.

Recatisi tutti sul posto dell'impatto, vedranno uscire dall'oggetto precipitato un marziano con sembianze da ragno, suggestivo, pauroso, gigantesco, a quattro zampe, una vera e propria macchina da guerra con poteri di distruzione potenti, frutto di una tecnologia molto avanzata, sconosciuta ai terrestri. Curiosamente sulla fronte del marziano vi è una fessura normalmente chiusa, una finestrella che in battaglia si apre completamente, emettendo un micidiale raggio luminoso, simile in qualche modo al conosciuto laser terrestre, con un vampata di potenza calorica superiore, straordinaria, tale da essere capace di devastare irrimediabilmente ogni cosa presa di mira.
Il fenomeno delle falsi meteoriti si ripete su gran parte della nazione americana e del mondo, le grandi città cominciano ad essere distrutte. In seguito si verrà a sapere che questo evento rappresenta un preciso piano dei marziani per conquistare il pianeta.

Herbert e la sua famiglia si troveranno drammaticamente al centro di diverse battaglie con i marziani, perdendosi di vista in una di esse per il grosso caos organizzativo creato sul territorio dagli eventi bellici. Proseguendo l'iter avventuroso, Herbert incontra sulla sua strada un pastore protestante, Victor, incerto sulla fede e tormentato da alcune fallimentari vicende famigliari. Tra i due nascerà un rapporto a tratti passionale, un'amicizia commovente, a volte reciprocamente pietosa, la cui intensità sarà rafforzata dal continuo stato di pericolo in cui si trovano, dalla vicinanza della morte in ogni angolo del territorio oggetto di conquista dei marziani e dalla tragica umiliazione subita per l'invasione violenta dello straniero.
Ma Herbert uomo di scienza non si arrende, cerca di capire in quale modo gli uomini potrebbero ancora contrastare l'avanzata dei marziani e lo scoprirà casualmente mentre difenderà Victor in un rifugio da un ennesimo attacco degli extraterrestri, portato attraverso tentacoli simili a quelli di una gigantesca piovra.

Riusciranno i terrestri a fermare l'avanzata degli invasori? E l'astronomo Herbert potrà riabbracciare la famiglia? Victor supererà la sua grave crisi di identità?

Il film si caratterizza prevalentemente per il suo originale andamento narrativo, che è molto lento, con gli elementi più in vista della trama assai dilatati. Quest'ultimi a un certo punto si rarefanno a tal punto da mettere in pericolo l'estetica stessa del film, anche se tutto sommato le relazioni significanti tra gli elementi della trama appaiono sufficientemente sviluppate per via di una profonda comunicazione delle emotività in gioco dei personaggi più diversi.

In virtù di una recitazione più in stile telefilm che cinematografica, quindi meno formale, più semplice, emotivamente sempre assai diretta, perché i sentimenti sono poco elaborati, come se giungessero a esprimersi con le prime parole che vengono in mente ai protagonisti, lo spettatore viene preso in un intrattenimento altro, fortemente empatico e perciò poco preciso nel senso, che gli fa dimenticare i limiti di verosimiglianza delle azioni belliche.

L'inconscio dello spettatore si pone tra il regresso e la morte, nel senso che si attiva una zona temporale psichica insolita che, mentre tende ad associare emotivamente aspetti di un suo vissuto adolescenziale - infantile, attivandone alcune propaggini, nello stesso tempo non riesce a dare a ciò spazio articolante sufficiente, perché tutto rimane compresso in una gabbia di ridondanze visive accarezzate dall' atmosfera di morte del film.

Sembra dunque che il regista abbia voluto fare una scelta filmica ben precisa, basata più sul dialogo che sulla cura temperata del movimento estetico delle immagini, che rimangono pregnanti di emozioni solo a livello di singole inquadrature. Ne sono un esempio le lunghe e ricche conversazioni tra il pastore Victor e Herbert prima dell'attacco finale del grosso marziano a quattro zampe, racchiuse in poche incorniciature fotografiche.

Rispetto al film di Spielberg, dagli stessi contenuti e uscito in contemporanea, questo film di Latt dimostra quindi un minore impegno fotografico, seppur nelle scene chiave i dignitosi effetti speciali di validi professionisti del cinema compensano certe eccessive semplificazioni di ripresa.

Da un punto di vista un po' più psicanalitico si potrebbe dire che la metafora dei marziani rappresenta negli anni attuali non tanto un preciso nemico, come negli anni '50, durante le paure di invasione generate dalla guerra fredda tra USA e Unione Sovietica, quanto un timore più combinato, politico ed esistenziale, un fantasma interno all'uomo che nell'era della postmodernità si configura come riflesso di un essere evanescente, insicuro, pieno di dubbi e incertezze sul presente e il futuro, per via della perdita di una identità territoriale precisa, spazzata via dalla globalizzazione.

L'invasione aliena di questo remake è dunque oggi interna all'uomo che appare dominato da forze mediatiche in grado di condizionare come non mai i suoi desideri profondi e oscuri, offrendogli esche di soddisfazione che lo dissociano maggiormente dalle sue radici più tradizionali, facendolo precipitare nell'abisso della schizofrenia esistenziale, portandolo a modalità di vivere inautentiche, dominate dal sogno della pazzia più subdola, non diagnosticata, tenuta a stento a freno con gli psicofarmaci, curativi di un disagio più generico, non più scientificamente distinto.

Il film fotografa gli orrori ancora solo immaginari, quelli più sotterranei del mondo di oggi, che la gente più conformista sente ma non vuole comunicare, i sentimenti inconsci di razzismo, di xenofobia, del fascino del terrorismo religioso, appartenenti al mondo occidentale.

Il film sembra voler porre questa domanda: quando questo immaginario entrerà in una fase più esplosiva, generando in nome di un bene falsamente necessario morte e mali di ogni genere nell'assoluta banalità del male, come successo con il fenomeno del nazismo? Difficile non pensare che in pochi anni l'uomo non può essere cambiato, quindi vien da pensare che questa domanda dovrebbe preoccupare molto il nostro futuro.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 28/06/2011 12.02.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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