Recensione zodiac regia di David Fincher USA 2007
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Recensione zodiac (2007)

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locandina del film ZODIAC

Immagine tratta dal film ZODIAC

Immagine tratta dal film ZODIAC

Immagine tratta dal film ZODIAC

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Immagine tratta dal film ZODIAC
 

David Fincher ritorna al grande schermo, dopo aver superato la crisi cagionatagli dalla carneficina prodotta dalla distruzione delle Twin Towers nel corso dell'attacco terroristico del 2001. Durante quel giorno di settembre, egli stava ultimando la lavorazione di "Panic Room", che uscì nelle sale all'inizio del 2002, il solo film che separa "Fight Club" (1999) e "Zodiac". Era stato proprio il finale di "Fight Club" e le sue tristi analogie con la tragedia dell'undici settembre a precipitare l'autore in una profonda inquietudine.
Per il suo rientro, un rientro in grande stile, Fincher ha deciso di dirigere un film, che non si limita semplicemente a narrare una storia realmente accaduta, ma che si dimostra fin da subito una ricostruzione puntale e precisa di alcuni fatti di cronaca, che sconvolsero la baia di San Francisco a partire dalla fine degli anni sessanta.

"Zodiac" è tratto dal libro inchiesta scritto dal vignettista Robert Graysmith (cui è seguito anche un secondo libro intitolato "Zodiac unmasked") e ricostruisce con scrupolosa fedeltà storica e documentale le indagini relative ad alcuni violenti omicidi, che furono tutti attribuiti alla mano di un solo serial killer, che li rivendicò fornendo agli inquirenti dettagli che solo l'assassino poteva conoscere.

Non ci si faccia ingannare da pubblicità fuorvianti, né dai trascorsi cinematografici del regista: "Zodiac" non è un thriller, né un film d'azione, né una pellicola d'intrattenimento, si tratta di un'opera drammatica così fedele alla realtà storica e, secondo gli esperti, inattaccabile da un punto di vista dell'attinenza documentale, da aver l'impianto strutturale dell'inchiesta giornalistica, senza quasi mai concedersi divagazioni narrative di carattere romanzesco. Non ci sono eroi, né detective dotati di un acume straordinario; non ci sono soluzioni, né spiegazioni machiavelliche; tutto è semplice, scarno e nudo, senza ragioni né motivazioni apparenti; anche la figura del serial killer viene spogliata di qualsiasi fascino e di ogni seduzione letteraria e romanzesca.

Questo film ripercorre un arco temporale di oltre vent'anni e può essere bipartito in un primo blocco cronologico, che segue lo svolgimento delle indagini coordinate fra le forze di polizia locali e quelle statali (fu interessata la sezione omicidi della polizia di San Francisco, unitamente alla polizia di tre contee oltre alla F.B.I. ed alcuni altri uffici pubblici della sede C.I.A. di Langley); il secondo narra l'inchiesta privata condotta da Graysmith (Jake Gyllenhaal), cominciata nella seconda metà degli anni settanta, quando il caso di Zodiac, ancora irrisolto, cominciava ormai ad essere vecchio e a non interessare più né l'opinione pubblica né gli organi inquirenti, e sfocia nella pubblicazione del libro da cui il film è tratto.

Il ritmo narrativo è scarno e monocorde, a tratti disadorno ed asciutto, e la vicenda si snocciola in un freddo susseguirsi di eventi. Un'indagine che progredisce attraverso una raccolta d'indizi mai definitivi, false tracce, testimonianze non univoche né risolutrici. Ogni ipotesi vagliata dagli inquirenti potrebbe essere quella giusta, ma potrebbe anche non portare a niente. L'opera di Fincher non è soltanto verisimile, è reale e concreta. Certo sarebbe stato più divertente un film con i ritmi convulsi di "Seven" ("Se7en", 1995), in cui gli investigatori risolvono brillantemente, con una facilità sorprendente e senza mai indugiare né dubitare delle proprie deduzioni, enigmi e rompicapo machiavellici che definire artificiosi sarebbe un eufemismo. Ma "Zodiac" è vero ed è proprio per questo che spaventa. Non vi sono particolari colpi di scena e il regista ha evitato accuratamente qualsiasi reazione pavloviana data dall'astuta e quanto mai inflazionata utilizzazione del binomio immagine repentina e scioccante accompagnata da una musica altrettanto improvvisa e a volume troppo alto. Fincher, basandosi molto sulle testimonianze dei superstiti, descrive con massima cura le uccisioni compiute dal serial killer e indugia sui dettagli, senza però scivolare mai nel truculento. Ciò che impressiona e che fa davvero paura è l'analisi della freddezza con cui l'assassino uccide le proprie vittime, oltre il fatto di vedere i loro corpi straziati dalle ferite prodotte dai proiettili o dalla lama di un coltello, ma ancora vivi e sofferenti nell'agonia non breve, che precede la morte. La scena dell'aggressione di una coppia presso il lago è semplicemente perfetta nell'angoscia che trasmette. È anche molto efficace e carica di tensione la scena, questa forse un poco romanzata, in cui Graysmith si trova prima nella casa e poi nello scantinato del potenziale assassino. Una regia di classe e ricca di virtuosismi, quella di David Fincher.
Sotto un profilo meramente tecnico si tratta quasi indubbiamente della sua migliore realizzazione. Inquadrature panoramiche, come quella che riprende dall'alto il Golden Gate avvolto dalla nebbia, così possenti e suggestive da non potere lasciare indifferenti.
Merita una menzione a sé tutta la sequenza, che culmina con l'omicidio del tassista. Grazie ai movimenti della videocamera ("Zodiac" è stato girato interamente in digitale con videocamera Viper ad alta definizione, strumento ben noto a Fincher, che l'aveva già utilizzata per la realizzazione di alcuni spot pubblicitari) che incomincia con l'inquadrare dall'alto le strade della città, scendendo poi lentamente e impietosamente in mezzo ad esse, lo spettatore viene calato e proiettato in quel contesto. Si noti che per realizzare quella scena parte del quartiere è stata ricostruita in alcuni teatri di posa, i Downey Studios ubicati subito fuori Los Angeles. Questo scelta è stata adottata per necessità, poiché i residenti del quartiere si sono opposti allo svolgimento delle riprese.
Interessantissima anche la scena durante la quale l'ispettore Toschi interroga i testimoni oculari dell'omicidio del tassista. Si tratta di due bambini, che non vengono mai inquadrati, quasi a volerne mantenere l'anonimato. Fincher si limita a mostrarci il volto di Mark Ruffalo e i suoi mutamenti d'espressione.
La ricchezza artistica della regia fa da contro altare all'impianto documentaristico della storia ed allo svolgimento, monocorde e spoglio, degli eventi.

"Zodiac" potrebbe essere definito un film in costume, oltretutto uno dei più difficili da realizzare, poiché risulta più semplice ricostruire ambienti di società passate e di epoche tramontate, piuttosto che ricostruire ambienti e stili di vita del nostro immediato passato. Anche in questo gli autori se la sono cavata egregiamente. Senza indulgere in eccessi sgradevoli o scivolare nelle stravaganze kitsch degli anni settanta, hanno svolto il loro lavoro con moderazione e con una cura scrupolosa per i dettagli. Non solo gli ambienti esterni, ma anche capigliature ed abiti dei personaggi, nonché i vestiti delle vittime, sono stati riprodotti così come risultavano dalle fotografie presenti negli archivi o fornite dalle stesse persone oggi ancora in vita. Nonostante alcuni inevitabili (?) anacronismi la messa in scena è perfettamente credibile e convincente.

Sul lavoro degli attori non c'è moltissimo da dire: sono tutti assai bravi e professionali. Probabilmente la rigida attinenza documentale ai fatti non ha concesso loro nessuno spazio per un particolare estro creativo o interpretativo, ma ciò li rende ancora più veri e credibili. Molto bravo, come sempre, Robert Downey Jr. che presta la propria immagine al cronista Paul Avery. Eccellente Mark Ruffalo nel ruolo dell'ispettore di polizia David Toschi. La sua interpretazione è moderata, dimessa, quasi in sordina, senza mai un eccesso, senza mai difettare di verosimiglianza. Anthony Edwards nei panni dell'ispettore Will Armstrong si conferma un'ottima spalla.
Convincente, ma anonimo, così come è anonimo il personaggio da lui interpretato, Jake Gyllenhaal nei panni di Robert Graysmith.
Merita una digressione a parte il personaggio interpretato dal sempre ottimo Brian Cox: l'avvocato Melvin Belli. Questi è stato un protagonista interessante ed importante della società statunitense degli anni sessanta e settanta. Oltre ad essere un celebre procuratore legale, famoso per aver difeso Jack Ruby (ossia l'uomo che sparò a Lee Harvey Oswald, dopo che questi era stato accusato dell'assassinio di Kennedy), aveva anche preso parte (cosa che in "Zodiac" viene detta) alla serie originale di "Star Trek" nell'episodio intitolato "Sul Pianeta Triacon" ("And the Children Shall Lead", 1968) dove interpretava Gorgan, una sorta d'incarnazione del male. E, proprio perché Melvin Belli era un personaggio così noto all'opinione pubblica, agli inquirenti risultò credibilissimo che fosse stato il vero serial killer denominato Zodiac, così assetato di protagonismo e di risonanza mediatica, a contattarlo.

Restando nell'ambito del cast artistico, ma tornando a integrarci con la trama e con l'impianto del film, è interessante rilevare che Zodiac viene interpretato da tre attori differenti e mai riconoscibili, indipendentemente dall'individuo, che Graysmith accusa di essere stato il serial killer, ed indipendentemente dall'attore (John Carroll Lynch), che ne ha vestito i panni.
David Fincher ha motivato questa sua scelta, spiegando che è stata operata per assecondare di volta in volta quelle che erano state le differenti descrizioni dei testimoni oculari, in alcuni casi vittime sopravvissute, che si erano trovate faccia a faccia con l'assassino, o almeno con un personaggio supposto tale.
Ciò costituisce anche uno degli aspetti più inquietanti di questa pellicola. Ci troviamo davanti ad un vero assassino, che non ha un volto e che non ha un nome. Restano oscure le ragioni, che lo hanno spinto a compiere i suoi crimini, ma sono noti gli esiti delle sue azioni. È una presenza malvagia, pericolosa ed inquietante, che, come in passato fece il celeberrimo Jack lo Squartatore, ha scritto messaggi alla stampa sfidando gli inquirenti e terrorizzando la popolazione, senza mai essere scoperto. È un qualcosa di sinuoso e di polimorfo, che striscia fra noi e che si ciba della nostra paura oltre che della nostra sofferenza e del nostro dolore. La morte appare quasi essere solo una conseguenza accidentale delle sue azioni e non è la scaturigine del suo piacere, che invece si concretizza e si palesa in tutto ciò che precede l'evento morte; essa è la testimonianza del suo passaggio e costituisce il vessillo, che egli lascia dietro di sé.

Sarebbe disonesto e falso affermare che "Zodiac" racconta la storia di un assassino. Questa pellicola narra la storia di tutti coloro che sono rimasti coinvolti nelle gesta vere o solo ipotetiche di questo misterioso assassino, che resta sempre avvolto da un alone d'inconoscibilità e di mistero. La storia narrata, al di là del mero e freddamente disadorno snocciolarsi degli eventi, è quella di un eterogeneo gruppo di perdenti. Uomini sconfitti, che hanno dedicato la propria vita ad un'indagine, che lentamente è diventata un'ossessione.
Essi hanno sacrificato le loro carriere, la famiglia, le amicizie e gli affetti, oltre a molti anni della propria vita, perdendo tutto ciò che avevano, nel tentativo disperato di dare un volto a un nemico.
Anche l'eterna dialettica fra mass media e forze di polizia, fra la necessità di catturare una belva feroce e sanguinaria e quella di aumentare la tiratura di un quotidiano, passa in secondo piano. Così come agisce in sordina il desiderio di protagonismo, che ciascuno porta nascosto dentro di sé.
"Zodiac" è anche un'amara riflessione sul tempo e su come spendiamo le nostre vite.

Due curiosità.

In "Zodiac" abbiamo due precisi riferimenti cinematografici (oltre ad una vasta serie, trattata superficialmente, che spazia da "Bullitt" a "Il Ladro", da "Key Largo" a "Voi Assassini"): "La Partita Pericolosa" ("The Most Dangerous Game", 1932), pellicola cui sembra essersi ispirato lo stesso assassino, e "Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo" ("Dirty Harry", 1971), dove il personaggio di Scorpio fu pensato e costruito su imitazione del vero Zodiac. Nel film si assiste alla proiezione della premiere di "Dirty Harry" al Mann National Theatre. Fincher ha diretto la scena nella vera sala in cui tale proiezione ebbe luogo e che, da allora, è restata praticamente immutata. Si tratta anche della sala in cui è stata proiettata la premiere di "Zodiac".
La seconda curiosità riguarda la tecnica utilizzata per il montaggio.
Come accennato "Zodiac" è stato girato in digitale utilizzando una videocamera Viper. Questo ha permesso a Fincher di abbandonare il tradizionale montaggio Avid utilizzando un programma che si chiama Final Cut Pro. La differenza discende dal fatto che la videocamera in questione ha un sistema di marcatura automatica delle scene, che rende addirittura superflua l'utilizzazione del ciak. E tutto ciò comporta un notevole risparmio di celluloide, di spazio, di tempo e di energie (ad eccezione di quelle degli attori che possono essere costretti a ripetere molte più volte le scene, dato che questo non costa più quanto costava prima).

Quello che non convince pienamente di questa pellicola è la sua assenza di emozione, di compartecipazione e di pathos. L'ottima regia di David Fincher appare in realtà un mero esercizio di stile, privo di qualsiasi coinvolgimento personale e passionale. Formalmente ineccepibile, ma fortemente distaccato, distante ed indifferente nei confronti della storia narrata. E questo potrebbe essere dovuto proprio alla crisi intima vissuta dal regista, citata all'inizio.

"Zodiac" è un film di ottima fattura, ma così freddo ed indifferente, a tratti ostico nei suoi contenuti e dispersivo a causa dell'enorme numero di indizi, di dettagli, di nomi, così troppo simile al documentario, che difficilmente resterà a lungo nella memoria cinematografica e che non lascia molto di sé.
La sola vera obiezione, che può essere sollevata, è se davvero ci fosse stato bisogno di girare questo film, così troppo vincolato all'impianto strutturale dell'inchiesta giornalistica.

Per quanto riguarda, invece, tutte quelle obiezioni e tutte quelle accuse di essere metafora pacchiana del terrorismo o di non essere all'altezza di altri film di Fincher, quali il famigerato "Seven" (cui non fa neppure il minimo riferimento), o di altri film sui serial killer, di essere troppo lungo o di non avere una dose sufficiente di tensione e di scene truculente, la sola risposta che possiamo dare a chi le ha sollevate è la seguente: "Zodiac" è un dramma e non un thriller, se pensavate di assistere a quest'ultimo genere di rappresentazione, avete sbagliato sala.

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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 23/05/2007

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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