all the invisible children regia di Mehdi Charef, Emir Kusturica, Spike Lee, Kátia Lund, Jordan Scott, Ridley Scott, Stefano Veneruso, John Woo Italia 2005
Il film si articola in sette episodi tutti perň con lo stesso argomento in comune, i bambini e le loro vite indifese, spesso vittime di grossi problemi sociali, con gli adulti che spesso sembrano dimenticarsene..
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I bambini... un procedimento quasi gemellato con l'ottimo "11 settembre 2001" che mette in luce la brutalita' del nostro confine sociale di adulti... Intendiamoci, un film che non aggiunge nulla di nuovo, che non ha alcuna velleità se non quella (e non è proprio poco) di costringere le nostre coscienze a lordare qualcosa di piu' dell'indignazione passiva, o temporanea Il fatto che ci riesca benissimo, nonostante non tutti gli episodi siano di alto livello, dimostra che quest'opera collettiva ha funzionato. E funziona: funziona anche quando, la maggior parte delle volte, coltiva il disincanto infantile un'utopia di un mondo dorato in una realtà francamente insostenibile. Funziona perchè procede progressivamente nel tentativo di liberare tutta l'apatica freddezza che c'è in noi, e quando non pensiamo (quasi mai) che mentre scriviamo queste righe, qualcuno è stato condannato a morire prima di essere cresciuto. Il bambino di Charef ha conosciuto la guerra, punta l'arma (verrebbe da sollecitarlo) contro gli adulti che l'hanno portato a combattere, l'Africa è un cuore che non conoscerà mai l'inverno... (8) Kusturika ci riporta la "sua" ex Jugoslavia roboante e gitanica, tra clamorose cadute, effettismi da film muto e improbabili inni militari, affrontando con un sorriso amaro l'epopea di un'impossibile redenzione (7). Spike Lee gioca pesante, e sente di dover imporre un necessario pugno nello stomaco: il cuore mi va sottoterra, ci si sente perduti e soprattutto (chissà perchè) colpevoli: la figlia di una coppia di sieropositivi ostracizzata dalla crudeltà dei compagni di scuola (i bambini possono essere anche così ... feroci), nella sua lotta tra la sopravvivenza e la malattia (10). Katia Lund e i meninos de Rua ha anch'essa una grande abilità ad affrontare il tema, ma senza piagnistei, anzi con ironia per quanto amarissima e puro realismo racconta l'arte di arrangiarsi di due ragazzini tra raccolta differenziata e lo spreco della società moderna (8). L'anello debole è invece rappresentato da Ridley Scott § son: un peterpanesco sogno che finisce per trasformare in melassa la chimera di un'empatia (5) Nemmeno l'italiano Amoruso è credibile, si limita a girare con uno stile da videoclip il solito clichè di Napoli-bambini che rubano-camorra etc. senza approfondire il tema con maggior coraggio e dinamismo (5) Una sorpresa, infine, John Woo: vagamente Dickensiano, un piccolo saggio di quanto sia ancora capace di fare l'autore di Killer quando non si fa pagare marchette da Hollywood: il destino diverso di due bambine, di ceti sociali diversi, entrambe unite da un immenso bisogno affettivo. Le bambole vengono freudianamente rimosse o gettate dal finestrino di un'auto, sintomo di un'abbienza che non tiene conto della richiesta d'amore di una figlia, e con lo stesso amore raccolte da un gruppo di bambini sfruttati - come Oliver Twist - dai nostri orribili Fagin contemporanei... Un ricatto emotivo? Forse. Ma all'emozione non si comanda. E questa ferita aperta rimane, col sapore ancora piu' meschino della rimozione (abbiamo tanta paura di piangere lacrime vere?) ma mentre mi accompagno all'uscita sento un'immenso bisogno di abbracciare un bambino e proteggerlo. Saro' retorico, ma è il vero sentimento che provo dopo aver visto questo film