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Un film che non avrebbe più bisogno di essere commentato, indiscutibilmente importante e grande. Fellini, nonostante tutto, non l'ho mai davvero mandato giù del tutto, per quanto lo riconosca come uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. Eppure il suo modo di mettere in scena l'onirico, le sue convinzioni al riguardo, la sua baroccaggine caciarona e confusionaria, l'ostentazione enfatica del grottesco e delle piacevoli contraddizioni umorali, quegli ossimori insomma, oltre all'esibizionismo esagitato e talvolta (dai, facciamo anche SPESSO) fine a sè stesso sono tutti tratti che mi hanno sempre urtato, e anche non poco. Vergogne segrete? Mah, finchè ne riconosco -nonostante tutto- l'indubbia grandezza, rimango abbastanza tranquillo. Sì perchè Amarcord è, purtroppo, TUTTO ciò che trovo di difettoso in Fellini, centuplicato. Troppa gioia guasta al voluto effetto nostalgico, troppa enfasi nella recitazione sfianca, troppo autocompiacimento visivo irrita. Eppure tutto è meravigliosamente (e non discretamente, beninteso, ma MERAVIGLIOSAMENTE) bilanciato dalla passionalissima e sensibilissima forza espressiva dell'artista riminese. Un film che rimane personalissimo e addirittura, in certi risvolti, che tocca vette intime quasi confessionali e imbarazzate. Dunque, un'opera coraggiosissima, che riesce miracolosamente a portare dalla sua anche l'irritazione mostruosa che riesce a generare. Come galleria di reminiscenze traslate nel fantastico e nella comicità paradossale e grottesca, resta inferiore a "Roma", che è decisamente il mio film preferito di Fellini, ma non si può sorvolare sull'intenzionalità ben superiore rispetto al film anzidetto, molto più ambiziosa e molto più coraggiosa. Le storielle si agganciano tramite sfumature cromatiche, connessioni verbali, trucchi di scena, narratore semi-onnisciente. E il tutto, alla fine, assume un respiro ampissimo, sconfinato e sterminato, la malinconia è incredibilmente palpabile e si percepisce qualcosa di incredibilmente profondo, un magone che scivola in gola, una rassegnazione colta nel buttarsi sulla poltrona senza più percezione di sè, insomma di percepile ma non decifrabile, visibile, spiegabile. Un effetto straordinario e umanissimo, nella sua semplicità, se si accetta, addirittura universale. Purtroppo non si può, o almeno non riesco io, a scindere il risultato finale dallo svolgimento, il presente che scivola via insieme ai personaggi dal mellifluo spazio nero che racchiude come un bigino tutte le folli revisioni autobiografiche col filtro della fantasia più intima e sfrenata. No, perchè in più punti si passa dallo sgangheramento alla simmetria visiva certosina che tanto esalta le folle ignoranti e perciò arrivo a detestare, questo insano accomodamento e incondizionato donarsi alla piacevolezza della pura vista, gratificante ma non sufficiente. Poi ovviamente il chiasso, che molti amano ma che io sopporto. Tollero, d'accordo, ma non è già più un godimento. Anzi, ne siamo ben lontani.
Comunque va dato atto al Maestro di saper come far breccia nelle anime del pubblico, cosa che io trovo non necessaria e opposta alla mia filosofia di vita, quindi inevitabilmente fastidiosa nella sua smodata ricerca empatica. Ma soprattutto va riconosciuto il magnifico e sapiente lavoro di mescolamento tecnico-visivo, che riesce a immettere strati di tristezza rimuginante e ininterrotta (si sottolinea l'importanza della musica di Rota e del suo utilizzo) nel comico susseguirsi di eventi. Come rattristarsi davanti al divertimento. L'ossimoro per eccellenza che Fellini e dopo di lui tanti altri ameranno, e che si rivelerà adattissimo per avvicinarsi al pubblico.
Se si è in cerca di un calore potentissimo, affettuoso, informale e sereno, Amarcord è la perfezione. Se oltre a ciò si è in cerca di una maestria visiva che lasci in bocca il sapore della magia, Amarcord è più che perfetto. Se ancora oltre si cerca quella furbizia accomodante che il Maestro imbastisce gongolante e contentone nelle sue messinscene irresistibilmente fanfaronanti e visivamente esplosive, maestose, ossimoricamente sbalorditive e al tempo stesso soddisfacenti e nutrienti per spirito, bocca, gola e ovviamente cervello, Amarcord non è soltanto un film perfetto, è qualcosa di immane e indefinito, in grado di delinearsi e oggettivarsi come capolavoro ma anche di lasciare libera scelta allo spettatore, in grado di decidere, senza rimorsi, se abbandonare la giostra di ricordi altrui o proseguire sino all'apice della malinconia, quella che è perdurata durante il viaggio e che scoppia potente alla fine di tutto.
Io non appartengo a nessuna di queste tre categorie, probabilmente perchè sono troppo sballottato nella vastità incommensurabile della cinematografia per capire COSA sto cercando. Ma Amarcord, che fra l'altro è diventato un neologismo, è definitivamente una squisita torta paradiso soffice e intensa, dal sapore indimenticabile, che spinge a cercarlo ancora, a volerne sempre più, un esperimento quindi quasi gastronomico, sensualissimo e tristissimo, che riesce, analogamente alla madeleine proustiana nella sua funzione, a coniugare piacere e dolore e a spingere chi lo assapora ad un parallelismo interiore fra la visione di qualcun altro e la nostra, la più intima, la più inspiegabile, la più inenarrabile.
Un Classico meritevole d'ogni gloria, al di là delle mie fisime.