amour regia di Michael Haneke Francia, Austria, Germania 2012
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amour (2012)

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locandina del film AMOUR

Titolo Originale: AMOUR

RegiaMichael Haneke

InterpretiJean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Isabelle Huppert, Alexandre Tharaud, William Shimell, Ramon Agirre, Rita Blanco, Carole Franck, Dinara Drukarova, Laurent Capelluto, Jean-Michel Monroc, Suzanne Schmidt, Damien Jouillerot, Walid Afkir

Durata: h 1.45
NazionalitàFrancia, Austria, Germania 2012
Generedrammatico
Al cinema nell'Ottobre 2012

•  Altri film di Michael Haneke

Trama del film Amour

Anne e Georges hanno tanti anni e un pianoforte per accompagnare il loro tempo, speso in letture e concerti. Insegnanti di musica in pensione, conducono una vita serena, interrotta soltanto dalla visita di un vecchio allievo o della figlia Eva, una musicista che vive all'estero con la famiglia. Un ictus improvvisamente colpisce Anne e collassa la loro vita. Paralizzata e umiliata dall'infarto cerebrale, la donna dipende interamente dal marito, che affronta con coraggio la sua disabilità. Assistito tre volte a settimana da un'infermiera, Georges non smette di amare e di lottare, sopportando le conseguenze affettive ed esistenziali della malattia. Malattia che degenera consumando giorno dopo giorno il corpo di Anne e la sua dignità. Spetterà a Georges accompagnarla al loro ‘ultimo concerto'.

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Voto Visitatori:   7,85 / 10 (91 voti)7,85Grafico
Voto Recensore:   10,00 / 10  10,00
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
Miglior film straniero
Miglior film dell'unione europea
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO:
Miglior film dell'unione europea
Miglior filmMigliore regiaMiglior attore protagonista (Jean-Louis Trintignant)Migliore attrice protagonista (Emmanuelle Riva)Migliore sceneggiatura originale
VINCITORE DI 5 PREMI CÉSAR:
Miglior film, Migliore regia, Miglior attore protagonista (Jean-Louis Trintignant), Migliore attrice protagonista (Emmanuelle Riva), Migliore sceneggiatura originale
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO GOLDEN GLOBE:
Miglior film straniero
Palma d'oro
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Palma d'oro
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Voti e commenti su Amour, 91 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  04/11/2012 11:12:08
   8 / 10
Un altro pugno nello stomaco firmato Haneke che sceglie di rappresentare la sofferenza umana sotto l'aspetto piu' comune, quello della malattia!
Ma come suggerisce il titolo ci troviamo di fronte ad' una storia d'amore, forse la piu' originale mai vista sullo schermo.
Perche non è la "love story" di Arthur Hiller ma i protagonisti sono due anziani alle soglie della vita.
Tra le mura domestiche il devoto marito accompagna la sua amata nell'ultimo viaggio e decide di escludere tutto per dedicarsi esclusivamente a lei, non c'è posto nemmeno per la figlia che oltretutto sta rinunciando al suo di amore...lei non puo' capire.
Per la riuscita di un film come questo è fondamentale il lavoro del cast e direi che la prova dei protagonisti è semplicemente da oscar!

andrear  @  04/11/2012 11:04:09
   6 / 10
Il film si lascia vedere, ma non oltre una certa ora della sera. Alcune cose sono forzate: nessun marito che ami la propria moglie la uccide in quel modo. I 2 attori molto bravi, ma io non cercherei chissà quali introspezioni in un film che nulla toglie e nulla aggiunge a tanti film similari.

2 risposte al commento
Ultima risposta 05/11/2012 00.11.24
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ughetto  @  02/11/2012 23:01:47
   6 / 10
Non mi è facile commentare questo film perfetto, spiegare che cosa non mi è piaciuto.

Partiamo dalle cose semplici: le emozioni. Nessuna.
Mi riferisco al corpo del film, cioè le scene della malattia. Mi sono chiesto perché.
La risposta che mi sono dato è che il regista in qualche modo rompe i normali meccanismi drammatici. La sua rappresentazione della malattia vuole essere descrittiva e non narrativa. In altri termini: la storia introduce e conclude, ma non è presente dentro il film. Non c'è alcun racconto, solo perfette e geniali inquadrature che descrivono.
Sembra che il regista voglia accompagnarci per mano a fare esperienza diretta, a vedere, la morte. Senza mediazione. Subito ho associato alla musica classica contemporanea, che ha rotto le tradizionali strutture e sembra voler giungere ad un'evocazione diretta dei sentimenti.
La struttura drammatica non può essere rinunciata dall'arte. Il prezzo è che questa divenga concetto puro (però è impossibile) oppure divenga oggetto di se stessa, ma allora sorge il problema del suo interesse. Non mi è possibile aggiungere altro.
Non m'interessa vedere una donna che muore, per quanto bene possa essere filmata, e per quanto l'interpretazione femminile sia una delle più incredibili che abbia mai visto.
Ma in effetti anche il titolo è una dichiarazione poetica: amour. E' una parola che si riferisce ad un concetto, non ad una storia.
Concludo: come film non l'ho apprezzato. Se lo avesse tagliato a pezzi e ci avesse fatto una videoinstallazione in un museo d'arte contemporanea probabilmente mi sarebbe piaciuto di più.

6 risposte al commento
Ultima risposta 15/11/2012 16.05.15
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  02/11/2012 00:14:05
   8 / 10
Volti in mezzo ad un pubblico, volti in un autobus di linea, infine nel loro appartamento che racchiude la loro intera vita. Haneke progressivamente isola i suoi protagonisti dal mondo esterno perchè è nello spazio limitato dell'appartamento che si consuma l'impari lotta contro l'irrimediabile. E' il legame solido che li ha tenuti uniti un'intera vita, il loro amore reciproco, l'ultima ancora che li aiuta ad affrontare una battaglia persa in partenza. Non sono le fugaci visite di una figlia lacerata lei stessa, al contrario dei genitori, da un rapporto difficile, nè tantomeno la fredda professionalità o peggio ancora la grettezza ad offrire conforto. Haneke è uno di quei pochi registi al mondo capaci di incidere nel profondo dell'animo umano, capace di entrarti dentro quando vedi i suoi film. Non è una qualità facile da trovare, ancor meno avere il talento di renderla visibile. Anche questa volta c'è riuscito.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR pier91  @  01/11/2012 16:33:26
   10 / 10
Spoiler presenti.

Forse il titolo più temerario della storia del cinema. Parola isolata, senza articolo, come la si troverebbe scritta in un dizionario. Ma Haneke non definisce, non circoscrive. Se, come ha affermato, "Il cinema racconta menzogne a ventiquattro fotogrammi al secondo" , quest'opera non fa eccezione. Eppure siamo di fronte ad un regista che ha tentato come pochi altri di avvicinarsi alle convulse sembianze della realtà.
Pur marcando insistentemente l'inganno dello schermo, Haneke non ha mai sottovalutato il potere di rifrazione delle sue storie. "Quando il saggio indica la luna, lo sciocco guarda il dito" sostiene un noto proverbio cinese. Il cinema alle volte somiglia a quel dito. Esige d'essere osservato, ma al contempo esorta a distogliere lo sguardo, a rivolgerlo verso la Vita.

"Amore" come attaccamento all' esistere, innanzitutto (per me). Tutti gli animali hanno istinto di sopravvivenza, ma nell'uomo persiste qualcosa d'altro. Si ritiene tanto insostenibile la vista di un cavallo stremato da decidere di ucciderlo; si è propensi, davanti ad una bestia che soffre senza speranza, a considerare la morte come una liberazione. Ma questa forma di compassione, nei confronti di un altro essere umano, diviene "indecente".
La consapevolezza della nostra esauribilità, della morte, ci rende creature tragicamente fragili. La mente sempre vuole trovare un senso, così la finitezza della vita non smette di procurare scandalo. C'è un momento indimenticabile in cui Ann, sfogliando un album di fotografie, commenta: "E' bello vivere a lungo, avere una lunga vita".

"Amore" come inestimabile tenerezza, sospensione di antichi rancori e scambievoli rammarichi, convivenza colma di gratitudine. Colazione in vestaglia, vicino alla finestra, in una confortevole casa borghese, ordinata ma vissuta, alla maniera intellettuale. La malattia di lei, temuta ma non del tutti imprevedibile, sovverte non solo la serenità della coppia ma anche i ruoli che essa sottende. Nell' immaginario comune è la donna che sostiene, che si prende cura, che abbraccia, che è madre nel senso più ampio. Io stessa, osservando mia nonna badare per mesi al marito infermo, percepivo soprattutto una straordinaria naturalezza. Al contrario un uomo che sorregge la compagna offre un quadro per me inconsueto, che destabilizza e commuove. La scena in cui Georges goffamente aiuta la moglie a rivestirsi nel bagno mi si è conficcata nello stomaco.

"Amore" come isolamento. Appare chiaro fin da subito che Georges e Ann sono soli e che da soli combatteranno il dramma. La figlia non vi partecipa concretamente, più per soggezione che per indifferenza. La sua fallimentare esperienza matrimoniale le rende ancora più evidente e dolorosa l' alterità dei genitori. I due insieme costituiscono un mondo segreto di desiderata solitudine. Georges rifiuta o accetta a malincuore aiuti esterni, fa di tutto per sottrarre il dolore suo e di Ann alla vista altrui. "Tanto non capirebbe" dichiara alla badante incompetente, ma è un messaggio rivolto a tutti.

"Amore" come responsabilità. Ad un certo punto Ann parla apertamente con Georges della propria condizione. "Vivere così non ha senso", "Non voglio". Sono parole asfissianti.
Ann vuole imparare a staccarsi dalla vita fin tanto che è cosciente. Inizia anche a rompere il legame con la musica, qualcosa che è troppo vibrante, palpitante, vivo.
Georges rimanda disperatamente il confronto con la volontà della moglie. Quando lei si rifiuta di mangiare e bere, lui la colpisce con uno schiaffo. Da questo istante diventa esasperante per lo spettatore l'attesa del gesto cruciale.
Poi arriva, ed è la scena- firma di Haneke: improvvisa, brutale, tachicardica. A seguire un rilascio rapido di tensione.
Un piccione s'intrufola in casa per la seconda volta. Georges chiude le finestre, lo cattura con una coperta, fa per soffocarlo. E' una sorta di confessione, quasi dicesse all'animale: ecco, questo Le ho appena fatto.

Resta il sogno di una resurrezione, la speranza che il nastro si riavvolga.


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7 risposte al commento
Ultima risposta 12/12/2012 12.40.55
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR strange_river  @  31/10/2012 13:39:39
   10 / 10
Nel rigore formale e nell'asciuttezza che gli sono note, Haneke trova il modo di comporre un canto d'amore profondo riverberante dolcezza.
E mai, nemmeno per un momento, viene meno la lucidità della ragione che nei sentimenti trova il proprio compimento e quella forza dolorosa che fa volgere repentinamente alla decisione irrevocabile.
Gli intepreti sono a dir poco straordinari, misurati nei loro gesti semplici, e per questo intensi e vicini.
C'è poco rumore in questo film



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la vita si spegne senza far chiasso.

4 risposte al commento
Ultima risposta 19/11/2012 22.33.04
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TheGame  @  28/10/2012 16:13:37
   8 / 10
Pur concedendosi oltre misura al melò, il ritratto di Haneke è semplicemente incantevole nella sua genuinità, nella sua tangibilità, nelle sue spiazzanti sfumature e, in superficie, grandi caratteristi e affascinanti scenografie a suggellare il tutto. Cinema d'essai per alcuni (concesso in un numero disgraziato di sale), ma in definitiva semplice seppur imperfetta rappresentazione in senso lato.

marimito  @  28/10/2012 15:40:29
   8½ / 10
Una romantica poesia su un argomento che stringe il cuore.. l'Amore aldilà di ogni speranza.. di ogni difficoltà.. I protagonisti in una strepitosa e dolcissima interpretazione per molti tratti angosciante, ma assolutamente capace di mostrarti la forza dell'Amore che vince ogni cosa..

1 risposta al commento
Ultima risposta 29/10/2012 10.15.14
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gianni1969  @  28/10/2012 00:12:40
   10 / 10
impossibile non dare il massimo dei voti a questo autentico capolavoro,haneke ha superato se stesso,con una dolcezza e una sensibilita' straziante affronta un tema delicato. a mio avviso il miglior film dell'anno e non solo. lunga vita ad haneke

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  @  27/10/2012 01:51:51
   10 / 10
Da grande estimatore di Haneke, pensavo di andare a vedere un ottimo film.
Mi sono proprio sbagliato: "Amour" è "semplicemente" un capolavoro.

Avevo letto alcune recensioni che parlavano di un "cedimento nel mélo" da parte del regista austriaco che avrebbe reso questo film più accettabile al grande pubblico. Tranquilli (si fa per dire): Haneke si limita a partecipare un po' di più al dramma che mette in scena aggiungendoci tre sequenze onirico-metaforiche da brivido ma che in nulla inficiano lo spietato realismo del resto.

Di sicuro è il suo film più edificante, ma è tragicamente edificante.

L'incipit pennella in poche inquadrature e alcune veloci battute serrate tutto il film: la polizia e i pompieri irrompono in un vecchio appartamento upper class del centro di Parigi trovandovi un'abitazione perfettamente ordinata e vuota. Un pessimo odore e due porte sigillate con il nastro da pacco fanno però temere il peggio: in una stanza da letto, perfettamente abbigliata e acconciata, giace su un letto una donna anziana in iniziale, ma evidente stato di decomposizione. La donna è cosparsa di fiori, la finestra della stanza aperta, il cielo parigino è terso, tira un buon vento che mitiga il fetore della putrefazione. Un attimo dopo il primo piano del volto ormai tumefatto dell'anziana appare, su fondo nero, la parola "AMOUR" a caratteri cubitali.

Se questo incipit m'ha fatto ricordare il Von Trier di "Antichrist" o, ancor più, di "Melancholia", per tutto il resto di questo kammerspiel non ho potuto non rivedere mentalmente "Sussurri e grida" di Bergman, o "Le lacrime amare di Petra Von Kant" di Fassbinder. Ma non per assonanza, bensì per l'esatto contrario: tanto la sofferenza e la morte erano urlate nelle opere di Bergman e di Fassbinder, tanto questo "Amour" è ammantato di un silenzio soffocato e trattenuto come l'afasia che divora la protagonista (una strabiliante Emmanuelle Riva: come mai a Cannes non è stata premiata anche lei?); tanto la morte era giovane e rifiutata in Bergman e Fassbinder, tanto è vecchia e accettata con rassegnazione/liberazione in Haneke.

E cosa c'entra l'Amour del titolo, allora? (Una nota: non era forse opportuno tradurlo in italiano?). Ebbene, c'entra perché l'Amore è il vero protagonista del film, forse ben più della sofferenza e della morte stesse: capiamo subito che Haneke vuole andare a parare dalle parti più scivolose di "quello che non si deve far vedere" (come fa dire a Georges-Trintignant in uno dei colloqui più tesi con la figlia), e cioè: questo potentissimo sentimento fin dove può far spingere il comportamento di una persona? Sofferenza, sacrificio, compassione e morte stanno tutti sullo stesso piano di fronte a questo sentimento?

Haneke, da collaudatissimo entomologo dell'anima quale è, non ci risparmia nessun aspetto di ciò che comporta la sofferenza senza scampo quando essa irrompe nelle nostre vite: non a caso sceglie due personaggi intellettuali, molto consapevoli e informati, affatto credenti. Non c'è una fede consolatoria a soccorrerli, non possono evitare di essere consapevoli di quanto sta accadendo loro, hanno soldi sufficienti per permettersi quelle cure e quelle assistenze domestiche che non giustificherebbero ricoveri "coatti" sterilizzatori della sofferenza: dunque sono costretti ad affrontare la realtà e a rifletterci su. E il primo, o forse l'unico grandissimo problema che si pone loro, è la compatibilità della sofferenza e della degenerazione fisica con la propria integrità e dignità.

Assistendo ai dialoghi serrati tra padre e figlia o tra moglie e marito sulla malattia e sulle sue conseguenze, non ho potuto fare a meno di ripensare al racconto, lucido e straziante al contempo, di Mina Welby sugli ultimi 3 giorni del marito Piergiorgio: non dimenticherò mai la sua voce rotta quando raccontò l'ultima notte col marito, quella nella quale lei chiese perdono a Piergiorgio per l'egoismo di non aver voluto comprendere le sue atroci sofferenze e di non avergliele volute risparmiare (come lui aveva chiesto alla moglie) per il puro egoismo di lei di non voler accettare la separazione fisica da lui. E ricordo che lei disse che solo dopo aver ottenuto il perdono dal marito, chiamò il dottor Riccio.

Haneke in un'intervista ha dichiarato di aver scritto questo film dopo una conversazione con la moglie nella quale i due si sono chiesti come avrebbero reagito all'infermità e alla morte dell'altro/a: la grandezza del film sta proprio nel riuscire a miscelare ragioni del cuore con quelle della mente esaltando l'amore nel suo senso più alto. Così come il segreto di questa coppia stava in una serie infinita di piccole gentilezze e cure (davvero commoventi, almeno per me) perpetuate nei decenni di vita in comune, così l'empatia verso la sofferenza dell'altro (grandissimo Trintignant a farsene carico sequenza dopo sequenza) porterà Georges al supremo gesto d'amore verso la compagna di un'esistenza:

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Dunque, mai il rapporto di coppia è stato reso nella sua carnalità, passionalità, dedizione, eternità come in questo film sulla finitezza, sulla fragilità ma anche sulla forza degli esseri umani.

Una mia nota amarissima: bene ha fatto Haneke a mostrarci il dramma di due alto-borghesi; con il progressivo smantellamento dello Stato Sociale e con lo scivolamento inesorabile verso la soglia della povertà della classe media, solo ai pochissimi ricchi sarà dato di potersi permettere agonie così lunghe e strazianti. La maggioranza morirà prima. Naturalmente.


P.S.1: Una nota tecnica curiosa è che questo film non ha colonna sonora, le uniche sonate per pianoforte essendo funzionali ad alcune sequenze; purtuttavia il suono ne è un elemento fondamentale almeno quanto la (splendida, mi vien da dire "perfetta") fotografia di Darius Khondji (già collaboratore di Mondino, Jeunet e Caro, Bertolucci, Fincher, Parker, Allen... può bastare!??): se avete la fortuna di vederlo in una sala ben equipaggiata noterete che ogni "chambardement" è sempre preannunciato da suoni che provengono da un "altrove" (di solito da altre stanze della casa).

P.S.2: In tutte le Marche il film è attualmente proiettato in una sola (e benemerita) sala di Ancona. Onore al Cinema Azzurro che si contraddistingue per la qualità della sua programmazione e della proiezione (in 2K senza interruzioni) nonché alla Teodora Film che ha immesso sempre film notevolissimi, ma una pellicola del genere -pur "difficile"- non avrebbe meritato ben altra distribuzione?

6 risposte al commento
Ultima risposta 29/10/2012 21.56.48
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Invia una mail all'autore del commento Bathory  @  25/10/2012 23:16:19
   9 / 10
Vedere un film di Haneke è un atto quasi masochistico, dato che al termine di ogni pellicola del regista austriaco si esce devastati e sconvolti, e Amour da questo punto di vista forse è il film più emblematico e significativo.

Haneke sviscera e seziona ogni sentimento umano nella sua accezione più "negativa" e tragica, e in questo caso è l'Amore tra Georges e Anne, due anziani insegnanti di musica in pensione, ad essere messo alla prova dalla malattia, in particolare da un ictus, che rende Anne di fatto paralizzata e non autosufficiente.
L'Amour di Georges verso sua moglie è visibile in ogni minima azione, anche la più semplice come darle un libro da leggere o tagliarle la carne, ed Haneke sembra voler dirci che è proprio in questa dimensione quotidiana e routinaria che l'amore, quello vero si estrinseca in maniera più potente.

Quando poi la malattia inizia a peggiorare e Georges si vede costretto a dover chiamare l'infermiera, l'amore e la dedizione per la moglie aumenta in maniera esponenziale fino a giungere paradossalmente al punto di rottura, che però non si trasforma in odio o rabbia, ma in rassegnazione e abbandono (fondamentale la scena nella rabbia).

La domanda che ci pone Haneke è: si può uccidere per Amore? Può essere chiamato amore il voler risparmiare atroci sofferenze alla donna amata?
Haneke risponde a questa domanda con una scena devastante, che di fatto viene ad essere il centro assoluto del film e la vera, grande prova d'Amore di Georges nei confronti di Anne.

Gli spunti,le riflessioni e le questioni che ci pone Amour sono innumerevoli in un film cosi complesso nella sua apparente semplcità, e queste poche righe che ho scritto sono davvero poca cosa rispetto alle emozioni che si possono provare nelle velocissime 2 ore di film.
Una menzione particolare va fatta a Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva (impressionante quest'ultima), 2 giganti assoluti del cinema in una prova attoriale da lasciare senza fiato.

Vedere un film del genere distribuito in sole 37 sale in tutta italia è veramente vergognoso.

1 risposta al commento
Ultima risposta 08/01/2013 15.49.59
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