Baaria è il nome fenicio di Bagheria: attraverso le vicende di tre generazioni di una famiglia il film racconterà un secolo di storia italiana, con le Guerre Mondiali e l'avvicendarsi, sulla scena politica, di Fascismo, Comunismo, Democrazia Cristiana e Socialisti.
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Non basta quella che da più parti è stata definita una sincera passione del regista per il cinema, oltre che all’amore per la sua terra, a dare calore a un’operazione artificiosa e macchiettistica. Non c’è traccia di lirismo in una rappresentazione soffocata da scelte narrative superficiali e folcloristiche, e nemmeno l’ombra di vero pathos nei risvolti più drammatici, perché il tono è comunque perennemente quello della commedia che ammicca al grande pubblico, senza approfondire situazioni e caratteri. Non c’è realismo in questo prolisso susseguirsi di scenette stereotipate, in quei mafiosi usciti dalle inoffensive parodie del Bagaglino, in quella finta dimensione della miseria che ha più il sapore della cartolina patinata piuttosto che quello della polvere e del sudore. Se poi vuole essere una fiaba, è una favola che non incanta, più vicina a un campionario retorico di luoghi comuni che al sogno meraviglioso di un bambino. L’unica cosa che si fa ricordare è il viso di pietra della Sastri.