Quando sua sorella gli chiede di prendersi cura di suo figlio, un giornalista radiofonico intraprende un viaggio attraverso il paese con il suo energico nipote per mostrargli la vita lontano da Los Angeles.
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Non è uno di quei film che mi fanno andare in brodo di giuggiole, però ho apprezzato l'angolazione dell'approccio non banale e la buona qualità dei dialoghi. E' un film che ho trovato sincero nel ritrarre due generazioni diverse e le dinamiche che nascono e sviluppano fra i due personaggi con il piccolo protagonista che riesce a creare una buona alchimi a con Phoenix. Un film che potrebbe decadere verso tonalità melodrammatiche ma riesce a ad evitare tale deriva. Malinconico ed a volte anche scanzonato è un film che permettere di osservare come una generazione di adulti si approccia al mondo infantile. Sfera pubblica che si sovrappone a quella privata in cui il personaggio di Phoenix registra i desideri di una generazione giovanissima proiettata in un ipotetico futuro.
Non mi è piaciuto molto, soprattutto per lo stile, l'ho trovato un film verboso, retorico, falsamente profondo, diciamo che è proprio il soggetto che lo porta ad essere tale, con questo espediente di Joaquin Phoenix che va in giro per l'america ad intervistare i ragazzini e ne escono discorsi più vicini ai libri di Platone e Aristotele che al pensieri di un ragazzino di quell'età, io a quei tempi pensavo a giocare a pallone e tirare le pietre per strada alle persone, non avevo scoperto neanche la phiga, altro che discorsi per il futuro, ma comunque anche facendo finta siano realistici, è proprio lo stile con quel voice over costante che ripete frasi ad effetto su immagini delle città americane in bianco e nero che mi ha infastidito tanto.
Poi il soggetto in sé non è neanche malaccio, certo per nulla originale, con la solfa dell'uomo un po' distaccato, che non sente la sorella da tempo che si ritroverà inizialmente per necessità ad accudire il figlio e il progressivo avvicinamento tra due caratteri diversi che si convertirà nella crescita personale, tirando in ballo più argomenti, da un certo orgoglio tipico degli adulti, spesso inspiegabile, all'assenza di una figura genitoriale per il ragazzino che alterna momenti di grande complicità a momenti di ribellione, procedendo con i soliti alti e bassi, ma francamente anche lì, i dialoghi e lo stile li ho sentiti fin troppo ridondanti.
Tecnicamente è validissimo, non gli si può dir nulla, il bianco e nero è sfruttato anche bene e Joaquin Phoenix si dimostra l'ennesima volta un grande, qui magari in un'interpretazione più contenuta rispetto ad altre celebri uscite degli ultimi anni, però riesce comunque a bucare lo schermo col carisma, è tutto il resto che non mi è andato giù. Mills l'avevo apprezzato parecchio per "Beginners", questa volta, meh.
Un viaggio attraverso l'America alla ricerca della speranza del futuro. Sono i giovani che devono rispondere a questa semplice domanda per comporre un articolo di giornale redatto dal nostro protagonista.
Il film vive di sussulti tra l'obbiettiva qualita' tecnica tra fotografia e recitazione, ad una sceneggiatura spesso troppo tediosa che rischia di annoiare lo spettatore.
Credo che alla fine sia un film incompiuto forse proprio perche una risposta a certi interrogativi non si puo' dare, o forse perche a volte il tasso di malinconia supera il livello di guardia.
Fotografia molto bella, le inquadrature di NY, Los Angeles, Santa Monica e New Orleans valgono il film. Molto interessanti le interviste ai ragazzini, con la loro visione del mondo e del futuro che li attende. Realistico il rapporto del protagonista con la sorella che gli chiede di occuparsi del figlio durante un periodo di assenza abbastanza prolungato. Il ragazzino è davvero speciale ed il rapporto con lo zio cresce man mano, inevitabile che si crei un legame tra due persone molto particolari. Phoenix come sempre è profondo e malinconico, un attore del tutto non convenzionale.
Un film di formazione e introspezione, calato nella società moderna fatta di relazioni liquide e situazioni imprevedibili, pur non aggiungendo spunti particolari, si regge su una grande regia, interpretazioni dei 3 protagonisti (davvero di alto livello) e la scelta del B/N che da' al film un'atmosfera particolare, quasi retrò. Un po' penalizzato dai alcuni dialoghi che appaiono eccessivamente prolissi ed artefatti.
L'arte indipendente ha sempr'avuto due anime contrapposte: quella che compensa il budget ridotto con idee imprevedibili, sorprendenti, fuori dagli schemi, e viceversa quella che si rinchiude dentr'un format perciostesso stereotipato. Penso ch'oggi sia sopravvissuta solo la seconda, e l'A24 è una della case di produzione maggiormente invischiate con quest'indie retorico e pleonastico. "C'mon C'mon" è un film petulante? Avrebbe ottenuto l'identico disastro pure col silenzio d'un film muto. Periodicamente si sfornano lungometraggi sui rapporti intergenerazionali e m'è sembrato di guardare un reboot di "Nebraska" (Payne 2013). Terrificante che Mills, celebrato autore dei primi videoclip per gl'Air, abbia scelto un brano dall'album d'esordio degli Wire giusto per il titolo "Strange" (https://www.youtube.com/watch?v=Zv0fFtP6iIQ). Con un budget superiore avrebbe scelto i Doors di "People Are Strange"?
Mike Mills scrive e dirige un lungometraggio dove il bianco e nero va a incarnare l'immarcescibile dicotomia tra i fallimenti dei "grandi" e le sfuggevoli speranze della loro prole. Alla base di tutto troviamo l'incapacità di esprimere le proprie emozioni in un presente sempre più insicuro, e soprattutto quel principio di autodeterminazione che prova ad affrancarsi da un vero e proprio limbo esistenziale instabilissimo. La sceneggiatura costruisce un rapporto zio-nipote che colpisce per autenticità, e le prove attoriali di Phoenix e Norman evitano tutte le banalità del viaggio di scoperta del sé. Poi, si può dire che a volte i dialoghi siano un po' troppo artefatti, se non addirittura inutilmente verbosi e filosofeggianti, ma è innegabile che smuova interrogativi a cui spesso abbiamo troppa paura di rispondere. Il topos dell'introspezione on the road, inoltre, offre un sentito e aggiornatissimo ritratto dell'America contemporanea e multiculturale.