Due uomini sono amici da una vita ma a un certo punto, proprio quando si trovano insieme su una remota isola irlandese, uno dei due decide di voler troncare l'amicizia, generando una situazione strana e sgradevole.
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VINCITORE DI 3 PREMI GOLDEN GLOBE: Miglior film commedia o musicale, Miglior attore in un film commedia o musicale (Colin Farrell), Miglior sceneggiatura (Martin McDonagh)
Un film toccante, grottesco, cupo, fiabesco e dannatamente ammantato da un'aura surreale che si mischia con il reale. La bellissima fotografia ritrae i paesaggi irlandesi quasi in modo mitologico, la colonna sonora non si adagia sulle sonorità folkloristiche ma costituisce l'altra anima che richiama il film. Tre attori: Farrell che è ormai come il vino (più invecchia e più migliora), Gleeson che non ha mai perso un colpo, Keoghan che ormai si diletta nella sua ascendente carriera d'attore e un'attrice, questa bellissima Kerry Condon che rappresenta la mediazione agli estremi degli altri, completano il quadro attraverso le loro caratterizzazioni, sempre servite con maestosità sulla punta di uno spillo nella loro strabordante dote di saper recitare. Dietro a tutto questo troviamo McDonagh, che racconta su diversi strati di sceneggiatura: la vita umana e la storia irlandese che fa da retroscena in questa viscerale e personale visione delle cose. Posso dire che ricorda i fratelli Coen, ma è solo un miraggio alla domanda <chi ti ricorda?>, lì dove il folklore smaliziato americano dei fratelli prende piede in quello di Martin è l'umanità situata in esso che prende forma europea e poi esplode, in modo inaspettato e molte volte anche poetico.
Guardando questo film, mi sono ritrovato a pensare a una classica affermazione: "Un'opera d'arte dice più riguardo chi la osserva che sul suo creatore". Cosa dice riguardo a me il fatto che, dopo aver visto "Gli spiriti dell'Isola", non avevo la più pallida idea di cosa avessi appena visto? Io, che da cinefilo dovrei essere in grado di leggere fra le righe e svelare anche solo un nocciolo di significato nell'opera più astratta? "Gli spiriti dell'isola" ha eluso tutti i miei tentativi di cominciare a dargli un senso. Anche ora, ripensandoci, non ho idea di come inquadrarlo. Il succo della faccenda riguarda due amici il cui rapporto si rompe dalla notte al giorno a causa del più vecchio e, immagino, il più acculturato dei due, Colm il violinista (Brendan Gleeson); l'altro, Padric il contadino (Colin Farrell), rimane a dir poco confuso da quest'improvviso cambio di atteggiamento. Per il resto del film, cerca di farsi dare una spiegazione plausibile e questa situazione in apparenza innocua si sviluppa in un graduale crescendo fino a estremi che non potete immaginare, in maniera surreale e modi che non hanno molto senso. Nel corso della sua crociata per conoscere la verità, Padric interagisce con le altre stralunate personalità che popolano l'isola del titolo, Inisherin; incontri strani con persone strane, con pause nelle frasi dove non dovrebbero essercene, risposte strane a domande ambigue, giri di parole o discorsi fin troppo scarni che, in un modo o in un altro, girano sempre a vuoto. Film del genere sono alla mercé di chi li guarda, e ciascuno può leggerci quello che più gli aggrada. Magari è una laconica osservazione su come solitudine e carenza di comunicazione possono deteriorare le persone più bendisposte, o una metafora sulla guerra civile irlandese (i cui spari si sentono spesso dalla terraferma), i cui dettagli sono talmente grigi e poco chiari da essermi sempre sfuggiti; e questo potrebbe aver contribuito al mio non capire. O semplicemente, è uno scagliarsi contro il fatto che niente in questo pazzo mondo ha veramente senso. Una faida fra due persone in apparenza lucide e ragionevoli viene portata all'estremo perché entrambi i protagonisti reagiscono in modo infantile e irragionevole a determinate situazioni (c'è una scena di confessione con Colm che è emblematica): quindi, la gente agisce in modo sciocco per ragioni sciocche, pur sapendo quanto sono sciocche. Ma ci sono rassegnate, perché sanno che non possono farne a meno, che è nella loro natura. In fondo, non c'è molta differenza fra questa particolare contesa o una guerra, cambia solo il numero di persone coinvolte. Le ragioni, anche le più nobili, sono sciocche e sciocco è il ricorso alla violenza. O chissà, forse non significa assolutamente niente. Per il resto, posso solo parlare dell'ottima fotografia, delle solide recitazioni, dello humour nero che ricorre dall'inizio alla fine in dialoghi che sembrano scritti nel mezzo di un trip di LSD per quanto sono a tratti inconsequenziali (certamente per scelta). E del fatto che, nonostante tutto questo (o forse proprio per questo), "Gli spiriti dell'isola" è unico, ha una sua voce. Anche conoscendo la premessa, è impossibile predire dove va e come ci arriva e questo lo rende senz'altro apprezzabile, sempre che uno ci veda una meta. Di nuovo, l'opera d'arte dice più sul suo pubblico che sul creatore.
E' una guerra diversa quella che si svolge nella fittizia isola di Inisherin rispetto a quella in lontananza che viene accennata in più di un'occasione con colonne di fumo sulla terraferma, la guerra civile irlandese tra lo stato provvisorio d'Irlanda e l'IRA nell'anno 1923 ai suoi ultimi sussulti. Colm il violinista improvvisamente e senza dare troppe spiegazioni interrompe la lunga amicizia che lo lega al mite mandriano Pàdraic che non accetta il gesto e cerca in ogni modo di avere una risposta plausibile al gesto offensivo nei suoi confronti. L'argomento del litigio diventa ossessivo in un piccolo luogo dove gli abitanti non hanno molte variazioni sul tema e prenderà pieghe inaspettate ed estreme. Con una bellissima fotografia e riprese suggestive sulle splendide isole di Achill Island e Inishmore, "The Banshee Of Inisherin" conta anche sulle perfette interpretazioni dei due protagonisti Brendan Gleeson e Colin Farrell oltre a Barry Keoghan lo "scemo" del villaggio e Kerry Condon la saggia sorella di Pàdraic. Martin McDonagh conferma il suo talento artistico regalandoci un'opera ai limiti del grottesco dove i dialoghi raggiungono vette superiori.
Martin McDonagh torna nelle sale e firma un'altra grande pellicola. Una sorta di teatro dell'assurdo, con una vicenda ambientata su un'isoletta irlandese, ottimamente fotografata. Molto bene la coppia di protagonisti. Ottimo lavoro.
Sinceramente mi ha lasciato un po' perplesso, una storia un po' vuota e fine a se stesso con un umorismo molto meno tagliente ed efficace del solito. Per me a questo giro il regista ha toppato, film piuttosto anonimo.
Sembra una commedia grottesca che parte da un'amicizia tradita e passa in rassegna una serie di personaggi sconfitti e sconfinati su di un'isola lontana, ed invece è un ritratto amaro e spietato di un microcosmo di anime senza speranza e senza futuro, di una vita che scorre troppo a rilento per valere davvero la pena di essere vissuta appieno. Dopo il meritato successo di "Tre manifesti a Ebbing, Missouri" era difficile per McDonagh tornare a fare centro con un nuovo film corale e potente. Ed invece, per nostra fortuna, ce l'ha fatta. Nella battaglia di bravura tra Farrell e Gleeson spunta la terza incomoda Kerry Condon: per me la più brava del gruppo.
Ci sono grandi film, e questo è un grande, grandissimo film, che non possono assurgere allo status di Capolavoro perché si privano delle ragioni delle scelte che ruotano attorno ai suoi personaggi. Anzi, forse sono proprio i personaggi il vero problema. Cerco di capire, perché rare volte un cinema di introspezione è riuscito a penetrare così abilmente - e con un velo di latente, inquietante ironia, nelle spire dell'Uomo, raccontando come le sue ombre possano scaturire attraverso la vendetta e l'automutilazione da ragioni futili. Supportato da dialoghi che rasentano il nonsense cfr. In questo senso sfruttare il nome del "nativo" Beckett può essere credibile, "Gli spiriti dell'isola" comincia a raccontarci o persuaderci di una felicità (?) coltivata negli stessi stilemi, nei cliché quotidiani di un'isola noiosa e artefatta/protetta perfino dalla Guerra di un'umanità che deve esprimere con le armi il proprio conflitto. Una "felicità" latente, ripeto, fatta di bicchierate in osteria, di pastorizia, di funzioni religiose, di canzoni popolari tramandate nei decenni, una "felicità" dove il valore di un'amicizia è quasi imposto per non morire di sonno. In questo senso la guerra privata del protagonista appare illogica quanto più il suo personaggio non ha alcuna credibilità profonda da poter esaudire le sue richieste di attenzioni. Resta un ottuso isolano che ignora i pericoli ma anche le attrattive del mondo, a dispetto dell'amico/nemico che nel Suo Mondo compone musica, si diletta di arte, prova a non essere testimone passivo del suo tempo e del suo habitat. In questo contesto, il film chiude il suo cerchio, nel mefitico epilogo, che assomiglia a una Metafora sull'esistenza che qualcuno vicino cfr. La sorella ha già provveduto a modificare a suo favore. Sullo sfondo di una bellezza naturale senza confronti, ma per molti aspetti statica e mai strategica nelle sue scarse risorse, il conformismo imperante, per non dire l'abitudine, accetta come inevitabili anche forme morbose ed esecrabili di rapporti familiari (padri e figli) senza scomporsi. Il "fuori" per quanto corroso da una battaglia distinta stolta ma in qualche modo comprensibile, è il Mondo che, nella sua imperfezione, coltiva - per assurdo - un margine anche imperfetto di Vita
Una sorta di pièce di teatro dell'assurdo, in cui il palcoscenico sono i paesaggi metafisici da confini del mondo dell'isola irlandese di Inisherin.
La sceneggiatura è in effetti un racconto al limite del paradosso, e del non-sense. Se la si prende alla lettera è abbastanza surreale ed estraniante. Entrati però nel mood del racconto, che appunto deve essere quello di pensarsi davanti a una narrazione quasi teatrale, ci si rende conto che dietro gli eccessi, i paradossi e i parossismi, c'è una storia che appositamente esaspera alcune dinamiche per creare una grande metafora. Certamente la metafora ha anche a che fare con la guerra civile irlandese, che in effetti è sempre costante alle porte in tutto il film. Ma direi più che altro che la metafora è sulla crisi che può scatenarsi tra due realtà affini, tra due realtà amiche da sempre, e che poi di colpo, per futili motivi, si allontanano. E di come questo allontanamento e questa lite possa essere atroce, durissima, persino auto-lesionista, quando da un profondo legame si arriva a un odio così netto. La crisi è talente estesa che si arriva al punto da non capire più nella resa dei conti, chi ha cominciato cosa, chi è ancora in debito e chi è in credito. Inoltre la crisi si estende a tutta la comunità, cambia gli equilibri dei rapporti, lascia esterreffati e ammutoliti tutta la società che ruota intorno ai due litiganti.
Alcuni hanno paragonato questa metafora al conflitto fratricida Ucraina-Russia. Direi che il fascino di questo film è che nel grottesco e nell'assurdo riesce a parlare sia di una piccola dinamica umana, sia di una grande dinamica sociale.
Una piccola guerra civile tra i due amici e sullo sfondo una grande guerra civile. Basterebbe questo per sottolineare l'insensatezza di questo genere di guerre, forse gettando un occhio anche a quello che succede in Russia/Ucraina.
Il sempre ottimo Martin McDonagh gira un film sorprendente e originale che ha nei bizzarri dialoghi il suo punto di forza. Per fortuna non è solo un film di genere grottesco ma che apre a diversi significati andando a pescare da tradizioni celtiche, vecchie leggende o altro. Un mix affascinante, mai noioso e che non cade nel ridicolo malgrado alcune scelte dei protagonisti sembrino fuori di testa.
Aggiungiamo i bellissimi scenari e un grande (come sempre) Gleeson.
rispetto a 3 manifesti a ebbing questo film è decisament molto meno interssante. si salva solo la bellissima fotografia ma per il resto una intera storia sulla divisione dei du amici con tutte le consguenzwe folli abbastanza forzate che ne conseguono non mi hanno preso per niente e nemmeno coinvolto.. unica nota positiva il finale che secondo me chi ha osannato questo film non ha capito
L'originalità premia sempre. E anche la voglia di intimità, di ricercarsi e di riscoprirsi, da parte dei registi, cosa che nell'ultimo periodo fanno sempre di più. Dopo un inizio di carriera molto libero ed una maturità autoriale conquistata con l'approvazione del mondo cinematografico che conta, Martin McDonagh ricerca il proprio stile e la natura filosofica dei suoi film attraverso la propria discendenza irlandese. E in parte anche il contrario. Il surrealismo qui non si limita alla scrittura grottesca dei personaggi o alla visione mistica e folkloristica degli eventi, sensati nella loro insensatezza, ma alla strana sensazione che qualcosa di insolito provoca. Questa isola, questa bolla sociale, che conosce il mondo solo grazie a qualche lontano rumore o a qualche cortina di fumo, sembra in parte un luogo divino lontano dai problemi dei mortali, in parte un luogo dove le anime soggiornano in attesa di venire chiamate, da una parte o dall'altra. Un concept assolutamente geniale. La qualità narrativa ci dice invece che il distacco dell'autore dai suoi maestri è sempre più marcato. La violenza che porta ad altra violenza è un tema sempre più personalizzato ed usato come imbottitura per delle storie in cui il conflitto continuo e continuativo è fondamentale per l'essere umano, in cui un rapporto fondato sull'odio è giusto tanto quanto un rapporto fondato sull'amore, in cui l'essere buoni e l'essere cattivi sono due cose che devono bilanciarsi. Questo capolavoro approfondisce antropologicamente la poetica di McDonagh, che ne trova il genoma nella storia moderna della sua Irlanda indipendentista. E lo fa bene. E lo fa con un film mai visto prima.
Il film ha come punti di forza l'interpretazione dei 2 protagonisti,la fotografia ,' l'implicito messaggio( che ne costituisce il punto di forza ma anche il suo limite)
Non c'e'una spiegazione che giustifica il comportamento dei due amici se non si guarda oltre e allora diventa tutto chiaro e semplice.La guerra di qualunque origine essa sia non ha senso alcuno(,per cui non la si puo'traslare in modo realistico e credibile)Lo spettatore non riesce a empatizzare con i due ,che seppure su posizioni diverse,agiscono uno senza cuore e l'altro senza cervello
Bellissima metafora umana della Storia dell'Irlanda. Film riuscitissimo , girato ed interpretato alla perfezione, della durata giusta e dalla fotografia ed ambientazioni meravigliose.
Gli echi mitologici e visionari rendono la visione del film incantevole e Barry Keoghan e Brendan Gleeson superbi.
Un insolita sceneggiatura in un isola senza tempo. Un po commedia un po' deprimente ti incolla scena dopo scena. È ciò che il vero cinema può riservare malgrado sia una storia molto semplice e lenta. Per raggiungere questi risultati la regia gioca con l'animo dello spettatore, semplici aneddoti e una sceneggiatura che sembra venuta fuori da una racconto leggendario. Merita. Anche le espressioni e le sopracciglia di Colin Farell meritano.
Al quarto film, dopo una carriera come regista teatrale McDonagh trasforma la terza piece teatrale omonima in un film, non essendo mai stato nè pubblicato come opera letteraria, nè come opera teatrale, a differenza degli altri due. Certamente prendendosi un rischio calcolato il regista irlandese ne fà un film sobrio, senza fronzoli come è suo agire, in cui gli attori nell'interpretare i personaggi fanno la DIFFERENZA. Mentre Blendan Gleeson da quel caratterista affidabile che è lavora per sottrazione, dando al suo Colm lo spessore che serve, Colin Farell è un Padraic semplice, gentile ma anche disperato per la fine di un amicizia che era il sostegno della sua vita. Sull'isola immaginaria di Irishin si consuma il dramma metaforico del popolo irlandese, mentre la guerra infuria sull'Irlanda, l'isola vive al di fuori di essa, rapportandosi con il suo isolamento che crea una manica di semplici, irascibili, pettegoli e arroganti uomini e donne che si trastullano con vizi e virtù. Il film rasenta la perfezione nell'impianto narrativo, che contempla la vita semplice ma sempre uguale di una comunità dove oltre al lavoro, al bere e alla musica non c'è molto altro. Raffigura la vita irlandese un secolo fà, e i vuoi pregi, e i suoi vizi. Tutto viene messo in discussione, e tutto nel bene o nel male finisce, ma McDonagh non è mai scontato, e se le
grottesche amputazioni ricattatorie che Colm getta letteralmente contro la porta di casa di Padric per farlo sentire in colpa lo fanno apparire più disperato dello stesso ex-amico
Ogni azione provoca una reazione, volontaria e non, a cui alla fine solo la sorella di Padric, Siobhan cerca di sfuggire
accettando un posto di lavoro in Irlanda, lontano dall'isola di Irishin
Il film merita almeno l'oscar come miglior film e soprattutto miglior sceneggiatura ORIGINALE che spero i membri dell'academy sappiano riconoscere. Non di meno sia Barry Keoghan che Kerry Condon meriterebbero quelli come attore e attrice non protagonista. Gli spiriti dell'isola ha la forza delle storie semplici ma che sanno narrare delle paure e delle debolezze umane, oltre che dei desideri.
Buon film, adoro il cinema di McDonagh. Atmosfera e paesaggi d'incanto, attori straordinari, dialoghi bellissimi. Tuttavia, gli manca qualcosa per essere davvero grande, la trama infatti, nonostante i tanti simbolismi, è molto sempliciotta. Succede poco e niente, si aspetta qualcosa che non accade. Comunque da vedere,anche se non ai livelli delle precedenti pellicole del regista.
Bello questo film,ho visto i film precedenti di McDonagh e anche questo non mi ha deluso. Bellissima la location,i dialoghi molto molto interessanti.Bravi i protagonisti,meritano un oscar. Da vedere.
La disperazione, arto dopo arto, si mangia viva silenziosamente la gentilezza, parificandola a sé stessa, per questo l'oscurità inghiotte eternamente la luce, portandola al suo stesso pari, metafora che si consuma al di là dell'acqua, oltre lo stesso orizzonte sulla terra ferma, mentre si sentono ancora le cannonate degli anni '20, l'eterno ritornello, che no, non finirà mai.
Sono davvero un po' in difficoltà a commentare questo film e probabilmente commetto l'errore di valutarlo a caldo dopo la visione. Andiamo per gradi: "Gli spiriti dell'isola" è un filmone, punto. La fotografia è sconvolgente, il soggetto è robusto, così come la sceneggiatura. I dialoghi più di una volta sono strepitosi e i due protagonisti sono in formissima. Il montaggio è decisamente lento, ma per quello che è il soggetto va benissimo così. Però, non so, io ho percepito ben più di un filo di autocompiacimento in McDonagh: abbiamo capito che ce l'hai grosso, anche Loach o Malick ce l'hanno grossissimo, ma non avevano bisogno di ribadirlo così apertamente. Non so, magari tra un po' sarà tra i miei film preferiti in assoluto, ma a caldo mi ha lasciato quel po' di amaro in bocca da non farmi gridare al capolavoro assoluto.
"The Banshees of Inisherin" parte come una commedia nera, ma pian piano si fa sempre più drammatica, in cui i comportamenti di un individuo (Colm) vanno a sconvolgere la quotidianità di un'isola dove tutti si conoscono e tutti sanno tutto di tutti. Pellicola che indaga sul rapporto d'amicizia tra due uomini che senza (apparentemente) ragioni non vanno più d'accordo. McDonagh pone anche diversi interrogativi allo spettatore sui vari comportamenti umani e l'escalation della sceneggiatura è riuscita, diciamo che non tutti i comportamenti dei personaggi mi sembrano credibili. Comunque particolarmente azzeccata l'ambientazione e grandissime prove degli attori (soprattutto Farrell, Gleeson e Condon). A mio avviso non è ai livelli di "In Bruges" e "Tre Manifesti...", che personalmente reputo due mezzi capolavori, ma rimane comunque un film da vedere.
Continuo a non capire il perchè a Hollywood si straccino le vesti per McDonagh. O forse si, e il problema sta tutto nella picchiata qualitativa del cinema hollywoodiano, così messo male che è prontissimo puntualmente a elevare un prodotto medio come questo a roba che neanche Tarkovskij.
Il film è una chiara allegoria sul popolo irlandese (entrambi i genitori del regista sono irlandesi ed egli stesso ha la doppia cittadinanza britannica/irlandese). Si percepisce il legame intimo di McDonagh con quel paese. Un popolo che si è fatto la guerra, che si è ammazzato a vicenda (non a caso la guerra civile sullo sfondo): i due personaggi (va detto, ottimamente interpretati, con uno dei migliori Farrell di sempre) simboleggiano proprio il conflitto del popolo irlandese sul finire degli anni '20: piuttosto che chiarirsi meglio farsi la guerra, meglio farsi del male da soli (non a caso l'automutilazione), meglio non parlarsi. Così la sorella di Padraic è il simbolo dell'emigrazione irlandese, storicamente caratteristica di questo popolo (tanto più nel periodo in cui è ambientata la vicenda). Questa allegoria arriva in modo chiaro ed è filmicamente risolutiva, cioè questa è la cosa principale che il film vuole dire. Ma McDonagh tocca anche altri temi e in particolare l'importanza dell'arte e quello del trascorrere del tempo: entrambi rimangono temi non eviscerati dal film; l'uno elemento centrale di una "scena madre" (il confronto nel pub sull'arte, Mozart, ecc.) l'altro rimane ancor di più in tracce sparse e mai ricomposte in modo organico e coerente. È vero, qua e là si ride di gusto, ma la scrittura di McDonagh sembra essere molto buona nel trovare momenti di brillantezza battustica, decisamente meno nel sostenere un film-allegorico che svelato il messaggio fila via decisamente piatto.
Allora: McDonagh è uno bravo, bravissimo, ed ha dimostrato con appena 3 film (uno splendido, uno buono ed un capolavoro) di meritare un posto alla tavola dei più grandi. Perciò se decide di girare un film apparentemente minore su una piccola isola al largo dell'Irlanda ambientato negli anni '20, tu lo vai a vedere e speri di uscirne arricchito. Il guaio è che se così non è poi esco con l'amaro in bocca, perché quando a deludere è uno veramente bravo la delusione è ancora più cocente (tipo Spielberg con The Fabelmans).
E quindi abbiamo questo film molto intimista, in cui la guerra civile fratricida irlandese fa da contrappunto alla guerra fratricida tra due amici sulla piccola isola di inisherin: il mite e semplice Padraic e il musicista Colm.
Le schermaglie senza senso tra i due sono forse metafora delle schermaglie senza senso della guerra civile, o forse sono solo il sintomo di una terra che non offre nulla se non chiacchiericcio, noia, disperazione e birra; il guaio è che in fin dei conti non interessa più di tanto a nessuno.
Ciò detto, proprio perché McDonagh è bravo, il film è pieno di dialoghi brillanti, paesaggi stupendi stupendamente fotografati, e il duo Farrell/Gleeson è meraviglioso: ma 3 Manifest e in Bruges erano su un'altra galassia.
Gran bel film! Piuttosto particolare, a cavallo tra vari generi, con dialoghi riusciti "in bocca" ad un cast eccezionale ed un Colin Farrell in stato di grazia. Splendida fotografia in splendide location. Una pellicola che trasmette parecchio allo spettatore...dolcissima l'asinella Jenny!
Martin McDonagh continua a fare centro con il suo stile e la sua narrazione. Ho apprezzato ogni singolo film che ha creato e quest'opera, una brillante allegoria della guerra civile irlandese in chiave tragicomica, è forse il mio preferito tra i suoi lavori.
Il lavoro della macchina da presa è estremamente bello, i toni comici e drammatici si fondono alla perfezione e tutte le interpretazioni del cast sono straordinarie. La narrazione è semplice e basilare, ma funziona grazie allo stile di scrittura dell'autore e la sua regia. I personaggi sono strani e divertenti da guardare e tra i punti di forza maggiori del film vi è la chimica tra gli attori e il loro legame col territorio, ti sembra veramente che siano lì da una vita e che tu stia guardando una storia vera (immagino abbia aiutato molto il fatto che gli attori siano tutti irlandesi e la location sia un'isoletta gaelica).
3 manifesti mi piacque, qui il regista si sposta dalla provincia americana all'Irlanda del primo dopoguerra (visto in originale: parlano un inglese velocissimo e quasi incomprensibile se non si segue con molta attenzione). I paesaggi, bellissimi, fanno da sfondo con un impatto visivo notevole. Anche qui, come in 3 manifesti, in un ambiente apparentemente tranquillo, statico fatto di routine noiosa, di persone profondamente depresse, si rivelano progressivamente scenari inquietanti, drammatici, rapporti personali tesi, dai toni sempre più forti e violenti. L'ho trovato un po' ostico e difficile d seguire, anche per via dei cambi di registro (dall'ironico, grottesco, quasi commedia surreale, al drammatico) che disorientano e confondono, soprattutto nella prima parte. Non mi è piaciuto come 3 manifesti, ma sicuramente merita una visione.
La scelta del violinista, inizialmente assurda, diventa poi comprensibile, dettata dalla paura di star buttando via il proprio tempo e la propria vita, dalla disperazione, dall'angoscia per la guerra di indipendenza che resta sullo sfondo, come uno spettro. L'alternativa è scappare... o il suicidio (come il ragazzo disadattato
Colgo l'occasione per spiegare la faccenda (forse) una volta per tutte. L'antropologia di Nietzsche è dualistica contrapponendo i nichilisti attivi ai passivi: mentre gl'uni accettano lo status quo per "amor fati", gl'altri non riescono ad adattarvisi non possedendo un'indole che consenta loro d'accettare il survivalismo col suo processo degenerativo fino all'estinzione. Sin qui l'umanità ha dimostrato di rientrare in tale categoria binaria, idem l'intera cultura planetaria. L'esistenzialismo novecentesco è stato un fenomeno di massa ch'è andato scomparendo nella seconda metà del secolo. Ancor prima troviamo l'epica greca da Omero a Esiodo, la filosofia presocratica, la tragedia ateniese giunta al punto di non ritorno con l'"Edipo a Colono" di Sofocle nel 401. In ambito ebraico, l'ulteriore radice del pensiero occidentale, troviamo il disfattismo del Qohèlet. Il problema di costoro consiste nel fatto che hanno sempre e solo saputo o lamentarsi o protestare, non suggerendo mai nulla di costruttivo. I nichilisti attivi sono invece epicurei, oraziani, giovenaleschi, cantori del "carpe diem". Pure l'arte e quindi il cinema sono riconducibili alle due tipologie nietzscheane, e singoli autori o singole opere possono persino oscillare instabilmente fra un polo e l'altro. "Tertium datur"? In effetti sì. Nel 524, l'anno prima d'essere ucciso, Boezio espone nel "De consolatione philosophiae" un dilemma che troverà una formula più rigorosa con Leibniz negli "Essais de Théodicée", scritti nel 1705 e pubblicati nel 1710: "Si Deus est, unde malum? Si non est, unde bonum?". Per atei, materialisti e immanentisti si spalancava l'opportunità d'analizzare il secondo corno del dilemma. Quanti ne hanno approfittato? Quanti finalmente hanno iniziato a fornire una proposta? A mia conoscenza, un unico pensatore: Ernst Bloch, cominciando dal suo libro principale edito nel '59. Cioè il nostro tentativo d'esordio al di là dei nichilismi attivi e passivi data ad appena pochi decenni fa, e nessun altro studioso ha affiancato Bloch nell'inedito filone di ricerca da lui inaugurato. Shockante, sconvolgente, devastante. Con ciò pure McDonagh non può non rifarsi alla "disperazione di Kierkegaard" (Federico Pontiggia), alla "crepuscolarità funerea di Beckett" (Enrico Azzano), "non per niente Samuel Beckett è dublinese e certamente uno dei referenti più forti, [...] abilissimo tessitore di trame e dialoghi impastati nell'assurdo" (Emanuela Martini), "sembra una commedia dell'assurdo in costume scritta da Beckett" (Carlo Valeri). E perché non addirittura il Sartre de "La Nausée", 1938? Basta con 'sta retroguardia, dopo decenni e millenni esigo dalla cultura qualcosa che come minimo (ri)parta da Bloch.
La guerra civile d' Irlanda sullo sfondo e nell'isola di Inisherim che potrebbe sembrare un posto tranquillo, anzi abbastanza noioso e deprimente in cui l'unico espediente è qualhe sana sbornia, scoppia un guerra fratricida tra due amici, senza un motivo preciso, forse dettato dalla noia stessa. Molto ironico e grottesco, carico di non sense nella parte iniziale, dove domina un senso di profondo smarrimento per l'imprevista rottura di amicizia, il film prende pieghe più cupe e fosche, distruttive da una aprte ed autodistruttive dall'altra, in una spirale senza scampo dove proabilmente l'unica speranza è fuggire ed andare in quell'Irlanda falcidiata dal conflitto civile. ironico ed amaro il film di Mcdonagh lavora molto di cesello con i suoi attori, specialmente Farrell e Gleeson che rinverdiscono i fasti di In Bruges e senza sottovalutare la Condon, sorta di controcanto dell'irreversibilità del rapporto fra due ex amici. Uno dei film migliori di Venezia 79.