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Coppola porta in scena un futuro neo-romanico con una messa in scena piuttosto kitsch. Tutto eccessivo, dal tempo su cui Coppola ha lavorato a questo progetto, passando per la messa in scena fino alla durata stessa. Il risultato è un polpettone in cui c'è del buono, ma risulta un po' indigesto. Non bastano un grande regista, un grande cast e una grande messa in scena a fare un grande film.
"Io credo nell'impossibile perchè il possibile mi fa schifo" questo aforisma di Pino Caruso calza perfettamente per Megalopolis, che più che un film è un sogno che scorre tra utopia e distopia, tra citazioni vere ed inventate. Un film che non bisogna capire ma in cui bisogna smarrirsi dentro
Per la stima che nutro nei confronti di questo regista ho cercato con attenzione di trovare qualcosa di buono in questo film, un dialogo, un effetto a sorpresa, una grande prova attoriale...non ce l'ho fatta.
I tanti anni dietro a questa sceneggiatura ha forse creato piu' problemi che altro, sembra che sia stato montato al contrario, scrittura tediosa difficile da seguire, personaggi inutili quasi quanto i poteri di fermare il tempo, perche? Forse ci saranno metafore nascoste che un cretino come me non riesce a cogliere ma è un film che dopo appena 5 minuti non vedi l'ora che finisca.
Se finira' cosi la carriera di Coppola non importa...rimarra' per sempre uno dei migliori registi di sempre.
Dall'elemento macroscopico fino a quello microscopico, tutto, in MEGALOPOLIS è contraddittorio. Si parla per grandi metafore ma di fronte a noi abbiamo le immagini spiaccicate dei giorni nostri, senza versioni fantasy alternative al nostro mondo. In più si parla dei giorni nostri, certo, ma mancano tutte le tecnologie sociali che più li caratterizzano. Per non parlare dei temi sociali veri. Gli attori parlano come dei personaggi shakespeariani sotto steroidi, ma la regia è tutt'altro che energica in molti momenti del film. Insomma, si parla di magia ma anche di banche. D'altro canto cosa c'è di più controverso e ipocrita del concetto di "utopia"? Questo dice di risolvere il problema dell'insoddisfazione della società che viviamo, nonostante la società in cui viviamo abbia risolto tutte le insoddisfazioni della storia precedenti, sprecando tutto per una visione in realtà non condivisa. Questo film nasce quando tali riflessioni sulla contemporaneità venivano fatte, ma era più di quarant'anni fa e nel frattempo si è sfatato anche qualunque mito cinematografico sulle distopie. Quarant'anni di ritardo creano contraddizioni. A Francis Ford Coppola non si può dire certo che non abbia fatto un film con più di qualche invenzione o un film con sequenze belle da vedere o belle da sentire. Ma certamente si tratta di un film strambo. E' una favola, ma come quelle che raccontano i dolci nonnini. Favola che quando cresci trovi infantile. E' la visione critica del mondo. Ma è la visione di un anziano che guarda i telegiornali e si chiede "dove andremo a finire". Complessivamente, la sensazione è quella di vedere un film-sogno (o film-ossessione) e c'è da essere contenti per l'uomo che ha realizzato la sua ambizione con i propri sforzi produttivi, contro il parere di tutto e tutti. Ma c'è anche la sensazione di una sceneggiatura impolverata e di un autore che vive fuori dalla realtà (e anche dalla civiltà), ancorato ai tempi delle sue rivoluzioni, vinte ma superate.
Visivamente spettacolare, Adam Driver ce la mette tutta, accattivante il mix tra antica Roma e New York post moderna. Resta però penalizzato e fortemente limitato, paradossalmente, da quanto lo stesso Coppola ammette e riconosce: si tratta di un film assemblato con idee, ritagli, spunti raccolti per oltre 40 anni. E, purtroppo ed infatti, si ha la percezione di lavoro frammentato e disomogeneo nella sua evoluzione. Neanche però da stroncare completamente.
Nonostante l'ambizione e la maestosità da l'impressione di essere stato fatto di fretta. Poi tutti i discorsi sono superflui se un film risulta noioso e confusionario.
Un film come Megalopolis nella sua imperfezione mostra ancora una volta il gigantismo, magari anche pretestuosità, del suo regista di cui si può dire tutto tranne che non sia ambizioso e coraggioso. Coppola non si mai cullato sugli allori, ha sempre mantenuto quella follia di outsider geniale che si pone fuori dal sistema cinematografico, ma anche lavorando dentro di esso. E' un film che ha sempre avuto in mente da decenni e lo ha portato a termine. La decadenza di un mondo ormai che fagocita se stesso e che deve essere distrutto nelle sue fondamenta per creare qualcosa di nuovo per compiere quel passo fatale verso l'estinzione, ucciso dalla degenerazione della civiltà. Un neo impero romano che somiglia fin troppo all'America attuale. Se la visione di Coppola ha alla sua base una visione potente, non lo è altrettanto in una narrazione frammentata dove si intravede poco il conflitto fra l'alto ed il basso dell'umanità. E' una lotta all'interno di un'unica oligarchia, con una propria visione. I dialoghi sono, a mio parere, la parte più debole del film. Colmi di citazioni, a volte ridondanti ed inutili che rendono il racconto, già di per sé frammentato, un qualcosa di incompiuto. Megalopolis aveva delle buone basi, ma ho come la sensazione che Coppola ne abbia perso il controllo. Magari con un'altra impostazione la matassa potrebbe diventare meno intricata o confusa, ma alla fine rimane l'impressione del bicchiere mezzo vuoto.
FFC è stato fra gl'autori più consapevoli che la New Hollywood non potesse limitarsi a proteste, denunce o critiche e che dovesse pure provare a suggerire uno straccio di proposta: d'"Apocalypse Now" a "Paradise Now". Poi però, quand'ha realizzato la trasposizione cinematografica d'uno dei peggiori testi d'Eliade ("Un'altra giovinezza", 2007), il fallimento fu inevitabile. Non era difficile trovare nella filosofia delle religioni qualcosa di meno indecente, da Origene al pensiero della Scolastica. Invece adesso Francis ha diretto un "Hunger Games" postmoderno (Gance, Greenaway, Gilliam, Lange) e retrofuturista più allucinante che visionario, in cui il "Giardino dell'Eden di Cesare", val'a dire un'utopia religiosa, viene declassato all'utopie sociali del XVI e XVII secolo (Moro, Campanella, Bacone) in mano a ingegneri come "Tucker" ('88), architetti e urbanisti. E la sua idea di fermare il tempo, che proviene da lontano ("Rumble Fish", '83), non ha alcun senso quand'è un'infinita dilatazione del presente oppure coesiste col divenire, la crescita e il futuro di Sunny Hope (sic). Non è un fiaba, è una farneticazione.
Un film fortemente allegorico e personale quest'ultimo di FFC. Visivamente d'impatto e tematicamente affascinante, pecca nella caratterizzazione dei personaggi e nella coesione della trama.
Megalopolis è un film da vedere per dimostrare una realtà incontrovertibile:" Mai dare carta bianca ad un regista " Il ruolo del produttore è vitale e sono convinto che il declino del cinema italiano risieda nell'incapacità di Medusa e Raicinema di indirizzare bene i propri autori.
Se il più grande regista vivente lasciato libero si esprime in.modo.barocco e sfarzoso, onirico e affascinante ma sempre tra il grottesco e nosense involontario ecco cosa accade.
Occasione persa? No, semplice capriccio da star un pò quando ci sorbiamo le recite dei bambini per farli contenti
Ricordate che Coppola ci ha regalato Dracula, La Conversazione, Il Padrino ed Apocalypse Now....avete tutti l'obbligo morale di vedere questo film per fare contento un povero vecchio.
citando una famosa citazione citata all'interno del film: "Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni". E questo film è fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Fallibile e pretestuoso, caotico e letterale, immaginifico e limitato, incerto e audace. Insomma ti risvegli da questo sogno. prendi ciò che di lucido regala negli ultimi minuti e vai avanti.
Per quanto il soggetto potenzialmente possa essere interessante, "Megalopolis", ultima faticaccia di Coppola, è un film a mio parere non riuscito, il classico tipo di cinema che non digerisco, verbosissimo e didascalico all'inverosimile, con un problema di fondo, ovvero quello di tirare in ballo tematiche a raffica senza avere il tempo materiale di approfondirle, o quantomeno mostrarle su schermo, è così che l'autore rinuncia ad un qualsivoglia tentativo di trovare soluzioni registiche e si affida a continui dialoghi che didascalizzano il tutto, andando a riempire la testa dello spettatore con continue citazioni che possono provenire dal mondo classico o giù di lì, parlando di antropologia, esistenzialismo, filosofia, trattando banalmente le grandi tematiche umane, andando fuori tema spesso e volentieri, mi sembra abbia voluto infarcire il tutto senza averne né il tempo, né i mezzi, né la voglia, ne esce fuori una regia pachidermica, pacchiana, quasi goffa e mi dispiace proprio dirlo per un autore che stimo e rispetto per quello che ha fatto.
La linea narrativa principale narra di questo architetto, ingegnere, genio, scienziato, quello che volete, insomma una personalità strabordante, creativa e carismatica, già famoso e affermato a New Rome, che vuole realizzare questo progetto mastodontico di Megalopolis, grazie anche al Megalon, nuovo straordinario materiale inventato da lui che gli ha fatto vincere anche il premio Nobel. L'architetto inizialmente si scontrerà con il sindaco, abbastanza conservatore, che non appoggia il suo progetto rivoluzionario ma sembra più interessato al risolvere i problemi ancora presenti nella città che il popolo richiede a gran voce, ma col progredire della trama, complice anche la nuova storia d'amore con la figlia del sindaco, Cesar otterrà il suo appoggio, anche se ci saranno tanti altri nemici in agguato, e praticamente la trama sarebbe questa, solo che non procede linearmente, ma fa continui inserti che aggiungono poco o nulla o si limitano a dare delle visioni abbastanza fini a se stesse tra una citazione a Petrarca, qualche altra a Marco Aurelio e via dicendo, anche diversi personaggi di contorno sembrano inutili, quello di Dustin Hoffman ad esempio (?), o tutta la trama della moglie morta con i complotti che ci sono dietro ed emergono pian piano, non mi sembra abbia avuto una vera e propria funzione se non aggiungere un po' di sofferenza alla figura dell'artista-genio.
Il messaggio finale, scavando fra tutto il casino e i fronzoli ritagliati da Coppola è quello di un'umanità descritta come non pronta, il genio di Cesar non viene apprezzato dalla popolazione locale, che si cimenterà in rivolte e contestazioni, come succede spesso per le grandi invenzioni dei grandi geni, non vengono apprezzate inizialmente, così è per il mastodontico progetto di Megalopolis, addirittura l'impopolarità della cosa porterà alla creazione di una fazione opposta, quella comandata dal cugino di Cesar, un grottesco Shia LaBeouf, che arriverà a creare addirittura un movimento di protesta, a sfondo politico, che mi è sembrato tirare qualche frecciatina ai politicanti di ultradestra di oggi, fomentando ignoranza e parlando alla gente di pancia. Poi ci sono tanti altri significati sparsi qua e la, da alcuni evoluzionistici che provano a riflettere sulla sopravvivenza della specie umana e la sua affermazione sul resto delle specie sul pianeta, alla caduta delle grandi civiltà, degli ideali, causata dalla popolazione stessa che smette di credere in essa, ma tutto questo malloppone di roba, su cui effettivamente si potrebbe approfondire e farci diverse opere, viene liquidato in un paio di minuti.
Poi un'altra componente più o meno interessante è la descrizione di alcuni caratteri, come lo stesso Cesar, ma soprattutto Crassus e Clodio e la megalomania che li pervade, quando vi sono questi ultimi due in scena il film sembra diventare una commedia nera, il grottesco invade lo schermo, tra i vari siparietti, le feste mastodontiche con parata ed esibizione, quella scena dell'arco che ragazzi rasenta il trash più basso, vi è una velata critica all'uomo pieno di sé.
Insomma, ci sarebbero un botto di argomenti, pure interessanti, il problema è che condensare tutta sta roba in un solo film è un'impresa nella quale anche uno dei più grandi registi di sempre sembra aver fallito, ne viene fuori un calderone anche abbastanza raffazzonato, che dilaniato dalle difficoltà di produzione mostra tutti i suoi limiti e delle scelte stilistiche molto approssimative, personalmente non mi è piaciuto neanche a livello tecnico, quella fotografia color ocra è un pugno nell'occhio, il montaggio e le scene surreali stuccano abbastanza rapidamente, la stessa computer grafica mostra tutti i suoi limiti, non riuscendo a rendere credibile alcuna sequenza.
Detto questo, ritengo sia un film fortemente divisivo, comprendo che possa pure piacere, aimé a me per nulla.
Coppola si sente (eccome) a livello visivo e dietro alla telecamera (idee, trovate, tecnica), peccato che l'adattamento dei fatti di Catillina attraverso la comparazione tra la Roma Imperiale e America pecca di un crescendo e di una certa coesione di trama. Se la sceneggiatura fosse stata più focalizzata e meno dispersiva, nonostante il messaggio sia lampante a fine film, sarebbe stato un film più che ottimo in cui tutti gli aspetti tecnici e un cast di tutto rispetto avrebbero avuto il giusto tempo per risplendere per i loro meriti. Tolta la pecca di un climax solido, rimane un'opera intrigante sia nel volere adattare in chiave post-moderna l'Antica Roma (su suolo americano) sia nelle ambizioni di un regista della New Hollywood che tanto ha regalato al cinema contemporaneo.
media fin troppo ingiusta per un film del genere. Una severa lezione a chi si precipita a etichettare come visionario il primo regista di turno, mentre un regista di ottantacinque anni riesce a strabordare con la sua immaginazione da ogni limite imposto dallo schermo. Francis Ford Coppola è, da sempre, un uomo proiettato verso il futuro, pur immerso profondamente nel passato.
il discorso finale di Catilina. basta già solo questo per giustificare la visione del film. un inno alla vita e all'umanità di una potenza smisurata e che in tempi lontani solo "un certo" Chaplin è riuscito a donare con "il grande dittatore"
Posso capire che Coppola abbia voluto girare quel che voleva, fregandosene altamente di tutto e di tutti...si può premiare l'intenzione, ma il risultato dovrebbe perlomeno avere un senso, uno scopo, una estetica, uno stimolo, qualcosa che possa andare oltre la semplice "volontà di fare un'opera tanto per farla come si vuole". In reatlà qui non ho trovato veramente nulla degno di interesse...mi è sembrato un polpettone, un frullato di citazioni, di idee, di creazioni (visive e non), senza nè capo, nè coda, se non appunto il desiderio di mettere su pellicola ogni idea e visione strampalata potesse avere. Decisamente difficile e pesante da seguire, non mi ha emozionato in nessun fotogramma (o meglio, mi ha strappato una rista sulla scena finale del lancio delle freccette con l'archetto...che credo passerà alla storia ...). Adam Driver sempre un grande, riuscendo (a fatica) ad offrire comunque una interpretazione notevole (credo in molte scene si chiedesse "ma chi me l'ha fatto fare"...). Sul resto degli attori stendo un velo silenzioso. E niente, terribile.
Coppola già con il precedente "Twixt" aveva dimostrato di fregarsene delle regole del mainstream e di voler girare semplicemente quello che gli pare, e lo fa ancora una volta con quello che potrebbe essere il suo testamento artistico. In "Megalopolis" c'è tantissima carne al fuoco e tantissimi argomenti (su tutti la decadenza della società e del potere politico), forse trattati in maniera più contorta di quello che è il messaggio vero e proprio, forse messi in scena con uno stile fin troppo barocco, ma allo stesso tempo raccontati in maniera tanto visionaria quanto affascinante (anche sul lato puramente visivo, vedi ad esempio le affascinanti sequenze con Adam Driver e Nathalie Emmanuel sull'orologio) e sognante. "Megalopolis" è un film ambizioso negli intenti e nella forma, destinato ad essere un flop commerciale ma che, si spera vivamente, un giorno forse verrà rivalutato, magari in virtù della sua contrapposizione tra antico e avveniristico, o dei suoi richiami storici, filosofici e cinematografici, o, più semplicemente, per la straordinaria prova corale del cast.
Sicuramente stiamo parlando di un film che polarizzerà (già lo ha fatto) le opinioni di pubblico e critica. Tutti i pareri sono legittimi, specie quando si parla di un'opera così poco convenzionale, io posso solo dire che mi è genuinamente piaciuto, e pure tanto.
Al di là delle stroncature senza capo nè coda il film và apprezzato soprattutto perchè scavalcando il modello Hollywood Coppola ha fatto un film che VOLEVA fare. Sarà anche il suo ultimo film probabilmente ma è senz'altro uno dei più discussi e contraddittori e diventerà un Cult, in un modo o nell'altro. Come Joker:Follia a due, non si prostra al pubblico, non cerca di ingraziarselo con fan-service, battute scadenti e cazzeggio spinto. Racconta una Favola, proprio come dice l'incipit del film, che è cambiato, cambiato, cambiato ma ha messo in scena ascesa e declino di un ucronico impero americano. Certo spesso l'azione sembra caotica, si dilunga, e non sempre gli effetti speciali sono convincenti però c'è tutto il resto. Il resto è un cast che si è messo al servizio del regista e della sua sceneggiatura, lavorando insieme e spesso improvvisando, non capita MAI in un kolossal figuriamoci in un kolossal indipendente da 120 milioni di dollari. Mettere insieme Adam Driver, Giancarlo Esposito e poi Nathalie Emmanuel , Aubrey Plaza è deliziosa, Shia la Beuf, i vari caratteristi tra cui Jon Voigt, Dustin Hoffman, Lawrence Fisburne e Jason Swartzman . Tutti insieme appasionatamente, con una trama che certo non risulta prevedibile e scontata e mette molta carne al fuoco, rischiando anche di fallire ma riuscendo anche nel finale a raggiungere una quadra che però siamo noi spettatori che dobbiamo analizzare. Come in tutti i film non è solo quello che si vede che determina la trama, ma quello che IMMAGINIAMO. Solo così il cinema riesce ancora a coinvolgerci e regalarci emozioni. "Fermati tempo!"
Non è questione di difesa od offesa, Megalopolis, cantiere non puntuale in New Rome, "impero nell'età della decadenza" (Verlaine), scostante, utopia cinematografica, anti-distopia, occhio visuale sci-fi, ventre dell'architetto e nell'architetto, cuore-poesia sconclusionante, urbanista delle emozioni Francis Ford Coppola. Figlio di Catalina, Francis, caso testamento, e testamento cinematografico, colossale solo nelle premesse, nulla a che vedere con un Empire che sappiamo, assalto alla Capitol Hill da causali che capiremo solo poi, , frecce all'arco per un Clodio trasformato in farsa, ma dicevo capiremo solo poi, vivendo, guardando, si fa per dire, forme, di incidenti narrativi, citazioni continue e scene da b-movie, ridicolaggini, dialoghi da casistica in frantumi, narrazioni interrotte in-edite, coiti indecifrabili di passera, sprazzi di poesia, di amore posticcio e pasticcio di un uomo ossessionato dal futuro che vive nel passato (Coppola) che dirige un uomo tormentato dal passato-presente che sogna un grande futuro. Cesar Catalina e Francis Ford Coppola, testamento e figlio (Francis) nel film cinematograficamente, figlio e quindi futuro, quindi colui che rimane, ciò che rimane, testamento, e Cinema, ciò che vuole che rimanga a noi posteri del cinematografo e del suo modo di concepire la sua settima arte. Un sogno lungo una (vita).