East End, estrema periferia sud di Londra, Ray vive insieme a sua moglie Valerie in un caseggiato squallido. Suo cognato Billy balordo e drogato non fa altro che progettare rapine e per cercare la droga è disposto anche a mendicare.
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Cupo ed invadente, capace di rabbuire il giorno. Pervade, scava, dai canali del sangue all'anima, disabbellita, intrappolata in un circuito senza fine, una spirale che gira nell'odio, nella negazione e nel dimenticato. Vite chiuse, a senso unico, illuminate da lampioni o fiammelle da stagnola. Baratro, sala parto di ossessione e paranoia, incubatrice di bivi estremi. Pestaggi, come prassi obbligatoria, esistenza piegata subita, natante di un fiume evaporante, madri come rocce, figli come bocce che sbattono muri senza colori, bambini dagli ochi segnati. Una stella che esplode e implode. Storia che ricorda la propria, claustrofobia che fascina e cattura. Realtà senza artifici. Obiettivo sporco, senza esiti né indugi. Abissi senza compromessi, svelati e rivelati, in una schizofrenia che si concede in trasparenza, seduttrice beffarda di un finale senza fine, coerente, ma non convincente.
Unica regia, per ora, del mostro sacro Gary Oldman; in rete leggo che ha un impianto autobiografico.
Un pò piatto, da il meglio di sè nelle scene senza dialoghi (quelle parlate invece sono tediose e pure un pò banali), capace di conquistare bene l'attenzione dello spettatore; stile minimale, è senz'altro coraggioso e veritiero, seppur gli manchi la maestria ed il tocco di personalità blasonate più a loro agio in tali atmosfere (ed inoltre è anche un pò troppo schematico: dialoghi, risse, dialoghi, risse, ecc.).
Probabilmente avrebbe acquisito maggior valore se Oldman lo avesse anche interpretato, oltre che scritto e diretto.
Magari non è paragonabile ad altri film sulla droga (Trainspotting, Requiem for a dream, ecc.), ma come regia è senz'altro un'opera riuscita ed onesta, che ha il fascino/limite delle produzioni indipendenti.