un mondo di marionette regia di Ingmar Bergman Germania 1980
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un mondo di marionette (1980)

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locandina del film UN MONDO DI MARIONETTE

Titolo Originale: AUS DEM LEBEN DER MARIONETTEN

RegiaIngmar Bergman

InterpretiRobert Atzorn, Christine Buchegger, Heinz Bennent, Martin Benrath

Durata: h 1.44
NazionalitàGermania 1980
Generedrammatico
Al cinema nell'Agosto 1980

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Trama del film Un mondo di marionette

Peter Egermann è un professionista affermato, ha una bella consorte, è circondato dal benessere. Proprio per questo appare ancor più immotivato e assurdo il delitto di cui si rende protagonista: lo stupro e lo strangolamento di una prostituta, che lo conduce all'internamento in un manicomio criminale. Un atto di cui nessuno (il magistrato, lo psichiatra, la moglie, la madre) è in grado di elaborare una spiegazione plausibile.

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Voto Visitatori:   7,47 / 10 (17 voti)7,47Grafico
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Voti e commenti su Un mondo di marionette, 17 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Italo Disco  @  16/12/2024 23:45:45
   7½ / 10
Se fosse stato di poco accorciato e con qualche dialogo in meno scriverei di una quasi eccellenza, ma alcune prolissità inficiano sulla concentrazione, ed in alcuni punti dialoghi e monologhi non sono tutti sullo stesso livello, come se ci fosse mancanza di continuità. In ogni modo il messaggio arriva forte e chiaro, angosciante, funereo. Ottima la scelta di fare avanti e indietro con salti temporali, cominciando da un punto di partenza molto forte, un omicidio, e creare una analisi psicologica dell'assassino. Su questo al solito Bergman è grandioso, ma devo ammettere che quando mette a confronto due donne il tocco si fa più denso di emozioni, in questo caso suocera e nuora, seppur in un breve momento e non in un ora e mezza come SINFONIA D'AUTUNNO. Azzeccati gli attori e le musiche. Squarci di cinema "basso" di tanto in tanto fanno capolino.

Filman  @  04/12/2020 14:47:37
   6 / 10
Il lavoro di AUS DEM LEBEN DER MARIONETTEN (Un Mondo di Marionette) è più personale e autoreferenziale che artistico o esplorativo: manca il coinvolgimento nelle vicende e nei personaggi con la speranza che la semplice teoria di una mente criminale, senza tutto il contorno, possa reggere l'intero gioco. Ingmar Bergman si sposta dalla sua "confort zone", in cui la depressione è il disturbo e la donna è il soggetto, per interessarsi a qualcosa di molto diverso. Con l'assenza di un costrutto cinematografico dietro, la visione di questo film lascia a stomaco vuoto.

DarkRareMirko  @  26/07/2020 20:09:15
   9½ / 10
Tra i migliori film del maestro svedese da me visti, cupo ed intenso come non mai.

100 minuti lenti ma pieni come quasi in nessun altro film, caratterizzati da un bianco e nero devastante, un montaggio non lineare e tanti momenti a tinte forti, più degni di un regista di genere che del maestro, che comunque li ha saputi dirigere alla perfezione.

Dialoghi molto cervellotici.

impanicato  @  02/12/2014 00:40:42
   8 / 10
"Tutte le strade sono chiuse"
Questa frase riecheggia come un leit-motiv per la durata per film. Non c'é scampo, non c'é alternativa, non c'é una via d'uscita dalla noia, dall'insoddisfazione, ma soprattutto dai legami. Quei legami che diventano oppressivi, che ci comandano a bacchetta, rendendoci delle marionette. Ma come tagliare i fili? Annullando sé stessi con qualsiasi mezzo, anche uccidendo o uccidendosi.
Guardando questa pellicola ci puó sentirsi davvero soli. Come Tim, terrorizzato dalla vecchiaia e dalle brutture costruite dal tempo, o come Katarina, donna all'apparenza forte ma che finalmente comincia a sentire la sua anima piangere, o come Peter, emblema nichilista incastrato nell'odio.
Come in molte suo opere, il regista vi inserisce elementi ricorrenti della sua filmografia: la vita come falsitá, la violenza latente dell'uomo, l'importanza dell'amore.
Bergman ci regala un altro gioiellino, realizzandolo con un montaggio particolare. Gli eventi vengono narrati in ordine sparso grazie all'utilizzo di flashback e flashforward e l'uso di didascalie anticipatorie che creano nello spettatore un certo disagio. Colpisce anche l'uso del bianco e nero, quasi si volesse immergere il tutto in un'atmosfera ancora piú cupa e triste. A colori invece l'inizio e la sequenza finale. Il finale é un'altra delle solite chicche bergmaniane, che si ricollega a Il settimo sigillo nella partita a scacchi con la morte, Ma qui Peter non trasmette niente di positivo, anzi viene mostrato come un silente pezzo di sangue, muscoli e nervetti sopraffatto dai ricordi dell'infanzia.
Beh, se questo é da considerare un film minore...

Gruppo COLLABORATORI Compagneros  @  28/08/2013 17:10:23
   7½ / 10
Ennesimo dramma bergmaniano. Storia scura, torbida, angosciante. E' un ottimo film che ben si innesta nella straordinaria filmocrafia del regista svedese. Pazzesco che fosse un film prodotto per la televisione.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR pier91  @  02/12/2012 00:52:23
   8½ / 10
I. Bergman (tramite Tim): "il sogno della vicinanza, dell'affettuosità, della vita in comune"; "la violenza, le porcherie, il terrore della morte che incombe".
E. Montale: "Può darsi / che sia vera solo la lontananza".
R. Carver (scrivendo di un abbraccio) : "Si sentiva piena di un' insopportabile felicità".
E' quasi consolatorio riconoscersi in queste parole, sentirsi partecipi di una normalità che si presenta autentica, tanto è bestiale. La necessità di inficiare condizioni di piatta e preziosa serenità, il fastidio che procura la necessità dell' altro, il desiderio di un' indipendenza totale e, d' altro canto, la solitudine inappagante. Suicidio e omicidio come vie di fuga.
Ci si può sentire tristemente partecipi del mondo, osservando questo mondo di marionette. Un uomo che ama la moglie ma ne vuole la morte. Un omosessuale che si guarda allo specchio e scorge le rughe del disfacimento. La grande noia appollaiata nell'angolo. Non tanto lo spleen, che ha per lo meno qualcosa di eroico e poetizzante, ma la percezione del vuoto. La sensazione di non poter stare diritti né distesi, di non riuscire a vivere né a morire. Ecco il bisogno disperato di una distrazione potente. Il tradimento, la brutalità, la lordura, anche solo ideali.
Sconcerta di più la regolatezza, l'essere assolutamente astemi, in tutti i sensi possibili. Individui senza abissi. Non so se siano irreali o troppo stupidi.
Alla constatazione del nulla può seguire la gioia dell' accettazione, ed è ciò che è accaduto a Bergman. "Fanny e Alexander" sarà in parte la riscoperta di un altro mondo, il piccolo mondo teatrale. La rivelazione della persona oltre la marionetta, "persona" in quanto maschera.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  28/10/2012 12:41:00
   8 / 10
Ero sicuro di trovare un Bergman minore, un film che non mi sarebbe piaciuto, magari ridondante e non mi sarei per nulla scocciato, perché dopo arrivava Fanny e Alexander che molti dicono (devo dire a ragione, visto che l'ho visionato e sono rimasto estasiato) il suo apice. Ma non è stato cosi. Davvero, Bergman è stato qualcosa di incredibile.
Un Mondo di Marionette avrebbe fatto la gioia di qualsiasi regista anonimo regalandogli un film della vita: per Bergman si tratta di ordinaria amministrazione, o dovremmo dire straordinaria... Riprende la sperimentalità visiva di altri film come Il Rito, e me lo ha ricordato molto per i repentini salti temporali introdotti dalle didascalie. Per il tema cosi ancestrale e pauroso (ma devo ammettere che ne Il Rito tutto assumeva un sapore più inquietante e ancora più forte). Ed è molto esplicito, ma Bergman lo è sempre stato anche nel mostrare la nudità dei corpi, oltre che nelle parole.
E sta nella sceneggiatura cristallina un altro punto di forza di un film molto molto molto bello, l'ennesimo di una carriera che viaggia su altezze inimmaginabili. Ci sono i vertici, certo, (l'ultimo capolavoro assoluto prima di Fanny e Alexander credo sia Sussurri e Grida) ma solo perché davvero per superare sé stesso Bergman deve fare una faticaccia. Non era svedese, veniva da un altro pianeta.
E restano, alla fine di questo sconfortante e enigmatico film, solo tante domande e tante ipotesi espresse a parole che non significano né spiegano niente (neanche i paroloni dello psicologo). La verità dell'accaduto incomprensibile o forse troppo esplicativo si ravvisa negli sguardi assenti di un uomo e concentrati di una donna distrutta. Chapeau, signor Bergman. Per la millesima volta.

C.Spaulding  @  14/08/2012 12:38:40
   6½ / 10
Non è uno dei miei preferiti del regista ma è comunque un buon film psicologico. Non è proprio il mio genere ma sono riuscito ad apprezzarlo lo stesso....un film molto lento che però non annoia e che analizza a fondo la psicologia dei personaggi. Un film sicuramente da vedere.

Invia una mail all'autore del commento Totius  @  30/06/2011 13:37:10
   8 / 10
Un gran film psicologico di Bergman. I personaggi vivono in una sorta di limbo nichilista e psicoanalitico a un tempo. Ma il bello è che questo inconscio viene via via espresso, raccontato ed interpretato. Il tutto in una regia (ovviamente) magistrale ed un'interpretazione volutamente teatrale ma superba.

Invia una mail all'autore del commento Elly=)  @  26/06/2011 01:08:32
   7 / 10
Questa pellicola si differenzia dalle altre per un fatto (una forma) tecnico molto importante, tipico del cinema di Bergman. Per l'appunto questo fatto qui viene omesso, non del tutto, ma in buonissima parte. Il film infatti ha una forma molto compressa(per via dei molti tagli che Bergman ha dovuto fare): corte sequenze con interventi didascalici alla Brecht che illustrano lo sviluppo dell'azione fino alla catastrofe finale. Il bello di questa pellicola é che i vari personaggi all'interno del manicomio danno una loro spiegazione del delitto. Il problema é che ogni spiegazione sembra vanificare quella precedente! Un Bergman tagliente, raggelato, capace di dare vita ad un film coinvolgente, disperato e lancinante.

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  07/04/2011 21:55:48
   7 / 10
Con questo film mi sono reso conto che Bergman, al termine del suo percorso artistico, è arrivato più o meno alle stesse conclusioni ideali dell'ultimo Bresson: "non ci sono vie d'uscita" all'alienazione, alla falsità dell'essere, non esiste libertà o ribellione possibile, l'unica soluzione praticabile è la (auto)distruzione.
Vivere in maniera razionale e consapevole ha portato l'essere umano a sentirsi solo prigioniero di se stesso. L'uomo si è "liberato" dagli obblighi derivanti dalla credenza in codici ontologici esterni (Dìo, l'anima, le ideologie politiche) ma non ha saputo trovare niente che li rimpiazzasse e che lo potesse guidare, sostenere, dare un senso alla propria esistenza. Ha smesso pure di avere fiducia nei sentimenti umani (amore, solidarietà) e la vita non è diventata che un passivo girare a vuoto, un vano annaspare per esorcizzare gli istinti più turpi e per sfidare il destino.
Anche questo film ripete gli usuali temi e le tipiche forme di quasi tutti i film di Bergman. Qui in qualche maniera vengono portati alle estreme conseguenze ed esauriti una volta per tutte. "Un mondo di marionette" è un film estremamente "teatrale", si volge in maniera claustrofobica quasi tutto in interni, il mondo esterno è lasciato in ellissi, quasi non esiste. E' un film decisamente statico, senza azione, tutto concentrato nello svisceramento della psiche dei personaggi. E' infatti un film dove i dialoghi dilagano e sostituiscono in pratica la trama. Qui veramente si tocca con mano la "degenerazione" del continuo riflettere su se stessi: diventa un'ossessione, un morbo, un dialogo fra monadi irrimediabilmente isolate fra di loro. Non c'è scambio umano, non c'è reazione, è solo succo intellettivo puro, è la ragione che si esaurisce da sola, girando a vuoto su se stessa.
Eppure il film è vivo, le persone soffrono davvero, fanno parte del mondo umano a tutti gli effetti. Il film quindi non è un vuoto esercizio; il suo messaggio lo dà e molto chiaro.
Tecnicamente è poi di alta qualità. La scena iniziale ha una tensione fortissima che attanaglia lo spettatore. Molte scene hanno un fascino visivo straordinario, come ad esempio il dialogo di Tim con se stesso allo specchio (la riflessione sulla vecchiaia) e il fantastico bianchissimo sogno di Peter. Il bianco e nero è stata una scelta azzeccata.
Bergman poi dimostra di non avere paura di mostrare esplicitamente le cose (c'è una scena senza veli degna di un film porno).
La novità più grossa sta però nel montaggio. Prima viene esposto il fatto nudo e crudo e scioccante, poi tramite salti temporali, flashback e flashforward, si completa una specie di puzzle che descrive in maniera esauriente perché è avvenuto il "disastro".
Insomma, Tarantino ha copiato anche da Bergman nel suo "Pulp Fiction".

Dosto  @  18/08/2010 12:59:37
   7 / 10
In alcune parti un pò legnoso, resta comunque un ottimo film. Non lo consiglio comunque per iniziare a vedere il cinema di Bergman.

paride_86  @  24/01/2010 01:21:25
   7 / 10
Complesso e decostruito film di Bergman che, partendo da un omicidio, cerca di dare una dettagliata descrizione psicologica dell'assassino. A mio parere un obiettivo non sempre riuscito.

USELESS  @  01/05/2009 03:59:04
   7 / 10
Sarà la fase tedesca di Bergman...
Ma questo film a me ricorda molto:
"Perche' il signor R. e' diventato matto?" (1970 quindi precedente)
di Rainer Werner Fassbinder... puntini... puntini puntini.

Invia una mail all'autore del commento wega  @  16/06/2008 09:58:29
   7 / 10
Il titolo, "Un mondo di marionette", è perfettamente evocativo riguardo ciò che rappresenta la pellicola.
Marionette vittime dell'istinto umano, incontrollabile. L'istinto sessuale per una sessualità repressa, l'istinto metafisico che muove i fili del rapporto di coppia, l'istinto professionale di uno psichiatra vittima delle stesse pulsioni.
Struttura narrativa insolita per Bergman, inizia con un flashforward che anticipa con la massima trasparenza ciò che è accaduto, per poi passare ad una ricostruzione filmica a didascalie, con intervalli temporali via via sempre minori, e per finire con l'epilogo. Il film ha qualcosa di "Persona" col suo stampo quasi sperimentale, e qualcosa di "Il rito", nella caratterizzazione psicologica dei protagonisti, e di "Scene da un matrimonio" nel rapporto di coppia. E' l'inizio degli anni '80, Bergman, ha finalmente la possibilità di mostrarci la donna come ha sempre voluto, senza censura.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  12/01/2008 12:56:25
   7½ / 10
storia a incastro che mostra il grande regista sotto un aspetto diverso...non si era mai spinto cosi tanto sull'erotismo e sulla volgarità espressiva!
anche il montaggio è particolare e da quel qualcosa in piu ad una vicenda che sarebbe stata "tradizionale" senza questo meccanismo registico...poi c'è il finale...dove tutto si incastra,dove tutto,come sempre,è perfetto...

Crimson  @  17/12/2005 18:39:45
   8 / 10
Piacevolissima quanto inaspettata sorpresa. Infatti ero partito prevenuto perchè da quanto avevo letto viene elogiato, tra i film del regista da "sussurri e grida" (1972) in poi, praticamente solo "Fanny & Alexander".
Invece questo film, realizzato nella famosa "fase tedesca" (Bergman era emigrato in Germania per problemi finanziari -credo-) è bellissimo.
Ciò che mi è piaciuto di più è il taglio psichiatrico con cui è analizzato il protagonista (non a torto), e la storia narrata a incastro. Bè quest'ultimo aspetto è interessantissimo, anche perchè non mi era mai capitato di vedere un film del regista con questa struttura: la scena madre all'inizio e in seguito sequenze a livello temporale rispettivamente antecedenti e successive, che man mano ricostituiscono l'intera vicenda; infine l'epilogo, in cui viene tracciato il motore "nascosto" dell'intera vicenda. Qual è il vero motivo per cui Peter ha ucciso la prostituta? a differenza di ciò che è scritto nella trama (su) sono le parole dello psichiatra alla fine del film a svelare i meccanismi inconsci che sono scattati. Al di là della personalità di Peter, su cui non posso soffermarmi più di tanto altrimenti svelerei molte cose (è un peccato perchè gli aspetti legati allo squilibrio mentale di Peter sono quelli di maggior fascino) anche gli altri personaggi sono interessanti: in particolare la madre e la moglie, due donne troppo simili per capirsi e per andare d'accordo; donne sole ma soprattutto due personalità che desiderano imporsi (fino a soffocare). In comune Karin e Peter hanno il desiderio nascosto di autodistruzione: il loro legame affettivo è deviato, si alimenta tramite la loro indissociabilità depravata basata sulla volontà di imporsi di lei e la ricerca costante di sicurezza di lui.
Un film che sà di Bergman al 100%, per l'analisi psicologica, per il tema delle difficoltà coniugali e molto altro. Vicino al "il rito" per come sono architattati la maggior parte dei dialoghi (ancora una volta superbi, profondi), ossia tramite le personali inchieste dell'ispettore e dello psichiatra. Tra i personaggi spicca anche il ruolo del collaboratore omosessuale di Karin, che spinge Peter a far visita alla prostituta per allontanarlo da Karin e avvicinarlo a sè, dal momento che prova un'attrazione forte per lui da tempo. Con questo tentativo è inconsapevole di scatenare il dramma, che tuttavia, come si scopre alla fine, si sarebbe inevitabilmente verificato prima o poi.

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