Recensione 007 - il domani non muore mai regia di Roger Spottiswoode USA 1997
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Recensione 007 - il domani non muore mai (1997)

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locandina del film 007 - IL DOMANI NON MUORE MAI

Immagine tratta dal film 007 - IL DOMANI NON MUORE MAI

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Immagine tratta dal film 007 - IL DOMANI NON MUORE MAI

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"Il Domani non muore mai", diciottesimo film della saga di James Bond, esce due anni dopo "Goldeneye" nel 1997. Qualitativamente il livello è buonissimo, un action movie in puro stile 007 che non fa rimpiangere il precedente e anzi ne migliora le dinamiche d'azione. In questo senso sono spettacolari gli inseguimenti in BMW che erano mancati nel precedente, anche se controbilanciati dalla folle corsa del carro armato tra le strade russe. Bond è per la seconda volta Pierce Brosnan, sempre disinvolto e suadente e che per la prima volta mostra (anche se solo per un attimo) debolezza e sconforto per la morte di uno dei suoi amori, per poi tornare lo stesso imperturbabile agente segreto.

Il domani non muore mai - il potere dei mass media

Aiuta la sceneggiatura di Bruce Feristein (già in "Goldeneye") a rendere "Tomorrow Never Dies" brillante nelle battute, divertenti, ciniche. C'è una sorta di originalità tutta fumettistica e quindi iperbolica in questa trama a tratti avvincente che si sposta dall'Inghilterra alla Germania fino alla Tailandia e al mare coreano (ci fu una riscrittura della sceneggiatura perché la troupe non poté girare ad Hong Kong): al centro c'è il potere assoluto di un magnate dei mass media con la "solita" ambizione di poter controllare il mondo e la sete illimitata di potere.
A pensarci oggi dopo quindici anni la trama, allora verosimile, diventa ancora più realistica nei limiti cinematografici; i mezzi televisivi e internet governano gli umori del popolo, la disinformazione di massa è appannaggio esclusivo di telegiornali, quotidiani e riviste scandalistiche che appunto di questo non solo campano, ma se ne servono per modificare il mondo. E non è quindi pura invenzione da spy story che proprio i media possano portare il mondo (in questo caso Cina e Inghilterra) sull'orlo di una guerra spaventosa, con i rapporti tesi che molte nazioni hanno con le altre. È quindi un Bond sempre più immerso nel mondo moderno e certo anche per questo avvincente e gradevole come non saranno allo stesso livello i successivi due con Brosnan: non è al livello di "Goldeneye" per compattezza, in quanto il precedente era più omogeneo nella sua durata, nei personaggi, nella trama mentre nel finale "Tomorrow Never Dies" si ripete colpevolmente e autocita; difetto non da poco conto se si pensa che di finali in sottomarino, con Bond che sgomina i cattivoni (e qui con originalità poca) è un qualcosa di visto e rivisto e che continueremo a vedere.

Titoli di testa

Dopo un'avvincente sequenza d'introduzione, ottima come da tradizione bondiana, è la voce di Sheryl Crow ad introdurre i consueti titoli di testa: sensualissima la canzone, tra le migliori della saga, e il video davvero molto bello in cui donne ipertecnologiche diventano di carne in una sorta di Cyberspazio ante-litteram.

Bond girls

Non per dire, ma questa volta le donne di Bond sono abbastanza fiacche (altro punto a sfavore del film): Teri Hatcher nel ruolo di una vecchia fiamma è sensuale e ha un arco narrativo tanto importante quanto veloce, troppo veloce: la sua dipartita in realtà non colpisce come dovrebbe (qualcuno ricorda la donna d'oro di "Goldfinger"?), la causa è che il personaggio ha pochissimo sviluppo.
Michelle Yeoh invece è brava nel ruolo di una 007 femminile e per giunta cinese, manca di fascinazione erotica e questo è un guaio... Torna M, una sempre ottima Judi Dench con battute al fulmicotone per l'occasione, e c'è un'ottima alchimia con la Moneypenny di Samantha Bond.

Villain

Uno dei punti di forza di questo 007 sono indubbiamente i villain. Che sono tanti. Troppi. Il più fiacco suo malgrado è il techno-terrorista Henry Gupta: cattivo che rimane sullo sfondo e a cui colpevolmente non viene dato spazio dal regista Spottiswoode. Eppure in partenza si voleva fare di questo personaggio un nuovo Oddjob dato che l'attore che lo interpreta, Ricky Jay, è un famoso illusionista. Lo spazio per lui però venne drasticamente ridotto fino a renderlo nient'altro che un personaggio di contorno, poco importante.
Non si può dire lo stesso di Stamper (Gotz Otto), scagnozzo tedesco di Carver che da del filo da torcere a Bond soprattutto nel finale: eppure anche in questo caso il ruolo non è approfondito a dovere, fin troppo marginale com'è.
Andando in ordine crescente d'importanza, certo al secondo posto dei villain di questo film deve essere nominato quello che appare di meno: il dottor Kaufman, interpretato dal compianto caratterista italoamericano Vincent Schiavelli, da molti conosciuto come attore feticcio di Milos Forman: personaggio difficilmente dimenticabile che compare sullo schermo si e no tre minuti in una sequenze che contiene tutto, dalla tensione al grottesco. Da vedere in originale per godersi il fantastico accento tedesco di Schiavelli per questo inquietante killer fuori dai canoni che considera l'uccidere un lavoro da professionista e la tortura un hobby da coltivare di tanto in tanto con passione.
Villain principale questa volta è però Elliot Carver, un Jonathan Pryce fantastico che si sbizzarrisce nei panni di un megalomane potente assetato di sangue e potere. Mille volte meglio di Sean Bean in "Goldeneye" (abbastanza fiacco e prevedibile), con battute fantastiche e citazioni cinematografiche ("L'impero colpisce ancora").

Q e il reparto effetti speciali

Sono ottimi anche i gadget di Q, usati in pratica tutti nelle situazioni cardine del film: dall'automobile piena zeppa di accessori (e telecomandabile come un modellino), che può sparare missili, chiodi, riparare le gomme ed è praticamente ai limiti dell'indistruttibile; fino al telefonino che se usato male può scaricarti in corpo migliaia di volt. È la penultima apparizione del personaggio più apparso in assoluto nella storia dei film di 007.
Il titolo del film si rifà ad una canzone dei Beatles ed è il primo in assoluto a non avere alcun tipo di relazione con Ian Fleming (laddove "Goldeneye" era la villa dello scrittore in Giamaica). "Il domani non muore mai" ebbe comunque una gestazione travagliata nello script, che dovette essere modificato più volte suo malgrado (si dice che alcuni attori tra cui lo stesso Pryce non furono contenti del risultato e del nuovo ruolo dei loro personaggi). La stessa Teri Hatcher in seguito non fu contenta della sua interpretazione, poco stimolante sotto tutti gli aspetti (non ha tutti i torti): fu provinata tra le altre per lo stesso ruolo anche Monica Bellucci su richiesta di Brosnan ma fu ignorata.
Il film andò bene ai botteghini ma soprattutto nel mercato home video, ricordando che uscì nel periodo in cui "Titanic" spopolò nelle sale. Un peccato che i Bond di Brosnan non abbiano più raggiunto questi buoni livelli di intrattenimento, a tratti originale, a tratti dal sapore di già visto. Godibili con tutte le loro imperfezioni (che ci sono e non sono poche).

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Recensione a cura di elio91 - aggiornata al 20/04/2012 17.10.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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