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Di ritorno nell'M6 dopo esser stato dato per morto, James Bond ha il suo primo confronto verbale con Q, giovane e rampante esperto informatico dei servizi segreti britannici, di fronte al dipinto di Turner "La valorosa Téméraire", alla National Gallery di Londra. L'opera ritrae un veliero da guerra condotto in porto per la demolizione, sullo sfondo di un intenso tramonto, trainato da un rimorchiatore a vapore. "Sic transit gloria mundi", viene in mente guardando il dipinto: i tempi passano inesorabili, le vecchie glorie sono soppiantate dalle nuove tecnologie, che appaiono sempre più prosaiche.
E' un James Bond che guarda al passato, quello di "007 Skyfall", e che si interroga: sui tempi che corrono, su ciò che cambia, ciò che tramonta e ciò che perdura. Lo fa in modo scanzonato ma lucido, esplicitando - a volte con ironia - l'interesse per questi interrogativi nei dialoghi, nelle situazioni e nelle citazioni (la comparsa della Aston Martin salutata dall'attacco dello storico brano musicale di 007 è una felice intuizione).
Gli sceneggiatori di "007 Skyfall" (gli "storici" Neal Purvis e Robert Wade, affiancati da John Logan) provano a ragionare in grande, e a fare i conti con il mondo com'è diventato 50 anni dopo il primo episodio della serie, 20 anni dopo la fine della guerra fredda, e 11 anni dopo l'11 settembre. Il cinquantenario di 007, ben sfruttato in termini commerciali (con cofanetti da collezione e tutti gli episodi della serie editi per la prima volta in alta definizione) è stato il pungolo che li ha spinti a lavorare di fino - oltre a essere stata la ragione dell'ingaggio un regista di prestigio come Sam Mendes, che lascia la sua firma su quello che è il Bond più riuscito e significativo da decenni a questa parte.
Spionaggio e XXI secolo
Dopo l'era, lunga e mediocre, del Bond di Pierce Brosnan, l'arrivo di Daniel Craig è coinciso, prima, con il tentativo, da parte del buon "Casino Royale" affidato a Martin Campbell (2006), di giocare la carta del ritorno alle origini, recuperando l'omonimo romanzo primigenio di Ian Fleming del 1953; quindi, si è tentato l'accostamento a temi vagamente impegnati (la lotta per il controllo delle risorse idriche), con "Quantum of solace" affidato a Marc Forster (2008). Ora, è arrivato il momento di affrontare il terreno d'eccellenza per un film di spionaggio aggiornato al XXI secolo: quello del cosiddetto terrorismo internazionale. A riguardo, "007 Skyfall" si confronta con un contesto profondamente mutato per i servizi segreti (e non solo): la digitalizzazione di ogni informazione possibile va di pari passo con l'evanescenza di un nemico che si cela sempre di più, fino a rasentare l'invisibilità.
Ci sono persino due citazioni di fatti storici reale, in "007 Skyfall": la prima esplicita, la seconda più criptica. Quella esplicita riguarda gli attentati nella metropolitana di Londra del luglio 2005. L'allusione è arrangiata in chiave ultra-spettacolare, in modo da essere mascherata per non turbare troppo, nell'ambito di un film d'intrattenimento. La seconda è sofisticata: quando la M della solita Judi Dench viene informata che qualcuno sta cercando di accedere a dei dati proprio dalla sede centrale dell'MI6, è indotta a precipitarsi presso la sede, giungendo a un passo da essa solo per poterla vedere esplodere con i propri occhi. Esattamente la stessa esperienza fatta dal mondo con il secondo aereo dell'11 settembre, che si infilò nella torre nord del WTC sotto gli occhi impotenti di tutto il globo.
Del terrorismo internazionale e dei suoi metodi, attenti anche alla spettacolarizzazione degli attentati, si vede solo la scorza. L'apparenza, la superficie. Esattamente come nella realtà, del resto. Nel film, il terrorismo internazionale è del tutto decontestualizzato storicamente e socialmente. Il "nemico" non è un'organizzazione che agisce per ragioni di natura politica o economica: il "nemico" è un criminale, un pazzo isolato (al cui soldo opera un esercito privo di identità), che agisce per ragioni puramente personali (è il ritratto di Bin Laden, in fondo: almeno quello che da potenti e media è stato sdoganato presso l'immaginario collettivo).
Un supereroe, e il suo villain
"007 Skyfall" segue il filone di blockbuster che si è maggiormente imposto, insieme al fantasy, in questi anni 2000: cioè quello che deriva dall'universo dei supereoi delle graphic novel. Il modello, scoperto, è "Il cavaliere oscuro" (2008) di Nolan, in cui a Batman rubava la scena il memorabile Joker di Heath Ledger. In "007 Skyfall" a James Bond è affiancato un villain di livello adeguato: il memorabile Raoul Silva di Javier Bardem (superba la sua caratterizzazione), che appare scritto e pensato con il Joker di Heath Ledger come punto di riferimento.
Come ne "Il cavaliere oscuro", lo svolgimento della trama di "007 Skyfall" assume sempre più i toni di una sfida a due (anzi a tre); anche il modo in cui i colpi di scena si susseguono rimanda al film di Nolan.
Con quel pizzico d'ironia che non manca neppure al Bond di Craig, Agente 007 è tratteggiato per quello che effettivamente, in fondo, è sempre stato, sin dall'inizio: un supereroe. Il cui principale potere è saper risorgere. Il suo vizio è quello della resurrezione, come egli stesso dice al suo antagonista in una battuta destinata a rimanere nella memoria del pubblico.
Allusione ammiccante, anche in chiave metatestuale: Bond è risorto più volte dalle sue stesse ceneri, sia sotto la pelle di diversi attori-feticcio, sia in contesti globali completamente mutati. Assurto a mito contemporaneo (con le interessanti considerazioni che ne potrebbero derivare in termini di spessore etico di un mito di questo tipo…ma è un'altra storia), il personaggio di Bond non ha età: immortale, è sradicato da un'epoca precisa. Si colloca fuori dalla Storia come un eroe dei fumetti, appunto, se non fosse obbligato, per sua natura, a operare entro le dimensioni spazio-temporali della Realtà, e non entro un mondo totalmente immaginario. Ma del resto al cinema il confine tra Realtà e immaginario si è fatto sempre più sottile: è sempre Nolan a dimostrarlo, e non solo con Batman.
Il passato del supereroe
Colpisce la sostanziale assenza di una Bond-lady. Ha ragione chi ha insinuato che, in "007 Skyfall", la vera Bond-lady sia M. Il che è di importanza fondamentale per comprendere il senso dell'operazione di restyling, anzi di ridefinizione dell'identità di James Bond dell'era Craig, che con questo film si completa.
Ciò che più colpisce, forse, in questa pellicola, è infatti il senso di fedeltà che James Bond dimostra a M, nonostante lei l'abbia fatto quasi uccidere. Nonostante sia dato per morto, e abbia l'occasione di cambiare pelle, James Bond torna in servizio. Ha l'occasione di scegliere una vita alternativa a quella da spia, ma la rifiuta. Una scelta diametralmente opposta a quella di Jason Bourne. Forse non poteva essere diversamente, essendo 007 la spia per eccellenza: però nel plot c'è l'intenzione esplicita di andare nella direzione opposta a quella di Bourne. Il che possiede implicazioni morali e politiche, antitetiche, altrettanto precise di quelle dei film su Bourne diretti da Greengrass ("The Bourne supremacy", 2004, e "The Bourne ultimatum", 2007).
Come si giustifica la scelta di tornare al servizio di sua maestà? Di James Bond, "007 Skyfall" prova a costruire un passato. Il titolo del film rimanda alla dimora della famiglia Bond: Skyfall, appunto. Il cimitero in cui, su una lapide, nel finale si leggono i nomi dei genitori di James Bond, è citato sin dai titoli di testa (come al solito gustosissimi) inondati di sangue e infarciti di pietre tombali, sulla suadente voce di Adele. Si tenta di costruire un minimo spessore psicologico di supporto alla ferrea vocazione di Bond: orfano da piccolo, avrebbe cercato (e trovato) in M il suo modello genitoriale.
Perciò, è persa in partenza la tentazione-sfida lanciata dal demonio-Silva ("tu sei come me, vieni dalla mia parte: siamo della stessa pasta, non siamo fatti per servire ma per ribellarci"). Vero che M è stata disposta a sacrificare la vita di Bond. E che si sta comportando, nei suoi riguardi, con lo stesso cinismo che è all'origine dell'umiliazione da cui scaturisce la volontà di rivalsa di Silva. Ciò con cui Silva però non ha fatto i conti è appunto il passato di Bond.
La vocazione alla causa da parte di 007 si spiegherebbe così in termini puramente psicologici. In ogni caso, non ha alcun fondamento ideologico. La scelta fra rispetto delle regole e ribellione non ha più coloritura politica, sociale o morale: le uniche ragioni rimaste sono quelle dell'Io e del Super-Io.
Un automa fragile e fedele
Una sceneggiatura molto buona, solida, intelligente, quella di "007 Skyfall". Un film che si lascia sempre seguire con una chiarezza insolita; che sa alternare sapientemente i segmenti lenti e dialogati alle rocambolesche fughe d'azione (spesso notevoli per coreografia, in particolare nella parentesi cinese, che si avvale di una scenografia e di un cromatismo strepitosi. Al contrario, la sequenza finale è prolissa; l'incipit a Istanbul si fa notare, invece, per felici scelte visive).
Chi è dunque questo James Bond, supereroe con un passato e una psiche più fragile di quello che sembra? Anche nei suoi tratti d'ombra è affine al Cavaliere Oscuro: e come lui rasenta l'ottusità di chi non si smuove di un millimetro dalle azioni per cui sembra quasi programmato.
In un arguto dialogo Bond fa notare all'espertissimo Q (interpretato da Ben Whishaw) come l'informatico, pur con tutta la sua perizia, non saprà mai quando e se premere un grilletto. Malgrado ciò, il Bond di Craig appare, in "007 Skyfall", quanto mai un cyborg, programmato per fare il suo mestiere. Pur con tutti i chiaroscuri e le (invero assai piccole) fragilità umane che gli si voglia trovare, James Bond è l'essere umano più vicino a un Terminator che possiamo immaginare. Ad esempio non esita a farsi distruggere la preziosa Aston Martin, simbolo del passato, così come a far saltare in aria l'avita dimora Skyfall, e tutto questo per cosa? Solo per fedeltà a M e al proprio ruolo. Sta agendo per scelta personale: ma è una scelta che sembra assunta sulla base di un riflesso automatico.
Il nuovo James Bond non arriva ad eguagliare la complessità che Batman aveva assunto nei primi due capitoli della saga di Nolan ("Batman begins", 2005, e "Il cavaliere oscuro", 2008). Lo 007 di Craig è squadrato e bidimensionale, e questo film lo adatta definitivamente a un universo depurato di ogni residua scoria ideologica. "007 Skyfall" è emblema di un immaginario ormai a un passo dal trasfondersi in un gigantesco videogioco planetario. Non solamente le ragioni dei buoni e dei cattivi non sono più davvero distinguibili: soprattutto, i conflitti non sono che attriti fra volontà di potenza individuali, che si scontrano per avere la meglio. Di fronte a colossi sovrumani che si muovono sulla scacchiera del mondo come biglie impazzite, la robotica fedeltà alla causa di Agente 007 torna ad essere, in fin dei conti, quasi rassicurante. Come da sempre vuole risultare.
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Recensione a cura di Stefano Santoli - aggiornata al 30/11/2012 17.48.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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