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"71 Fragmente einer Chronologie des Zufalls", del 1994, è il terzo ed ultimo capitolo della trilogia della glaciazione iniziata nel 1989 con "Der siebente Kontinent" e proseguita nel 1992 con "Benny's video" del regista austriaco, ma nato a Monaco, Michael Haneke (23 marzo 1942). Il futuro realizzatore di perle memorabili come "Funny games" e "Il tempo dei lupi" punta in modo veemente il dito contro la borghesia in queste sue prime opere.
Così come per "Il settimo continente", anche in questo "71 frammenti di una cronologia del caso" dare una sintesi di trama è quanto mai complicato. Come preannunciato dal titolo: 71 frammenti, 71 piccoli flash sulla vita di gente qualunque in una Vienna prossima alla vigilia di Natale di un freddo 1993. Un bambino rumeno (Marian Radu interpretato da Gabriel Cosmin Urdes) scappa da Bucarest, una coppia di coniugi (Inge Brunner, alias Anne Bennent, e Paul Brunner, alias Udo Samel) cerca disperatamente di diventare genitori tramite l'adozione di poveri orfani, uno studente (Maximilian, Lukas Miko) chiama costantemente i propri genitori, un anziano (Tomek, Otto Grünmandl) è in perenne disaccordo con la figlia, e così via con gli altri personaggi dei 71 tasselli che andranno a comporre, nel finale, il puzzle del Caso.
E il finale, glaciale come la trilogia, è tutto nell' apertura del film, che cita dal telegiornale: "Il 23 dicembre 1993, uno studente di 19 anni, Maximilian B. sparò a tre persone in una banca di Vienna e subito dopo si uccise con un colpo alla testa".
Prima di "Crash - contatto fisico" (2004). Prima di "Magnolia" (1999). Prima di "Pulp fiction" (1994). Anzi no, contemporaneo del capolavoro di Tarantino, anche nei 71 frammenti di Haneke vengono guardate, pezzo per pezzo, le vite dei personaggi che si ritroveranno tristemente nella banca dove tre di loro perderanno la vita per mano di un ragazzo che, alienato dalla situazione stessa, deciderà poi per il suicidio.
In questo film della durata di 95 minuti circa senza titoli di testa o di coda, come a voler rendere quindi totalmente impersonali i protagonisti, la durata delle singole storie è quanto mai breve, scelta questa che richiede dunque grandissima capacità di sintesi e di contenuto ad ogni scena. Capacità ben presente in Haneke, che riesce ad entrare nella testa di ognuno di loro dandone pochissime briciole della personalità tramite questi brevi frammenti di vita.
La "glaciazione". Nel primo film si parlava del suicidio incomprensibile di una famiglia. Nel secondo dell'omicidio e della relativa incapacità emotiva di risposta del piccolo Benny (che tra l' altro è Arno Frisch, ovvero il futuro Paul di "Funny games", quasi un battesimo per lui). Nel terzo sono presenti entrambi gli elementi: prima un triplice, assurdo omicidio, infine il suicidio.
Ma cosa porta Max, il ragazzo all'apparenza buono e gentile, che chiama sempre i genitori per aggiornarli sui suoi studi e la sua vita sociale, a compiere l' insano gesto, è inspiegabile. Fermandosi ad una pompa di benzina si accorge di non avere denaro liquido per pagare, estrae il bancomat ma il gestore gli indica dove poter ritirare i soldi essendo sprovvisto di terminale, il ragazzo si incammina ma il bancomat non funziona, allora è costretto ad entrare nella banca dove si accorge di avere davanti una lunga attesa in fila. Solo che nel frattempo la macchina lasciata alla pompa di servizio sta bloccando altri clienti. Cerca di spiegare la situazione, passa avanti, ma viene rimproverato e spintonato in terra. A quel punto sembra di vedere un giovane Michael Douglas nei panni di Foster: annebbiato nei pensieri dallo stress di una situazione che gli sta sfuggendo di mano, Max torna in macchina, prende la pistola, rientra in banca e uccide 3 persone. Ritorna di nuovo nel veicolo e si toglie la vita. Anche lui, come Benny, come Georg e Anna Schober, è senza emozioni, senza tentennamenti, senza ripensamenti, e soprattutto senza reali motivi di odio verso la vita sua o degli altri. In effetti, in uno dei "frammenti", aveva già dato segni di insofferenza davanti al gioco coi pezzi di carta che gli propongono i suoi amici, per poi mostrare, però, estrema calma nello shangai dove batte un compagno universitario vincendogli l'orologio.
Il "Caso". Haneke probabilmente non è un grande estimatore del concetto di "scelta". A lui forse "Sliding doors" non fa molto effetto. Non c'è infatti nessun tipo di altra possibilità, per i protagonisti, in questa storia. Sembra tutto già deciso, inevitabile. Max potrebbe perdere al gioco la pistola, invece la vince e con essa l'orologio del suo amico. Quella stessa pistola che era stata sottratta da un militare in caserma, che la vende prima di essere scoperto. Non dopo, prima. Casuale è la presenza di Inge in banca, che prima entra col piccolo Marian poi invece lo lascia ad aspettare in macchina. Ed essendo il "Caso" che decide, è totalmente inutile inquadrare i volti delle vittime, così come lo era mettere i nomi degli attori nei titoli di testa o di coda, perché loro sono solo marionette.
La televisione era elemento presente ed in qualche modo importante (ecco la critica alla famiglia borghese) anche negli altri due primi film. In questo sembra esserci un traite d'union per i 71 frammenti: il telegiornale. Seguito da tutti i protagonisti, annuncia terribili notizie sulla guerra: Sarajevo, il generale Aidid, la Somalia. E Michael Jackson. Che chiude le news, relegando a pochi secondi la terribile cronaca di ciò che è accaduto in banca. Perché va bene informare sui movimenti di guerra, o sull'economia, ma poi è più importante un semplice gossip su un cantante che non le vite di tre, più quattro compreso Max, persone normali unite da un terribile destino guidato dal Caso.
Haneke non è un regista facile, o si ama o si odia. Ma odiare lui, a giudizio personale di chi scrive questa umile recensione, è odiare il cinema.
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Recensione a cura di marcoscafu - aggiornata al 28/11/2012 15.29.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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