Voto Visitatori: | 6,50 / 10 (7 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 7,00 / 10 | ||
Il regista italo-argentino Lucas Pavetto ritorna al lungometraggio dopo il discreto esito de "Il marito perfetto", film d'esordio a sua volta tratto da un proprio mediometraggio dal titolo omonimo.
La produzione è tutta italiana, ma il film viene girato negli Stati Uniti vista l'impossibilità di reperire fondi sufficienti sul suolo italico. Viene mantenuta la stessa coppia di protagonisti che avevano caratterizzato "Il marito perfetto", Bret Leonard e Gabriella Wright, rispettivamente nel ruolo del giovane alcolizzato e di un'assistente sociale che cerca di farlo uscire dalla sua dipendenza.
Prima di parlare specificatamente di questo film occorre fare un breve digressione su un altro lavoro di Pavetto, precedente di qualche anno all'altro mediometraggio, "Il marito perfetto".
Nel 2009 con un budget praticamente zero, Pavetto realizza "Il lercio", storia di un uomo avaro oltre ogni limite dell'umana comprensione. Una patologia che aveva come conseguenza tutta una serie di comportamenti assurdi quanto mostruosi di una persona che pur di accumulare denaro sarebbe stata disposta a tutto e sacrificando tutto, amore ed amicizia in primo luogo.
Il lavoro in questione è molto diverso dall'"Alcolista", soprattutto per l'utilizzo di registri diversi tra di loro. Pavetto spingeva molto sul grottesco nel lercio, proprio a sottolineare l'assurdità e la tragicità dei comportamenti del suo protagonista, mentre nell'"Alcolista" il grottesco è pressoché assente ed utilizza diverse tonalità più vicine a prodotti di genere.
Tuttavia ciò che accomuna questi due lavori è la descrizione di una patologia dall'interno, dal vissuto quotidiano del personaggio principale. Infatti al pari de "Il lercio", l'"Alcolista" ci immerge immediatamente nell'inferno personale di Daniel, il protagonista. Un uomo solo che vive in una casa dagli interni malridotti ed adornata principalmente da bottiglie di superalcolici vuote o semivuote, nascoste anche nei posti più impensabili e cocci di vetro rotto sparsi sul pavimento. E' una patologia ormai giunta agli stadi finali, quando il punto di non ritorno è stato superato da tempo ed ha marchiato definitivamente l'esistenza di Daniel.
Il giovane vive un'esistenza completamente distorta rispetto al normale e come sottolineava William Burroughs, il normale ciclo giornaliero non è più determinato dal giorno e dalla notte, ma scandito dalla dipendenza stessa, tra un attacco e l'altro, dove il bisogno di alcool diventa primario su tutto e tutti. Non ci sono quindi sostanziali differenze tra un alcolizzato ed un drogato: la dipendenza dell'uno o dell'altro determina l'esistenza stessa dell'individuo che ne è affetto, senza sconti.
Oltre all'alcolismo Daniel è ossessionato dal proprio vicino di casa, colpevole di avergli rovinato la vita e ridotto allo stato attuale. L'alcolismo è stato originato dalla morte violenta di sua moglie e sua figlia, periti in un incidente causato dal proprio vicino. Daniel quindi è affetto da una doppia dipendenza. Oltre a quella degli alcolici, è presente anche un diverso tipo di sete: quella di vendetta verso l'uomo che è la causa originaria dei suoi mali. Lo studia e lo scruta ogni giorno, escogita piani per poterlo eliminare fisicamente, ma ogni volta che si presenta l'occasione, il caso e la mancanza di coraggio vanificano il tutto. Una doppia dipendenza che si alimenta reciprocamente.
Il film di Pavetto, utilizzando questa particolare prospettiva, influenza pedissequamente il ritmo, tra alti e bassi, scanditi dall'alcool. A momenti di furore e rabbia si alternano momenti più riflessivi dominati da buoni propositi di riuscire a venir fuori dall'inferno in cui Daniel è sprofondato. Svuotare bottiglie piene nel lavandino durano solo un attimo, poi nel tentare di svuotare l'ultima la dipendenza ha sempre il sopravvento: invece del lavandino trova una bocca aperta pronta ad accogliere il suo contenuto e si ricomincia daccapo il medesimo percorso. Può sembrare ripetitivo, tuttavia è proprio nel descrivere tale patologia che Pavetto gioca le sua carte migliori con una fotografia cupa ed opprimente nelle scene ambientate negli interni in cui fanno capolino piccole tonalità horror, quando le visioni del protagonista si incarnano in una figura mostruosa incappucciata che simboleggia la dipendenza stessa pronta a reclamare un bisogno insopprimibile oppure nell'assalto di insetti che fanno scempio del corpo di Daniel. Come sottolineato dal film stesso, non c'è possibilità di ritorno una volta iniziato un certo percorso. Si può uscire anche per molto tempo dalla piaga dell'alcool, ma è sempre un demone che rimane ibernato dentro sé stessi e pronto a balzare fuori alle prime grandi difficoltà che si presentano nella vita. L'oblio di droga o alcool forniscono sempre un falso rifugio fittizio. L'esistenza stessa sarà caratterizzata da un equilibrio sottilissimo dove è fin troppo facile cadere nel vuoto.
Detto della figura marginale del padre che Pavetto inserisce come uno dei tentativi per riportare alla realtà Daniel, la figura più importante sotto questo punto di vista è rappresentata dalla terapeuta Claire, impegnata in una comunità per il recupero degli alcolizzati. E' il personaggio che più di tutti tenta di entrare nella vita di Daniel. Ne intuisce immediatamente le sue fragilità e lo stimola continuamente a combattere contro la dipendenza dall'alcool. E' in questa fase che il film assume tonalità tipiche del thriller psicologico. Tra i due si instaura un rapporto di continua e reciproca manipolazione, ma mentre i propositi manipolativi di Daniel sono chiari fin dall'inizio ed hanno lo scopo di nutrire la patologia, quelli di Claire presentano varie ambiguità ed un modus operandi fuori dagli schemi rispetto alla realtà lavorativa di riferimento. E proprio per questo motivo che abbandona il lavoro in palese disaccordo su tali modalità che in un passato recente ha utilizzato, con risultati poco lusinghieri, per non dire disastrosi.
L'ambivalenza di Claire non è altro che un espediente utilizzato da Pavetto per inserire quella che è una caratteristica del suo cinema, cioé quel colpo di scena, o twist che dir si voglia, che ribalta le aspettative dello spettatore, attraverso lo stravolgimento del personaggio che lo mette in opera. Operazione simile a "Il marito perfetto", ma che alla resa dei conti appare forzato nell'"Alcolista", giunto leggermente fuori tempo massimo.
Ciò non toglie che pur avendo dei difetti, concentrati soprattutto nella parte finale un po' forzata nella sceneggiatura, il film di Pavetto sia un film che presenta pregi maggiori dei difetti stessi. La buona interpretazione di Leonard è fondamentale e su una base solida come questa che il film può dirsi riuscito. L'aderenza fisica ed emotiva dell'attore ci trasportano nel tormento interiore ed esteriore di un uomo finito. Un ruolo difficile che l'attore padroneggia con ottimi risultati, senza mai andare oltre il limite e di contro sempre attento ad usare tempi e modi giusti in un personaggio molto instabile a livello emotivo.
Pavetto comunque è un regista da tenere d'occhio. Ha la capacità di ottenere risultati lusinghieri pur in presenza di budget ridotti, come in questo caso, nonché dimostra una crescita costante a livello qualitativo che ci si augura non perda in futuro.
"Certe dipendenze non hanno cura"
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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 25/05/2017 15.00.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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