Voto Visitatori: | 6,03 / 10 (48 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 7,50 / 10 | ||
Presenza ormai costante nelle stagioni cinematografiche italiane (sforna un film al ritmo di un anno sì e un anno no), Ferzan Ozpetek ritorna sugli schermi nel 2014, riproponendo ancora una volta (repetita juvant?) una storia in cui l'amore, la solidarietà e il dolore sono gli incontrastati protagonisti.
Ci troviamo nell'ambiente della media borghesia leccese nell'anno 2000. Due amiche, Elena e Silvia, lavorano presso un bar del centro insieme a Fabio, un ragazzo dichiaratamente omosessuale (presenza quasi costante nei film di Ozpetek). La vita di Elena viene sconvolta dall'arrivo di Antonio, il nuovo ragazzo di Silvia. Rozzo, ignorante ed omofobo rappresenta proprio l'opposto dell'ideale di uomo a cui aspirerebbe. Aspirerebbe, appunto; perché il fascino molto maschile di Antonio, la sua insistenza, il gusto per l'avventura hanno la meglio su Elena, che si lascia andare, nonostante che Antonio sia il ragazzo della sua migliore amica.
Un'abile dissolvenza incrociata ci fa fare in un secondo un salto di 13 anni. Nel 2013 Elena e Fabio gestiscono un bar tutto loro, con tanto di successo anche finanziario. Elena è adesso sposata con Antonio e ha due bei bambini. I rapporti fra i due non vanno però bene: le incomprensioni, i litigi, i tradimenti (da parte di lui) sono all'ordine del giorno. Evidentemente Elena ed Antonio non erano fatti l'una per l'altro. Ci pensa di nuovo però il destino a mescolare le carte. Elena scopre di avere un carcinoma alla mammella. I rapporti interpersonali, la vita stessa delle persone viene ad assumere così un nuovo valore, un nuovo significato. Elena oscilla fra voglia di vivere e rassegnazione alla morte. Non sappiamo come andrà a finire, ma sappiamo cosa pensa e soprattutto cosa sogna Elena, duramente provata dalle cure chemioterapiche.
Il genere melodrammatico è uno dei generi più facili e più difficili da proporre al cinema. Facile, perché il sentimento è un tema molto comune e di sicura presa sull'emotività dello spettatore; difficile, perché non è semplice dosare i sentimenti e le espressioni, così da farli sembrare sinceri e veri. La lacrima è un'arma che costa poco e con cui si ottiene molto. Facile quindi abusarne.
I film di Ozpetek si situano proprio sul confine fra sincero ed artefatto, fra misura ed eccesso, fra serio e comico. Dipende dalla sensibilità dello spettatore percepire le sue storie come sincere, profonde, vive e vere, oppure come facili commedie strappalacrime e accalappia cuori teneri.
Su "Allacciate le cinture" si sentiranno giudizi contrastanti e opposti, adesioni entusiastiche o rifiuti categorici; rimane in ogni caso un film "bello" da vedere (si spiegherà poi perché e per chi), ben sceneggiato e girato, abilmente montato e con la musica che sottolinea ad arte i momenti topici. Ozpetek conosce il suo mestiere, su questo non ci piove.
L'argomento della prima parte del film è il contrasto fra legame e desiderio, l'incertezza della scelta fra la sicura e tranquilla routine e l'eccitante ed avventurosa evasione. E' un tema già visto e trattato più approfonditamente in "La finestra di fronte". Qui Elena sceglie quasi per istinto, senza quasi pensarci due volte, di scappare dal bar in cui lavora per inseguire Antonio, raggiungerlo e vivere con lui l'avventura del passionale e del proibito.
Il "desiderio" di Elena quindi si realizza e Ozpetek è molto bravo nel farci capire cosa lo ha scatenato e come poi viene vissuto. Tutta la prima parte del film in fondo è una celebrazione della bellezza fisica maschile. Tradizionalmente è sempre stata la donna il soggetto di cui si decanta sullo schermo il fascino e la bellezza del corpo. In "Allacciate le cinture" è invece tutto ciò che è accentuatamente maschile in un corpo umano che viene celebrato, in maniera occorre dire assolutamente "casta". Più che quello che viene mostrato, è il modo con cui la mdp scivola sul corpo, letteralmente lo accarezza, ne evidenzia i tratti, che rende profondamente erotiche delle innocenti inquadrature.
A Francesco Arca, l'attore che impersona Antonio, non si chiede altro e quindi è inutile domandarsi se sa recitare o no.
Nella seconda parte la musica cambia. Non è più la bellezza fisica ma quella interiore la protagonista. Non si devono più fare i conti con l'istinto e il desiderio, ma con il dolore e la morte. Adesso la mdp si occupa di Elena, delle sue reazioni e di quelle degli altri di fronte a qualcosa di imprevisto e sconvolgente. La scena in cui lo spettatore evince il risultato della mammografia (è la musica e non le parole che lo comunica), con la reazione prima stordita e poi disperata di Elena, è forse il momento più intenso e topico del film.
Ozpetek sceglie però poi un registro dimesso, a volte addirittura comico (dolorosamente comico) per raccontare le titubanze di Elena, le peripezie dolorose dell'ospedale e della cura chemioterapica.
Entra in scena quella che è una costante del mondo filmato di Ozpetek: il gruppo solidale. Anche in questo caso parenti e amici si stringono intorno a Elena. Pur con le loro contraddizioni, le loro stranezze, i loro litigi, nel momento dell'emergenza aiutano a loro modo la persona che ha bisogno, cercando di tirarla su, di farle coraggio.
In mezzo a persone anche ostentatamente belle, non poteva mancare in un film di Ozpetek il personaggio fisicamente brutto ma interiormente ricco (nei primi film interpretato dalla turca Serra Yilmaz). Qui è Egle, una simpatica compagna di ospedale, che con la sua allegria, la sua forza, la sua ironia, intrattiene Elena e la incoraggia a combattere per la vita, a non rinunciare in partenza. E' uno di quei personaggi apparentemente minori che popolano e vivacizzano i film di Ozpetek, cercando di comunicare l'idea che l'umanità è più varia e più ricca di quanto si pensi,
Non è però tutto facile per Elena. Nel finale incubo e sogno si mescolano fra di loro. Forse prevale il fatalismo, il rifugiarsi nel passato. Ed è proprio riprendendo il passato, ritornando con un flashback a 13 anni prima, con una celebrazione della giovinezza e dell'allegria, che si conclude il film. Si è voluto dare un finale "positivo", dal sapore comico, ad un film che stava scivolando decisamente verso la tragedia. Ozpetek ha voluto che lo spettatore uscisse dal cinema con il sorriso sulle labbra, facendo vincere la gioia sul dolore. Su questo si potrà discutere se lo ha fatto per attaccamento a tutto ciò che di positivo ha la vita, o per mere ragioni di opportunismo filmico, per dare allo spettatore ciò che in genere si aspetta dal finale di un film.
In una storia in cui i sentimenti sono i protagonisti, Ozpetek adotta il punto di vista ravvicinato. La mdp generalmente sta addosso ai personaggi, li riprende quasi sempre in primo piano e in soggettiva. Non mancano vezzi e virtuosismi come ad esempio il piano-sequenza iniziale, in cui la mdp scivola sopra un selciato durante un acquazzone. Del montaggio ben studiato abbiamo già detto. Anche le scenografie, le ambientazioni (nel Salento, dopo Roma uno dei luoghi amati da Ozpetek) e le musiche sono curate ed efficaci.
L'interpretazione di Elena da parte di Kasia Smutniak è tutto sommato buona. I comprimari (attori habitué della commedia all'italiana) conoscono bene il mestiere.
Insomma, Ozpetek va sul sicuro, facendo quello che ha imparato bene a fare.
Se avete apprezzato in passato i film di Ozpetek, allora non perdetevi "Allacciate le cinture"; se invece non lo sopportate, allora astenetevi dalla visione, non troverete niente che vi possa far cambiare idea.
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Recensione a cura di amterme63 - aggiornata al 11/03/2014 15.43.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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