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"La storia qui raccontata non è un atto di accusa, nè una confessione, tantomeno si tratta di un'avventura, per quanti l'hanno vista in faccia la morte non è un'avventura molto più semplicemente abbiamo solo cercato di raccontare la storia di giovani vite che, pur sopravvissute alle bombe, sono rimaste profondamente segnate dagli orrori della guerra".
Con queste parole, scritte insieme ai titoli di testa, si apre quello che probabilmente è uno dei film di guerra più famosi e importanti di tutti i tempi: "All quiet on the western front".
Il successo non fu immediato: il pubblico criticò aspramente la brutalità con la quale veniva rappresentato il conflitto bellico, ed i contenuti palesemente antimilitaristi non piacquero né alla Germania di Hitler né all'Italia di Mussolini, infastiditi dal messaggio che il film portava, fondamentalmente opposto allo spirito nazionalista che veniva in quel periodo mostrato dal regime totalitarista.
Lewis Milestone girò il film in due versioni, una muta più lunga di trenta minuti, ed una sonora tagliata a più riprese dai produttori della Universal sotto la pressante richiesta di molti paesi d'Europa; la cosa non suscita meraviglia più di tanto, se si considera che ancora prima dell'uscita del film, il celebre romanzo di Erich Maria Remarque "Im westen nichts neues", al quale il regista si è ispirato, aveva subito la stessa sorte.
"All'ovest niente di nuovo" racchiude tutti gli elementi necessari alla realizzazione di un film di guerra: l'opera di convincimento ed il reclutamento di giovani studenti; l'addestramento delle reclute con il processo di educazione alle armi; la spersonalizzazione e la sottomissione dei giovani soldati. L'esercito viene così a configurarsi come istituzione con la quale si misura il senso di appartenenza dei singoli individui, il percorso attraverso il quale, con prove di coraggio, missioni al fronte e sopportazione agli stenti ed agli orrori, le giovani reclute diventano dei "soldati veri"; i valori del cameratismo, il senso del dovere, l'amicizia fraterna.
Dietro a tutto questo, che serve a formare un leitmotiv ineludibile è presente una costante, immancabile: la morte.
Ci si chiederà: "come poteva mancare in un film di guerra?", giusto! E' normale dare per scontato che in ogni conflitto bellico la falce della grande consolatrice faccia ombra su ogni individuo, ma nello sguardo spaventato dei giovani protagonisti della pellicola di fronte a questa ovvietà si legge qualcosa di diverso che la semplice rassegnazione alla fine, di fronte a questa implacabile ineluttabilità gridano, piangono, si disperano, pregano. Più dei fucili e delle granate è il pensiero della morte a far paura.
Non va dimenticato che il film è stato girato nel 1930, un periodo in cui in Europa iniziava a circolare un clima di euforia decisamente malato, che non avrebbe portato a nulla di buono, la propaganda fascista cominciava a diffondere le proprie idee, più o meno deformate, per persuadere le masse, e furono molti i registi che si prodigarono, con i loro film, ad offire un'interpretazione classica del fenomeno bellico, nacquero così pellicole indimenticabili come "La grande parata" di king Vidor (1925); "Westfront 1918" di George W. Pabst (1930); "Addio alle armi" di Frank Borzage (1932), nonché i film di avanguardia dalla Russia: "Ottobre" di Sergej M. Ejzenstejn (1927); "La fine di San Pietroburgo" di Vsevolod I. Pudovkin (1927); "Arsenale" di Aleksandr P. Dovzenko (1927).
Milestone, al pari di tanti colossi della cinematografia mondiale che seppero mostrare gli orrori della guerra intrecciando l'azione spettacolare con l'analisi introspettiva, riuscì attraverso accurati procedimenti come i decisi stacchi di montaggio, l'incessante sottofondo sonoro composto da scoppi, spari e sibili e magistrali carrellate della macchina da presa, a trasmettere allo spettatore tutta l'angoscia che deriva da un'esperienza bellica.
La storia si può annoverare tra quelle classiche dei film di guerra: siamo in piena prima guerra mondiale; in un villaggio tedesco un professore convince, con esaltanti discorsi nazionalisti, i suoi alunni ad arruolarsi tra le fila dell'esercito così da mostrare il loro spirito patriottistico. L'entusiasmo dei giovani si spegne quando, una volta al fronte, inizieranno a vedere i cadaveri dei loro compagni abbattuti dal nemico: mutilazioni, sangue, urla di dolore, decapitazioni diventano il loro pane quotidiano; la razione di atrocità è giornalmente servita dal comando supremo che dispensa ordini, la stupida logica della guerra è messa in atto.
Una delle avanzate contro i francesi ci regala una sequenza straordinaria, Paul (il giovane protagonista) si ritrova in una buca prodotta da una bomba con un soldato nemico, la colluttazione che ne consegue lascia quest'ultimo agonizzante, il giovane si rende conto di aver fatto una cosa aberrante e chiede perdono al soldato francese promettendogli di scrivere alla moglie dopo averne vista la foto estratta dal taschino, l'uomo gli muore tra le braccia, è un momento molto toccante del film.
Dopo una breve licenza per andare a trovare la madre malata Paul torna al fronte, niente è cambiato, l'orrore della guerra lo sta aspettando, in tutte le sue forme, in quella dell'amico ritrovato che gli muore sulle spalle mentre cerca di portarlo in salvo o in quella, paradossale, sotto forma di ali di farfalla.
Nonostante l'assenza di attori di grido il film venne insignito dell'oscar per il miglior film e la migliore regia.
Quando a Berlino proiettarono la prima, la platea fu bersagliata di topi morti scagliati dai nazisti; quest'orribile gesto la dice lunga sull'importanza che ha avuto "All'ovest niente di nuovo" nel panorama pacifista e antimilitarista del cinema mondiale.
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Recensione a cura di Marco Iafrate - aggiornata al 02/02/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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