Voto Visitatori: | 6,63 / 10 (8 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 6,50 / 10 | ||
Nel 1971 Fassbinder si mise alla prova con un film corale, caratterizzato da una moltitudine di attori emblematici del suo entourage dell'Antiteater di Monaco: a parte Lou Castel ed Eddie Constantine (la stella del film nel film che impersona sé stesso), ammiriamo Hanna Schygulla, lo stesso Rainer Werner Fassbinder, Margarete von Trotta, Kurt Raab e Ingrid Caven.
Gestendo gli artisti con carrellate mozzafiato, orizzontali e circolari, il regista sembra per una volta dare voce alla forma e alla scoperta di qualcosa che è stato dimenticato, il tempo filmico.
La direzione è dinamica: tutti gli attori girano intorno a un bancone del bar nell'atrio di una villa, ordinando Cuba Libre a raffica e rompendo istericamente bicchieri di vetro contro pareti e pavimenti.
Assemblato con un metodo e un linguaggio da esperti, "Attenzione alla puttana santa" è un arguto trattato che mette in risalto il tipico ingegno di Fassbinder nell'organizzare le sequenze.
Non si può fare a meno di notare con quanta accuratezza siano state costruite riprese con molteplici profondità di campo, per evidenziare atteggiamenti, vizi e virtù dei personaggi. Le coppie nascono e si abbandonano con la massima indifferenza, per virtuoso appagamento individualistico.
Quella descritta nel film è una banda, una specie di comune che vive tutta insieme, risoluta a esercitare il proprio lavoro come farebbe un vero team.
I personaggi si trovano a dover affrontare innumerevoli difficoltà, cercando di metter su un progetto cinematografico: manca il materiale per girare la pellicola, il regista non è ancora arrivato e deve decidere il casting, i contratti principali sono stati già pagati dalla produzione.
La location scelta per il film è Ischia, all'interno di una villa di un Ministro (anche se nel film si dice che ci troviamo in territorio spagnolo).
Il proposito, più volte interrotto e rinviato, è quello di dare inizio alle riprese di un inafferrabile e inconcludente film intitolato "Patria o muerte", con un soggetto concernente la barbarie dello Stato.
Non appena il regista (di nome Jeff) arriva, scopriamo che è venerato da tutti, in un vortice di uomini e donne che bramano la sua empatia. Chiunque dipende da lui e la soggezione li porta ad aver paura.
Jeff promette amore, matrimoni e figli a quasi tutti, agisce da autentico boss. Sa lusingare, infatuarsi, oltraggiare e dominare a seconda dei casi.
Fassbinder vagabonda nel ruolo di Sascha, ammansito tirapiedi di Jeff, e per osmosi si mostra dispotico con tutti, impegnato a fumare e a girellare a testa bassa.
"Warnung von einer heiligen Nutte" si può ritenere come un'iniziale straordinaria rottura nella filmografia del regista tedesco. Con la creazione dell'Antiteater, Fassbinder immaginava di poter dar vita a un movimento e un gruppo autonomi e liberi da qualsiasi schema imposto dalle "regole" del cinema e produrre un'arte in modo democratico.
Poi si accorse di aver creato pellicole, in 5 anni, che avevano disatteso in qualche maniera questa volontà.
La sua era stata solo una chimera, un ideale destinato a scontrarsi con la realtà. Non gli rimase altro che fare i conti con sé stesso, girando questo "Otto e mezzo" sbiadito, non sempre lucido, sofferto e un po' autoreferenziale.
Il nocciolo del film, la sua equivocità e il suo carisma stanno in questa antinomia: riscontrare che un insieme di esseri umani gretti, sfrenati, irritabili e prepotenti è nella condizione, grazie all'apporto e al comando di un solo regista, di generare qualcosa di completamente difforme e contrario al proprio modo di essere.
Il fallimento esistenziale dei singoli può essere conglobato e rinnovato nel loro inverso grazie al cinema, "puttana santa" per eccellenza.
Omaggiato dalle musiche di Peer Raben, Gaetano Donizetti, Elvis Presley, Ray Charles e Leonhard Cohen, Fassbinder tesse una specie di "Morte a Ischia" indolente e decadente. Anche se una didascalia dal "Tonio Kroger" di Thomas Mann rivelerà un desiderio di cambiamento:
"E io ti dico che sono stufo di ritrarre la natura umana senza parteciparvi".
Il messaggio del regista teutonico arriva in questo modo a considerare perfino "la gente che non pensa", quella che va nelle fabbriche a lavorare, destinata a perdere tutte le opportunità.
C'è in Fassbinder una flebile esortazione a uscire da questa condizione per ritrovare la propria dimensione. La società può trasformarci in morti che non sono più in grado di reagire. Una consapevolezza che, da Fassbinder, si espande fino a un'adesione collettiva dell'intero tessuto sociale.
I primi melodrammi stanno per arrivare e "Il mercante delle 4 stagioni" sta già facendo sentire la sua ragguardevole voce.
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Recensione a cura di pompiere - aggiornata al 20/11/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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