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Un tempo di neanche due minuti raramente può cambiare il corso di una vita. Eppure, eppure, talvolta capita che un lasso di tempo così risicato possa fare la differenza, se supportato dalla giusta intuizione. È quello che è accaduto nel 1969 al cartoonist californiano Marv Newland, deus ex machina del cartone cult "Bambi meets Godzilla".
I due minuti scarsi cui si faceva riferimento in precedenza iniziano con un tenero Bambi che pascola in un prato in fiore, di tanto in tanto sollevando docilmente la testolina per guardarsi attorno. Dopo i titoli di testa, irrompe sulla scena il secondo protagonista del cartoon, trasfromando Bambi in quello che parafrasando i Monty Python appare corretto definire un ex cerbiatto. Quindi scorrono i titoli di coda, nei quali ci si premura di ringraziare la città di Tokyo per l'apparizione di Godzilla.
Tutto qui, un minuto e trenta secondi.
Ma un minuto e trenta secondi non sono mai stati così ricchi di intuizioni comiche geniali.
Anzitutto, i titoli di testa. Gli spettatori assistono carichi di aspettative di fronte ad una lenta progressione di cariche che Marv Newland si autoattribuisce: apprendono così che il cartone è scritto da Marv Newland, sceneggiato da Marv Newland e coreografato da Marv Newland; vengono quindi informati che il guardaroba di Bambi è di Marv Newland, che il cartoon è prodotto da Marv Newland e che Marv Newland, invece, è stato prodotto dal Sig. e dalla Sig.ra Newland.
Newland dà quindi ai titoli di testa un ruolo fondamentale nella riuscita comica dell'opera, grazie al nonsense delirante della loro progressione newlandcentrica, che culmina con i credits della produzione di Marv Newland, attribuita "ovviamente" ai suoi genitori. Questo artificio comico sarà ripreso da moltissimi autori comico demenziali, a partire da Mel Brooks ("Balle spaziali") fino ad arrivare al celebrato trio Zucker-Abrahams-Zucker.
Quindi c'è il cuore del film, ovvero l'incontro tra Bambi e Godzilla, che vede il primo soccombere tristemente.
Anche in questo caso, è fondamentale contestualizzare la trovata di Newland: nel 1969 la comicità cinica, demenziale e cattiva era appannaggio dello humour tipicamente di marca british dei già citati Monty Python; gli States invece non avevano ancora sviluppato appieno le potenzialità di questo tipo di comicità. Newland, con il suo match impari tra il simbolo per antonomasia del cartoon zeppo di buoni sentimenti di matrice USA ed il simbolo della più violenta animazione giapponese, porta la comicità su un altro piano, quello del nonsense demenziale. Quanto accade a Bambi non segue alcuna logica, e diverte perché risveglia nello spettatore quella sana dose di cinismo che vuole vedere il tenero cerbiatto morto. A questo si aggiunga che il carnefice del tenero cerbiatto di cui sopra è un elemento totalmente estraneo rispetto all'ambiente in cui il cucciolo si muoveva, e che la sua irruzione sulla scena avviene con una perfetta scelta di tempi comici, dopo che il pubblico si era logorato nell'attesa che qualcosa accadesse al piccolo cerbiatto che quietamente consumava il proprio pasto. Anche in questo caso, l'uso dell'espediente comico dell'irruzione inaspettata di un elemento destabilizzante a fini comici è stato ripreso da tutto il filone della comicità demenziale a venire, col trio ZAZ in testa fino ad arrivare ai più recenti, cattivissimi "Griffin" di Seth MacFarlane.
Fondamentali poi le musiche (che in uno slancio di umiltà Marv Newland evita di attribuirsi), che accompagnano soavemente il lauto pasto del cerbiatto cambiando di botto con l'avvento di Godzilla, sottolineato da un estratto del capolavoro dei Beatles "A day in the life".
I titoli di coda si limitano ad un sentito ringraziamento dell'autore alla città di Tokyo per l'aiuto nell'ottenere la partecipazione di Godzilla al film. In questo caso, l'effetto comico è dato dal contrasto tra l'apparente serietà del messaggio e l'evidente demenzialità dello stesso, di chiarissimo stampo Monty Python.
Il tratto di Newland è evidentemente approssimativo, con un bianco e nero casereccio che però contribuisce al fascino dell'opera, che doveva apparire retrò anche nel 1969, in contrasto con la perfezione stilistica Disney; d'altra parte, Newland non aveva i mezzi economici per fare di meglio. Quelli a sua disposizione gli sono però bastati per produrre questo piccolo gioiellino che si è rapidamente imposto all'attenzione del pubblico grazie al passaparola, pur privo di una distribuzione seria. Le intuizioni comiche di Newland gli sono valse apprezzamenti pressoché unanimi, garantendogli una apprezzabile carriera da disegnatore negli States ed in Canada, anche se Newland non è più riuscito a ripetere quanto aveva mirabilmente sintetizzato in neanche due minuti di cartoon.
Ci si potrebbe dilungare in questa sede su presunte letture sociologiche o simboliche del corto, che ad esempio vedano in Godzilla la potenza straniera che schiaccia l'occidente, o che lo elevino a vittoria del consumismo sull'arte, o del più forte sul più debole; in realtà, "Bambi meets Godzilla" è semplicemente una scemenza per far ridere, completamente ed ontologicamente senza senso, ed in questo stesso risiede la sua irriverente potenza comica senza tempo.
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Recensione a cura di Jellybelly - aggiornata al 05/05/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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