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"Braaaasil papparapperoparapaaaaaa papparapperoparapaaaaaa braseo brasiiiil" avete presente la musichetta carnascialesca che (specialmente nella versione medley con Bri-jit de Bardò Bardò) ha allietato tanti dei vostri gaudenti trenini?
Si? Bene, allora canticchiatela spensieratamente per l'ultima volta, perché dopo la visione di questo film l'aria di Barroso (nelle sue infinite variazioni e interpretazioni che vanno da quella di Kate Bush a Michael Kamer) assumerà un gusto un po' amaro e si velerà della lieve malinconia che talora avvolge il ridestarsi dei sognatori.
Iniziata la visione del film di Terry Gilliam vi troverete in tempo imprecisato in un mondo governato dalla più incredibile e sgangherata tecnologia retrò che sia dato immaginare, un cupo universo futuribile ingessato in un sistema di regole inappellabile che domina le più semplici attività ancorandole a timbri, autorizzazioni e certificati, che ha come scheletro un onnipresente reticolo di tubature di ogni dimensione e colore.
Il governo assicura stabilità e certezze alla società con una astrusa irregimentazione: i criteri di organizzazione sulla base di razionalità, imparzialità, impersonalità danno vita ad una burocrazia inetta e farraginosa che crea il caos ovunque.
In questo mondo il singolo individuo partecipa con pedissequa laboriosità, si fa massa asservita all'ordine e alla regolarità: uomini formica, piccoli e innocui, di per se, ma perfetti ingranaggi dell'elefantiasi totalitaria. La felicità viene cercata nel consumismo sfrenato, nella ricerca dell'eterna giovinezza scolpita dal bisturi, anche quando ci si ritrova ad essere come strane mummie avvolte in fasciature.
Contro l'indifferenza e la follia collettiva resta a lottare una sparuta minoranza di ribelli: dei terroristi bombaroli che cercano di minare il sistema attraverso il sabotaggio. Il loro capo è l'inafferrabile Harry Tuttle (uno spassoso cameo di Robert De Niro), un idraulico sovversivo il cui scopo rivoluzionario è quello di riparare le condutture destinate alla distruzione dalla filosofia consumistica dell'ending is better than mending. Ma questi non è il protagonista della nostra vicenda.
"Brazil" viene spesso associato al celeberrimo "1984" (in origine avrebbe dovuto addirittura intitolarsi "1984 e 1/2") benché il regista abbia più volte ribadito di non aver mai letto l'opera di Orwell. Cinematograficamente parlando il lavoro di Gilliam è decisamente superiore alla pellicola di Michael Radford che si limita a dipingere in scala di grigio il testo letterario, non avendone però l'energia né la forza dirompente dell'orrore psicologico, e resta una trasposizione piatta e anonima di un'opera letteraria che avrebbe meritato tutt'altra interpretazione.
Il film di Terry Gilliam ha invece un enorme impatto visivo: coreografico, immaginifico, dissacrante e allucinatorio, punteggiato da un geniale (ed incredibilmente umoristico) pessimismo. Un film che funziona come un sogno e che ricorre spesso al mondo di Morfeo; ma l'incubo descritto dall'ex-Monty Python a ben guardare non è quello di Orwell in cui lo stato controlla la libertà di pensiero del singolo. Nell'universo descritto dal regista non vi è coscienza, la cittadinanza è completamente assuefatta al sistema, indifferente verso il terrorismo e soddisfatta della propria brulicante esistenza da termitaio.
Se volessimo forzare un parallelismo letterario "Brazil" meglio si avvicinerebbe a "Il mondo nuovo" di Aldous Huxley in cui le coscienze sono condizionate e assopite, o ancora si potrebbe pensare ad una mirabile trasposizione in chiave grottesca della gabbia d'acciaio di Weber. Ad ogni modo la surreale ironia di questo film richiede intuizione e ragionamento, ma è senz'altro un piccolo capolavoro nel solco dell'antiutopia.
In un percorso ad ostacoli, fra le descrizioni di un'automazione fatiscente e traballante, rêverie chimeriche e svolazzanti ecco che la lente d'ingrandimento di Terry Gilliam si posa su un uomo appena diverso dagli altri: Sam Lowery (personaggio creato per essere interpretato da Jonathan Pryce).
Sam a ben guardare è un protagonista assai singolare: non è un eroe, è vessato da una madre di plastica che lo vorrebbe votato alla carriera, rifiuta le promozioni e non ha ambizioni se non quella di covare in segreto le proprie fantasticherie alate. Sam resta assolutamente indifferente all'alienazione che lo circonda pur se ricoperto dalle polveri delle esplosioni terroristiche.
Non è un uomo dalla profonda coscienza sociale, non è mosso da una riflessione ideologica, non si cura dell'assurdità del suo mondo di carta bollata, è anche lui asservito al proprio ruolo di ruota dentata, perfettamente appagato dal confondersi nel grigiore dell'anonimo ufficio al "Ministero per l'Informazione" in cui lavora, sussiegoso verso il suo capo benché cosciente del fatto che sia un uomo che ha ormai raggiunto il proprio massimo livello di incompetenza.
Sam si distingue per un'unica caratteristica: la capacità di sognare.
La sua epopea prenderà il via da una tragica casualità: un volo d'insetto causa un errore di stampa ed ecco che su un mandato di arresto il temibile attentatore Tuttle diventa Buttle e quest'ultimo viene incarcerato e seviziato al posto del terrorista. Sam si reca a casa dei familiari per comunicare l'accaduto e prova appena un leggero imbarazzo di fronte a chi per una svista ha perso il marito; non vi è alcun moto di coscienza, la loro sofferenza non lo sconvolge, lo sfiora a stento, la sua atarassia verrà scossa unicamente dall'apparizione in carne ed ossa della donna che ha a lungo sognato.
La consapevolezza sociale non fa che lambire Sam e questi si ritrova invischiato nell'intrigo politico seguendo unicamente le vie del cuore.
Le vicende che lo coinvolgono sono piene di contraddizioni e assurdità che sorprendono lo spettatore pur confondendolo, il film stesso è un continuo balletto fra momenti foschi e tetri ad altri paradossali e comici, ed è proprio lo stile di Gilliam ad elevare il film al di sopra della mera polemica sociale. La sua arte del delirio visionario è davvero spiazzante, questo perché il lucido nonsense dell'humor britannico viene applicato ad un attacco della razionalità restrittiva dell'epoca in cui viviamo.
"Brazil" in effetti non è particolarmente interessato al futuro catastrofico che descrive, del resto l'antiutopia ha da sempre cercato di portare alle estreme conseguenze caratteristiche già riconoscibili nel presente. Si tratta dunque di un grido d'allarme in forma satirica e drammatica allo stesso tempo per evidenziare le contraddizioni di una società che è già qui... da qualche parte nel ventunesimo secolo. Gilliam, come un novello Swift, si diverte a mostrarcene la vacuità, rimpicciolendola nei valori e prestandoci il proprio impareggiabile microscopio per analizzarla.
Il suo messaggio non pone la fantasia quale antidoto al totalitarismo, perché quello che si cela sotto il cimiero del samurai combattuto da Sam è un male endogeno ed imbattibile. Il "sistema" dopotutto siamo noi.
Il film di Gilliam è spietato e non lascia speranza. È un delirio irriverente, è una spassosa profezia... ma devi entrarci dentro, se resti appena un passo indietro rispetto a lui, è finita... l'effetto finale sarà quello di uno scanzonato guazzabuglio cyberpunk.
C'è davvero da chiedersi quali siano stati i motivi che hanno indotto una casa come la Universal a finanziare un film con tale trama ed intenti, ma di certo quando si è trovata di fronte la pellicola finita non ha reagito entusiasticamente. La casa produttrice rifiutò di distribuire il film in quanto troppo complesso e difficilmente commercializzabile; "Brazil", del resto, non è un film di facile catalogazione ma sicuramente non è un film per famiglie, pubblicizzabile o vendibile nei centri commerciali.
La Universal ha così cominciato ad agire di forbici e ne ha smantellato il costrutto ideale rendendolo una mielosa e - a questo punto confusissima - storia d'amore, arrivando al punto di far virare il finale nell'happy ending tagliando l'ultima sequenza e snaturando l'intera pellicola: la fuga nell'illusione da parte di Sam era infatti l'unica amarissima vittoria che il regista concedesse ai sognatori.
Visti i pesanti cambiamenti di editing Terry Gilliam minacciò di disconoscere la versione tagliata ed organizzò delle proiezioni private e quasi "clandestine" per l'Associazione dei Critici Cinematografici di Los Angeles. Questi premiarono "Brazil" come Miglior Film dell'Anno, Migliore Sceneggiatura e Gilliam come Miglior Regista, il tutto prima ancora che il pubblico potesse vederlo! La versione americana è tuttora più breve rispetto a quella europea, ma quantomeno il montaggio definitivo corrisponde quasi completamente alle intenzioni del regista.
Non resta dunque che essergli grati per la sua coerenza, il suo impegno e la sua lucida follia, perché il suo "Brazil" è un film unico e felice pur nella sua spietata e dissacrante visione della nostra futilità. Una piccola perla di deliziosa perversione.
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Recensione a cura di Laura Ciranna - aggiornata al 29/05/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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