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Secondo la leggenda, il protrarsi dell'incredibile striscia negativa dei Chicago Cubs, che non vincono le World Series di baseball dal 1908, è dovuto alla maledizione lanciata sulla squadra dal proprietario del Billy Goat Tavern (lo stesso del celebre sketch di John Belushi), Bill Sianis, che nel 1945 viene fatto allontanare dallo stadio a causa dell'odore della sua capra. Nel 2003 finalmente i Cubs hanno l'occasione di accedere alle World Series. La squadra c'è, ci sono due partite in casa da giocare contro i Florida Marlins e i Cubs sono già in vantaggio per 3 a 2. Gara sei parte bene, all'ottavo inning i Cubs sono avanti 3 a 0. Pochi out ancora e la storia del baseball cambierà. Poi accade l'inverosimile: su una palla che stava andando in foul, il pubblico ostacola Moises Alou, che - prendendo la palla al volo - avrebbe eliminato un altro battitore. In particolare, sebbene siano in molti a disturbare Alou, è uno solo a toccare la palla: Steve Bartman, ventiseienne grande tifos o dei Cubs. Le telecamere indugiano impietosamente sull'attonito Bartman, i media non fanno che mostrare la scena da ogni angolo. Per Bartman è l'inizio di un incubo.
Istintivamente, l'intero stadio avverte che è l'inizio della fine. Incredibilmente, e senza alcun nesso causale tra l'incidente di Bartman e l'andamento della gara, i Cubs si fanno segnare otto punti nello stesso inning e perdono gara sei. L'isteria collettiva ha un solo obiettivo: Bartman, che deve essere scortato fuori dallo stadio per evitare il linciaggio, nonostante ci sia ancora gara sette da giocare. Come da copione, anche gara sette, due giorni dopo, va ai Marlins e la maledizione continua.
I Boston Red Sox, analogamente, hanno dovuto aspettare ottantasei anni che la maledizione del Bambino (Babe Ruth) del 1918 ponesse fine alle loro disgrazie sportive. Nel 1986, anno in cui i Sox potevano finalmente accedere alle World Series, Bill Buckner, giocatore fortissimo, si lascia scappare un'innocua palla a terra in prima base, regalando la vittoria agli avversari. Quell'errore non è decisivo per la partita e non lo è per la serie (la sconfitta porta i Sox sul 3 a 3, con gara sette da giocare). Il senso di ineluttabilità è tale che nessuno pensa a gara 7, si dà per scontata la sconfitta (che arriva) e si dà la colpa al solo Buckner.
Le storie di Bartman e Buckner hanno molti punti in comune, che hanno spinto Alex Gibney (premio Oscar per "Taxi to The Dark Side" e gran tifoso dei Red Sox) a raccontarle in "Catching Hell". I due sono diventati il capro espiatorio a causa di un errore grave, sebbene non decisivo, attirandosi l'ira irrazionale di due intere città. Per Buckner, dopo oltre vent'anni, è finita: i Red Sox hanno vinto per due volte le World Series e Buckner è stato perdonato dai tifosi ed accolto come un eroe a Boston.
Bartman ha fatto perdere le proprie tracce, non rilascia interviste e nessuno sa niente di lui. Fino a che la maledizione di Bill Sianis non si spezzerà, per Steve Bartman l'incubo non sarà finito: ancora oggi, tutti lo ritengono il principale, se non l'unico, colpevole di quanto accaduto nel 2003. Per fare un esempio più vicino all'Italia, la vicenda di Buckner ricorda un po' quella di Roberto Baggio ai Mondiali del 1994. Il ricordo più vivido della sua carriera, per tutti, è il suo errore in quella finale. Viene forse Baresi ricordato per la ciabattata immonda calciata pochi minuti prima? E Massaro? No, il Mondiale del 1994, per tutti, è stato perso perchè Baggio ha sbagliato il rigore decisivo. Non è altrettanto immediato pensare che quel rigore fu decisivo per via degli altri due errori, e, soprattutto decisivo perchè con altri cinque gol, Roby Baggio aveva comunque portato l'Italia in finale.
La psicologia del tifoso e i due eclatanti casi Buckner e Bartman sono al centro di "Catching Hell. I fatti sono documentati e commentati da tutti i protagonisti dell'epoca, eccezion fatta proprio per Steve Bartman, che da tempo ha fatto perdere le proprie tracce. Il documentario racconta le due storie e le soprendenti analogie, soffermandosi molto su quanto accaduto nello stadio a Bartman dopo l'incidente: cori, insulti, lancio di oggetti, tentativi di aggressione. La folla inferocita si disinteressa di una partita che i Cubs stavano ancora vincendo e sceglie di sfogare decenni di delusioni su un povero ragazzo colpevole solo di aver sfiorato la palla (che, per la cronaca, venne raccolta da un altro tifoso e rivenduta per centomila dollari). L'aspetto psicologico, la superstizione e, soprattutto, la grancassa mediatica che di certo ha enfatizzato le responsabilità di Bartman e Buckner sono le tre componenti su cui Gibney sceglie di concentrarsi. Da un lato, i comportame nti delle persone che perdono di lucidità e di umanità quando diventano parte di una folla, dall'altro la vicenda umana di due persone che hanno visto segnare le proprie esistenze in un attimo. Le lacrime di Buckner, un campione assoluto, rivelano quanto un unico sfortunato episodio di gioco accaduto decenni prima sia ancora significativo. Su tutto, i limiti del diritto di cronaca.
Rispetto ad altri documentari di questo genere, "Catching Hell è meno ironico di quel che potrebbe, innanzitutto per rispetto nei confronti di Bartman e poi perchè, in fondo, la sintesi dei fatti o l'analogia con Buckner sono materiale televisivo già visto: a restare con lo spettatore è invece l'elemento umano: senza dubbio l'errore nel gesto tecnico e la compassione, ma solo in minima parte rispetto al terrore per l'istantanea trasformazione di una gioiosa folla in un plotone di esecuzione guidato dalla superstizione e dall'irrazionalità, l'immediata individuazione del capro espiatorio, la sentenza emessa a furor di popolo come se secoli di democrazia valessero meno di un punto in una partita di baseball. "L'Inferno sono gli altri", affermava Sartre (che citiamo consapevolemente a sproposito): per Alex Gibney niente lo dimostra meglio della vicenda di Steve Bartman.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 07/09/2012 15.58.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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