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Uscito nel 2001, il film, regia di Ettore Scola ("Una giornata particolare", "La famiglia", "C'eravamo tanto amati"), si ricollega al discorso di denuncia sociale e di rivisitazione storica da sempre caro al regista.
La storia è ambientata in una strada del centro di Roma, interamente ricostruita negli studi di posa e nelle abitazioni prospicienti, ed analizza con un occhio attento ma forse troppo benevolo le conseguenze del patto stretto tra Hitler e Mussolini nel 1938.
Voce narrante dell'intreccio è quella di un bambino che con occhi innocenti e totalmente inconsapevoli descrive gli eventi senza darne eccessivo risalto; ma il vero nucleo della vicenda è dato dai continui battibecchi tra Diego Abatantuono e Sergio Castellitto, ariano il primo, ebreo l'altro, commercianti rivali. I loro litigi da nemici-amici fanno rivivere i contrasti alla Fabrizi-Totò, a cui i due attori somigliano per stazza. Gli altri attori sono tutti ottimi caratteristi: da Bigagli, commissario di polizia dal fraseggio magniloquente, alla servetta veneta Collodel alla commessa bruttina Impacciatore, tutti fanno il proprio dovere in maniera impeccabile nonostante il taglio un po' troppo televisivo dell'intera storia.
Scola fa del suo meglio e la pellicola è senza dubbio dignitosa, scorrevole e senza sbavature, però purtroppo duole dire che è nel pieno stile dell'attuale cinematografia italiana, troppo piegata ad un'impostazione televisiva nelle riprese e nella recitazione degli attori.
La scelta di raccontare la grande storia attraverso gli occhi dei piccoli è senza dubbio interessante, partendo da un diverso punto di vista, lo sguardo di chi, come tutti, si è trovato a vivere avvenimenti importanti senza esserne pienamente consapevole, ma comunque registrando lentamente che qualcosa stava cambiando, che non tutto andava bene. Il commerciante ebreo Leone, ricco e in ascesa, ad inizio film vede scivolare via le sue conquiste senza un'apparente motivazione; i suoi diritti minimi vengono meno, dalla possibilità di detenere in casa un apparecchio radiofonico, alla domestica ariana, ma è lo sguardo nel vuoto del figlio più piccolo costretto a casa in una giornata piovosa d'autunno mentre il suo compagno cristiano ricomincia ad andare a scuola dopo le vacanze estive che gli fa capire che la tragedia è iniziata.
Scola, così come aveva fatto in "Una giornata particolare", in cui si riviveva la visita di Hitler attraverso le vite perse di una povera casalinga e di un giornalista condannato al confino, non giudica, non sottolinea gli eventi ma li dà in pasto, sicuro, forse troppo, della comprensione del suo pubblico. Lo spettatore osserva la lenta caduta di Leone e della sua famiglia, lo spirito battagliero della commessa del commerciante ariano, l'improvvisa simpatia di quest'ultimo verso il "collega" caduto in disgrazia, ma se all'oscuro di quegli avvenimenti, non può cogliere completamente le scelte del regime nè le loro infime conseguenze. Leone e famiglia non possono più vivere nell'elegante strada romana dove abitavano da sempre, non possono più gestire un negozio alla moda, devono andar via nel ghetto insieme agli altri compagni di "razza" e di sventura. Salgono sul carro con le loro masserizie, sguardo perso nel vuoto del futuro, triste allegoria di un viaggio ben più lungo e tragico che toccherà qualche anno dopo alla maggior parte degli abitanti del ghetto di Roma, purtroppo allegoria, perché Scola non vuole dire e ahimè molti spettatori non possono o non vogliono sapere.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 06/08/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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