Recensione diciassette anni regia di Zhang Yuan Italia, Cina 1999
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Recensione diciassette anni (1999)

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locandina del film DICIASSETTE ANNI

Immagine tratta dal film DICIASSETTE ANNI

Immagine tratta dal film DICIASSETTE ANNI
 

"Casa, ritrovi, mio quartiere: ambiente ch'io vedo, e dove giro: anni dopo anni

Io t'ho creato nella gioia e nei dolori: con tanti eventi, e tante tante cose.

E tutto sentimento ti sei fatto, per me."

("Nello stesso posto" cfr. Costantino Kavafis)

E' la storia di una piccola famiglia, una storia raccontata in un'equilibrio perenne tra società conservatrice e innovazione Capitalista: una storia della Cina di oggi filtrata dai parametri e dai veti ideologici di ieri.

Un padre con la propria figlia, una madre con la propria figlia: due esistenze in lutto (la vedovanza di entrambi) che decidono di sposarsi e vivere insieme, con il consenso delle giovanissime testimoni(anze) della loro precedente esperienza. Eppure i rapporti tra le due adolescenti, Tao Lon e la sorellastra Yu Xiaoqin, sono tesi, difficili, è palpabile la sensazione di entrambe (ma soprattutto di Tao) di non essere sufficientemente amate dalla famiglia. Poi, inatteso, accade il dramma: durante una lite Tao uccide la sorellastra, e finisce in un'istituto correzionale dove sconta tanti anni, in un Sistema Educativo Repressivo di stampo maoista, fino a quando, 17 anni dopo, ottiene il permesso di uscire di prigione per unirsi alla famiglia per festeggiare il Capodanno.
Ma, nella lunga e faticosa ricerca (il patrigno e la madre hanno cambiato casa) Tao rivela soprattutto un grande bisogno di essere perdonata. Non sarà facile, per lei, quando ritrova la famiglia e scopre che i rapporti tra marito e moglie si sono fatti tesi proprio alla luce del drammatico ricordo che ha strappato, per mano della figlia di lei, l'amatissima figlia "del padre".

Il cinema cinese viene spesso accusato di strumentalizzare il dramma a vantaggio della storia, forse un retaggio di una cultura cinematografica che ha guardato talvolta (e un pò tardivamente) al primo Truffaut ma soprattutto alla lezione del Neorealismo italiano, Zavattini/De Sica su tutti.
"Diciassette anni", proprio per la vicenda che tratta, avrebbe tutte le carte in regola per essere reo degli stessi difetti, ma in realtà non è così.

Zhang Yuan, amatissimo nei Festival e censurato prevalentemente nel suo Paese (sembra che dei suoi film vengano stampate pochissime copie, in Cina) è un cineasta attento che riesce ad osservare la realtà circostante riuscendo a sbarazzarsi dei clichè attraverso il disincanto del suo stile naturistico: "Diciassette anni" (Premio Speciale della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia e non Leone d'Oro come ha erroneamente affermato l'"infallibile" Mereghetti nel suo dizionario) è una co-produzione italiana fatta con l'ausilio della Fabrica di Benetton (c'è anche la collaborazione con un monopolio produttivo nel Veneto Italiano, e paradossalmente proprio in provincia di Venezia).

E' un film fulminante, che riesce a preservare il suo interesse proprio in virtù dell'indubbia capacità del regista di affrontare il tema del dolore rimosso, della ferita aperta e lacerante, quella che consegna al mutismo una coppia di coniugi, e alla disperazione una fragile e spaesata detenuta ex-assassina.
Se l'inglese Mike Leigh chiamava in causa l'esplosione dei conflitti familiari attraverso le confessioni liberatorie atte a sovvertire l'ipocrisia del pensiero celato, e se lo scrittore americano Faulkner analizzava la furia incontrollata dei sentimenti, la Cina di Yuan diventa teatro di una condanna soggettiva e omertosa, che plasma nel silenzio conflitti emotivi, rancori, rimorsi, espiazioni, ed altro ancora.

Il Nucleo Familiare Moderno (un uomo e sua figlia una donna e sua figlia) provoca una sensazione di disagio nello spettatore: sarà ribellione giovanile, quella di Tao, ovvero vocazione di indipendenza precoce adolescenziale, oppure una reazione alla carenza genetica vs. edipica dovuta alla mancanza del vero padre?
Ma quando ci interroghiamo sui percorsi di questa storia, incombe il vero Dramma, la Tragedia: la purezza dell'intelligenza contro la precoce e "dannosa" vitalità: due ruoli che non si assolvono, due figure di piccole donne che si annientano a vicenda: è proprio l'integrità morale di Yu che in qualche modo sollecita l'impulso omicida nella tormentata, pur breve, esistenza di Tao.
"Diciassette anni" è quindi un film sulla Rimozione dei sentimenti all'ombra dello scomodo Passato/Presente Marxista della Cina, e ai posteri dell'imminente Rivoluzione Industriale e Capitalista della società Cinese di oggi.
Le azioni più riprovevoli (l'omicidio) vengono celate dalla condanna nel Cameratismo rigoroso di un sistema Penale militarizzato come un collegio Maoista (dagli abiti degli/delle ufficiali - segno indistinto di emancipazione femminile) all'odissea di due destini diversi che si incrociano Oltre le Mura, forse per la prima volta davvero, ma con molte difficoltà quasi affini agli stessi disagi (la famiglia come fonte di "drammatica confessione della verità"?).

Il punto di forza del film è proprio nella capacità del regista di aver espresso coraggiosamente il suo punto di vista contro quel senso di giustizia Statalista Ecumenica e ideologica, vs. "occasione di una nuova vita" che è rimasto tra i dogmi assoluti del Maoismo faticosamente rimosso dal presente: la Cina del film mostra la sua ambiguità proprio in quell'accettazione pragmatica di un Modello Disciplinare che rifiuta ogni tipo di coinvolgimento etico e morale, o un ripensamente "emotivo" della detenzione.
E lo sguardo del regista si sofferma sul silenzio come Espiazione: del resto è collocabile anche nell'ambito della figura materna, la madre di Tao, che si sente rea di aver messo al mondo una figlia che ha ucciso barbaramente la figlia del suo secondo coniuge.

Yuan poi ci racconta il lungo viaggio verso casa della detenuta e il suo incontro con un ufficiale che, in una città fragorosa e spiazzante, l'aiuta a trovare i genitori.
Se l'ufficiale è una metaforica figura paterna, quest'intuizione ci ricorda che dal silenzio del dolore si possono esaltare le ragioni della perdita e, quindi, il difficile ritrovamento di non una ma tre persone rimaste diciassette anni in una detenzione emotiva e rimozionale. Questo momento, che ricorda vagamente (e forse del tutto involontariamente) il bel film di Ashby, "L'ultima courvè" mette in moto meccanismi precisi, atti a coadiuvare identità e ruoli diversi in un'unico disagio mentale, in un solo "buio della mente".

Nel nome di un dolore reciproco, "Diciassette anni" si estrania dal Tempo per consegnare la sua vicenda a un finale forse edificante, ma necessario: se si possono liberare le lacrime, allora è giusto sapere che esiste che è esistito un film cinese in grado di distribuire pathos senza consegnarlo allo spettatore in forma di gratuitismo furbo e ammiccante.

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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 27/06/2007

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