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Durante il colpo di stato in Iran del 1953, che destituì il governo democratico riportando lo Shah al potere, i destini di quattro donne si intrecciano a Teheran.
Zarin, giovane prostituta, scappa dalla città quando si accorge di non riuscire più a vedere i volti degli uomini. Munis, stanca dell'isolamento forzato a cui la costringe il fratello, decide di uccidersi. Faezeh, amica di Munis, è costretta a fuggire da Teheran e a rinunciare ai suoi progetti di matrimonio a causa di un brutto episodio di violenza. Fakhri, complice l'incontro con un vecchio amante, decide di lasciare finalmente il marito e ritirarsi in campagna.
Il giardino della tenuta che Fakhri acquista diventa il luogo dove le donne si incontrano e cominciano a condividere le loro vite e cercare una pace interiore mentre a Teheran i militari danno la caccia ai democratici dissidenti.
All'apparenza, il classico film "più importante che bello": invece, la sensibilità artistica – e squisitamente visiva – di Shirin Neshat, visual artist di grande esperienza, salva l'opera dal ricadere in questa categoria. Pur essendo, per esplicita volontà della regista, un'opera che accentua il contesto storico e sociale in cui le vicende si svolgono rispetto al libro da cui il film è tratto, Donne Senza Uomini ha la grazia di un'opera universale e la potenza dei grandi film. Si consiglia a tal proposito la visione in sala, perché recuperare in home video questo film farà perdere forza a molte delle scene, in particolare a quelle in campo aperto, dove Shirin Neshat ha scelto una paletta di colori molto saturi e in netto contrasto con le scene di Teheran, nelle quali l'assenza di forti contrasti cromatici accentua la sensazione di soffocamento ed isolamento delle protagoniste.
Il concetto di libertà è universale, la via della fuga come quella della lotta sono radicate nella storia degli esseri umani: oggi – come cinquant'anni fa – il Medio Oriente è il teatro dove queste scelte si impongono quotidianamente agli individui ed in particolare alle donne.
Sicuramente all'occhio dell'occidentale sfuggiranno molti richiami alla cultura ed al folklore iraniano. Nonostante ciò, "Donne Senza Uomini" cattura l'attenzione e tutto sommato richiama con intelligenza un simbolismo universale (la fuga, la rinascita, l'esilio, la morte) comprensibile ad ogni latitudine.
"Donne Senza Uomini" è un film sull'idea di fuga e il conflitto che la scelta di scappare determina.
Non ci sono esplicite riflessioni su questi temi – il personaggio di Zarin, il più tormentato, non ha neanche una battuta – ma è la forza delle immagini e delle interpretazioni a suggerire l'urgenza di interrogarsi su questioni come la libertà di scelta e l'uguaglianza tra gli uomini, non solo nei modi tipici della cinematografia occidentale – che ha da tempo "risolto" sia socialmente che artisticamente tali questioni e raramente offre spunti nuovi di riflessione – ma anche in quelli più sentiti di artisti che hanno vissuto sulla propria pelle ed in tempi recenti esperienze dolorose.
Le quattro protagoniste scelgono, per ragioni diverse ed in modi diversi, di scappare per lasciarsi alle spalle una società di cui non riescono o non possono più fare parte, né come donne (per il ruolo subalterno e umiliante che la società iraniana impone loro) né come individui, nel momento storico in cui le grandi democrazie occidentali avallano il colpo di stato militare per ragioni economiche. Quando la realtà le raggiunge nel loro esilio, e la fuga si rivela una chimera, per le donne è il momento di un'altra scelta, su cui però Shirin Neshat decide di chiudere il film, lasciando giustamente in sospeso i destini di alcune delle protagoniste.
L'elemento magico e surreale che caratterizza la seconda parte del film (omesso volutamente dalla sinossi per non rovinare la sorpresa) può sembrare inizialmente fuori contesto, ma in realtà si richiama da un lato alle tradizioni folkloristiche iraniane e in generale alle culture in cui la metafora e la favola servono ad aggirare i controlli censori del potere.
L'elemento della superstizione (nella figura di un amuleto portafortuna) contribuisce a dipingere una società fortemente ancorata alla tradizione e al culto religioso, impermeabile alle rivoluzioni sociali dell'occidente e incapace anche per questo di fronteggiarne le ingerenze. Donne senza Uomini offre una visuale inconsueta, quella femminile, su un pezzo di mondo in cui le donne non hanno quasi mai voce riuscendo comunque a centrare un'analisi storica e sociale complessiva (per quanto possa fare un film, che resta un'opera di fiction) efficace per la nostra comprensione dei fenomeni drammatici che tormentano l'Iran ed il Medio Oriente. Ci sono due forze in gioco, entrambe distruttive: una proveniente dall'esterno, con gli interessi internazionali che schiacciano la nazione, e una proveniente dall'interno, con il retaggio secoli di tradizioni e costumi che schiaccia le persone. La fuga è un modo di sfuggire temporaneamente a questa morsa ed un espediente "letterario" tipico, ma il messaggio di Shirin Neshat è palesemente un altro: la testimonianza, la partecipazione e la lotta devono alla fine avere il sopravvento sul dolore e sulla paura.
Probabilmente l'uso della metafora onirica e surreale non basterà oggi a far distribuire il film in Iran, segno che la strada per lasciarsi alle spalle i conflitti, quella stessa che le donne percorrono mentre arrivano al giardino, è ancora piuttosto lunga.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 15/03/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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