donne senza uomini regia di Shirin Neshat Germania 2009
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donne senza uomini (2009)

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locandina del film DONNE SENZA UOMINI

Titolo Originale: ZANAN-E BEDUN-E MARDAN

RegiaShirin Neshat

InterpretiPegah Ferydoni, Shabnam Tolouei, Orsi Tóth, Arita Shahrzad

Durata: h 1.35
NazionalitàGermania 2009
Generedrammatico
Al cinema nel Marzo 2010

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Trama del film Donne senza uomini

Iran, 1953: sullo sfondo tumultuoso del colpo di stato, tramato dalla CIA, i destini di quattro donne convergono in un bellissimo giardino di orchidee dove troveranno indipendenza, conforto e amicizia.

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Voto Visitatori:   7,35 / 10 (13 voti)7,35Grafico
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Voti e commenti su Donne senza uomini, 13 opinioni inserite

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ValeGo  @  29/07/2016 21:59:10
   6 / 10
Questo film mi incuriosiva moltissimo e, per certi versi, le mie aspettative sono state ripagate. Nelle quattro donne si possono ritrovare diversi tratti dell'universo femminile, così complesso e particolareggiato: solitudine, fragilità, paura, forza, sogni, ribellione, speranza, un intreccio molto delicato ben rappresentato dall'unione e dalla complicità delle quattro donne. Tuttavia il film si perde in un'atmosfera surreale e metafisica che ha distolto la mia attenzione da quello che pensavo fosse il tema centrale (di tipo socio-politico) del film. E questo aspetto così "ultraterreno" mi ha confuso e non mi ha fatto godere a pieno il film.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento thohà  @  21/06/2016 00:00:49
   7½ / 10
Non posso fare a meno di essere grata di essere nata in questa parte del mondo.
L'infelicità che percorre tutto il film, che segue le quattro donne e ne permea i caratteri e i sentimenti è palpabile.
La "tenuta" dove tutte approdano con alterne vicende è un sogno. Una via di fuga.


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Un cerchio infinito dove solo gli uomini hanno diritto d'espressione, di sentimenti o di cambiamenti, di fare politica o sopprimerla.
Bellissima Pegah Ferydoni (Faezeh) con grandi occhi e spesse sopracciglia, espressiva e che emana, ad ogni sguardo, la docilità e l'autocontrollo che queste donne devono sempre mantenere. Lei, come tutte le altre.


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gemellino86  @  05/03/2015 10:19:10
   7 / 10
Bel film intrigante e complesso ma non mi ha entusiasmato del tutto. Brave le attrici e storia ben narrata. Ritmo un po' lento ma tutto sommato è da vedere.

Rand  @  05/02/2011 16:24:27
   7½ / 10
Un film iraniano molto attuale, Shirin Neshat rievoca la caduta dello scià, mentre sullo sfondo le vicende delle protagoniste si dipanano sullo schermo.
Molto brave le attrici, location molto suggestive, ma la tragica atmosfera che permae tutto il film è sicuramente una rievocazione più che sufficiente di quel periodo. Musiche tradizionali molto belle, inoltre c'è un senso del passato che viene rievocato molto bene, nei costumi, nelle automobili.
Certo è una storia tragica, ma lascia un filo di speranza.
"Finalmente il silenzio, solo il silenzio.

Gruppo REDAZIONE maremare  @  13/07/2010 13:46:53
   6 / 10
In perenne bilico tra realtà e sogno un film molto al femminile, poco scorrevole e troppo lirico

Gruppo COLLABORATORI SENIOR foxycleo  @  02/06/2010 01:23:41
   7 / 10
Il limite maggiore di questo film è quello di non saperci raccontare una realtà ancora troppo poco nota presso la nostra cultura. Il film si perde troppo in un lirismo piacevole ma sfuggente; peccato perchè sia la fotografia, sia la scenografia che le quattro attrici protagoniste sono delle vere e proprie perle.
Un film che accarezza ma non approfondisce.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73  @  26/05/2010 14:19:12
   6½ / 10
Quattro donne incatenate ad un opprimente mondo maschile nella Teheran del 1953,alla vigilia del golpe militare.Vite sopraffatte,destinate a temporaneo sollievo all’interno di un isolato giardino sito in una villa rigogliosamente florida.Un benessere ottenuto con un esilio indotto,impossibilitato a resistere assorbito da una storia che si ripete circolarmente aggrovigliandosi su di essa(a tal proposito l’immagine della tavola imbandita è eloquente).
Un approccio disilluso per Shirin Neshat,professione (soprattutto) fotografa, qui al suo primo lungometraggio basato sull’affresco storico contaminato con la fantasia,oppresso da un pessimismo che riflette il pensiero di un’autrice singolare.
La grazia e la forza delle immagini esprimono le qualità tecniche della Neshat,a tratti incerta nel portare avanti il suo racconto, sospeso come in una bolla surreale tra sogno e realtà,annacquato da lentezze e vezzi che denotano stile ed eleganza,ma lasciano il vigore narrativo in disparte a favore di una poetica troppo sofisticata.L’elaborazione della crisi sociale e politica di un paese attraverso una chiave di lettura femminile è interessante,anche per le metaforiche vesti in cui la neo-regista cala le sue protagoniste.C’è l’attivista politica oppressa da un fratello conservatore che incarna la coscienza civile di un paese alla sbando,la prostituta schifata dai continui rapporti sessuali con uomini di cui non riconosce più il volto, rappresentazione di una democrazia morente,la giovane innamorata ,violentata da due bruti,raffigurazione del flebile rispetto nei confronti della donna,quindi l’emancipata aristocratica,inizialmente determinata nel riconquistare la propria libertà,poi pavida e compiacente,nuovamente assoggetta a quel potere di cui tornerà ad essere parte integrante.
Un film intenso ma anche molto astratto,troppo sospeso all’interno di una vaporosa razionalità che ne smorza il potenziale emotivo.

Gruppo COLLABORATORI Terry Malloy  @  01/05/2010 13:12:41
   9 / 10
Letteralmente sconvolto.
Potente, spiazzante, crudo film su una realtà storico-politica di cui sapevo poco e di cui alla fine del film si ancora poco. Forse è questo l'unico difetto del film, come già osservato da Kowalsky, ovvero di "annacquare" un pò il significato critico-storico di un film che è in primo luogo "dedicato a chi perse la vita durante la rivoluzione verde".
Ma la poetica di tale pellicola è sconvolgente. Vorrei vivere in un paese dove l'immensa e totale spiritualità di questo popolo, vessato atrocemente dall'interno e dall'esterno, potesse commistionarsi alla modernità delle democrazie occidentali. Poichè queste quattro donne sono insieme accomunate da una spiritualità che contemporaneamente le distrugge e le esalta: è una spiritualità che ha permesso loro di vedere la libertà, pura e assoluta, ma le ha anche costrette a lottare contro un mondo maschile segnato dalla trivialità e dal dogmatismo, sia sociale che politico e religioso, della loro presunta superiorità. Nessuna figura maschile si salva (tranne quella del misterioso proprietario della villa), anche il sovversivo alla fine cede a una logica di violenza che ne chiuderà un ciclo durato tutto il film.
Il film, fuori da ogni schema occidentale, si presenta come una quintessenza di una spiritualità vissuta in chiave politica, civile, sociale e religiosa che assicura a queste splendide protagoniste una condizione esistenziale umana estremamente privilegiata.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR strange_river  @  22/03/2010 23:39:53
   7 / 10
In bilico tra realtà e sogno, tra concretezza e immaginario, non è così immediato accostarsi a questo film dell'iraniana Neshat, da tempo residente negli Stati Uniti.
Cito questo dato perché credo che questo film rappresenti proprio l'unione (o un tentativo di) tra due culture (cinematografiche e non) che grossolanamente potremmo definire con “occidentale” e “orientale”: dall'una tutto un gusto estremamente estetizzante, mutuato dalla fotografia (superbamente eccelsa, ma forse anche esageratamente nel momento in cui perfino una manifestazione di protesta assomiglia più ad un quadro, tanto è esteticamente perfetta), dall'altra un ricorso all'onirico che, come ben detto prima di me, necessita di una predisposizione ad una visione contemplativa.
Ciò che dovrebbe riempire questo contenitore sono i drammi, reali, ma forse anche simbolici, delle quattro donne (anch'esse misteriosamente simboliche?) che lungo percorsi a volte indecifrabili intrecciano le loro vite allo scopo di darsi un futuro in un tempo presente (quello degli anni '50) che non permette loro molto.
Ci si pongono diverse domande durante il film e naturalmente i rimandi alla situazione attuale sono ben presenti, ciò nonostante mi pare che a volte siano state fatte scelte registiche più in funzione della forma (bellezza) piuttosto che del contenuto, il quale gradualmente si rarefa quasi come le atmosfere della natura che circonda l'arcana dimora signorile, rifugio, meta e rinascita delle quattro donne.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  19/03/2010 01:31:08
   6½ / 10
Perduto al festival di Venezia e qui ritrovato, "Donne senza uomini" è un film che mi ha letteralmente spiazzato, sia in termini positivi che negativi. Premetto che se dovessi attenermi alla fotografia, la mia valutazione potrebbe sfiorare il 10. Raramente ho potuto assistere a un tale pathos estetico, a questa forza surrealista che però non ha (secondo me) la misuratezza e il rigore di Abbas Kiarostami.
E proprio questa galleria di sconnessioni stilistiche (si passa comodamente da Kahlin Gibran al filosovietico à la Cechov) mi coglie impreparato, e certi compiacimenti poetici finiscono per svilire o annacquare il messaggio sociale e politico del film.
Un film che proprio nei momenti più "ideologizzati" sembra ricordare a tratti "La battaglia di Algeri" del nostro Pontecorvo, ma resta particolarmente carente proprio nel suo profilo politico o come "manifesto storico" di un paese complesso come l'Iran, sempre in bilico tra integralismo religioso e fortissime vocazioni rivoluzionarie.
Si tratta indubbiamente di un film potenzialmente molto bello, ma sviluppato secondo l'estetica (?!) dello sguardo che, se può apparire neutrale, non deve nutrirsi di un campionario artistico in certi casi, diciamolo, francamente gratuìto.
Regge benissimo come riflessione - a questo punto più letteraria che cinematografica - di un mondo mai occultato di speranze ("Io credo che la bellezza debba sempre trovare uno spazio"), e per i tanti piccoli ma significativi segnali che la evocano (il capitano che irrompe nella casa e si scopre invero significativamente coinvolto dalla musica e dalla festa).
Purtroppo un doppiaggio da telenovela brasiliana non sollecita a entrare nelle corde di questo film controverso, originale e per certi versi affascinante

spoonji  @  16/03/2010 12:02:29
   8 / 10
Prima che arrivino commenti negativi e voti bassi di qualcuno che va a vederlo pensando che sia un film sentimental-impegnato all'americana bisogna dire che questo è un film pesante, lento, atipico.
Sono andato a vederlo sabato sera e molti in sala dormivano di gusto dopo tre quarti d'ora.
Con questa premessa posso dire che è un film molto bello e intenso, carico di significati, anche nascosti, allegorico, e con molte simbologie che sinceramente non ho compreso a fondo.
Lascia molto spazio all'interpretazione, in questo è più vicino a una video performance che a un film. La storia non è complicata da seguire apparentemente, in realtà alla fine se ci si sofferma a riflettere sul film ci sono delle cose che non tornano, e si è costretti a ripercorrerlo e a ripensare al suo significato.
Un film che vi darà molto da pensare.
In alcuni elementi ho notato delle analogie con Anticrhist di Von Trier, (il bosco, la morte, la natura, la sessualità), forse perchè la protagonista è sempre la donna, anche se il tema è trattato in modi differenti e le storie non c'entrano nulla fra loro.

suzuki71  @  15/03/2010 08:42:21
   10 / 10
La regista nasce come video-artista: questo spiega la poesia, onirica e incarnata, di questo capolavoro, dove ogni aspetto cinematografico (regia, fotografia, sceneggiatura, attori) è perfetto.
Il commento sonoro è di Ryuiki Sakamoto.
Dedicato a tutti i martiri delle rivoluzioni iraniane, dal 1906 alla rivoluzione verde di oggi.

"la libertà, non accompagnata a un alto senso di civilità, è inutile, e pericolosa...". !

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  14/03/2010 21:11:13
   7½ / 10
Film lento, poetico, onirico, simbolico, tragico, bello.
Il titolo lascierebbe pensare ad una commedia moderna, una satira di costume divertente e scoppiettante. Niente di tutto ciò. Entrando in sala occorre lasciare fuori l’abitudine cinematografica ad avere davanti una storia con una trama conseguente e la pretesa che qualcosa ci faccia ridere o spaventare. Con questo film occorre utilizzare il proprio senso critico estetico e tuffarsi nella dimensione del sogno e dell’espressione poetica. In questa maniera le immagini rallentate, i carrelli circolari, le panoramiche, i paesaggi incantati, i versi poetici, le splendide musiche, i giardini di sogno, la gente che manifesta per strada, escono da qualunque pretesa di comunicazione logica e diventano simboli, messaggio in chiave estetica di sentimenti etici molto forti.
L’uso del linguaggio poetico delle immagini non è quindi fine a se stesso. Il tema principale del film è infatti la libertà, il diritto-dovere individuale e collettivo di scegliersi liberamente la propria condotta di vita, il proprio governo politico. E’ però una lotta dura e disperata contro ideologie religiose, oppressioni secolari, potentati politico-economici e militari.
A simbolo di questa lotta vengono prese le storie di 4 donne, tutte costrette a subire angherie, divieti, soprusi o violenze. Le donne sono le più colpite perché sono le più deboli e le più remissive. Ribellarsi equivale o a morire, o a isolarsi; mediazioni o compromessi sono impossibili o addirittura autodistruttivi.
Il film descrive avvenimenti dell’Iran del 1953 e quindi il giudizio appare come distaccato e oggettivo, in realtà il parallelo con l’Iran di oggi è evidentissimo.
La conclusione è pessimista. Il sogno di un luogo isolato ideale in cui vivere liberi e sereni, una specie di “hortus conclusus” al riparo dalle brutture del mondo, appare come un’utopia, una chimera, qualcosa che non può durare. Queste isole sono destinate pure loro a essere fagocitate dal potere politico e ideologico imperante.
Mentre tanta parte della cultura “occidentale” esprime noia, assenza di significato, gusto per la distruzione e la morte, in altre parti del mondo c’è invece chi cerca di affermare i fondamenti del vivere civile e individuale libero con una passione e una disperazione che non può lasciare indifferenti. E’ un monito a non abbassare la guardia, a non delegare a singoli o a sistemi di valori metafisici il diritto di decidere del proprio modo di vivere e la partecipazione diretta alla vita politica di un paese. Lasciamo perdere la morte e pensiamo di più alla vita.
Il film affronta questo discorso senza ricorrere alla retorica, solo tramite immagini, storie interiori e musica (di Ryuichi Sakamoto – bellissima !!).
Peccato solo che il film ogni tanto stagni, si adagi su se stesso, abbia della fasi di stanca e ripetizione. Certo, mi rendo conto che possa essere pesante e che possa annoiare. A me è piaciuto e mi ha anche emozionato.

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