Voto Visitatori: | 7,68 / 10 (179 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 8,50 / 10 | ||
"Face off: due facce di un assassino", lo stesso volto di un regista.
Abbandonata Hong Kong, John Woo poté finalmente mettere piede in terra hollywoodiana e dare più visibilità al suo talento di uomo d'azione. Non fu per nulla facile: proprio come gli era accaduto in patria ad inizio carriera, dovette fare i conti con produttori privi di aspettative e spesso convinti delle loro idee. Le grandi major americane gli lasciarono uno scarso controllo non solo sul copione ma anche sulle scelte stilistiche di regia, uno dei suoi punti di forza.
"Hard Target" e "Broken Arrow" furono così dei fiaschi annunciati per la critica ma, fortunatamente, non ebbero lo stesso destino al botteghino: questo lasciò all'hongkongese Woo la massima libertà per dar vita a quello che sarà il suo film Hollywoodiano migliore: "Face off".
Sean Archer e Castor Troy sono un agente dell'FBI e un terrorista internazionale che si danno la caccia da anni, ancor più dopo la morte del figlioletto del "buono" Archer per mano di Troy. Ecco che finalmente, a seguito di un violento scontro a fuoco nell'aeroporto di Los Angeles, Archer cattura Troy, che esce dallo scontro in un coma apparentemente irreversibile. Purtroppo però le sue risorse sembrano essere infinite: il terrorista ha nascosto una pericolosissima bomba nella città degli angeli prima dell'incidente. Saranno inutili i tentativi di Archer di far parlare i suoi scagnozzi e così il poliziotto sarà costretto, attraverso un futuristico intervento chirurgico, a prendere le sembianze del terrorista e cercare di far parlare suo fratello Pollux, rinchiuso in un carcere di massima sicurezza. La vera azione comincerà quando Castor, risvegliatosi dal coma, si sottopone alla stessa operazione chirurgica del nemico Archer, assumendo le sue sembianze ed infiltrandosi nella sua vita professionale e privata.
Ecco l'incipit di questo bellissimo action movie nel quale, dopo appena quaranta minuti, lo spettatore si trova di fronte ad una variazione vertiginosa sulla classica lotta fra il bene e il male.
C'è l'idea del duello, lo scontro fra l'eroe cattivo e quello buono, così diversi fra loro che anche le costellazioni da cui provengono i loro nomi sono opposte (Castore e Polluce - i Gemelli - da una parte, Sagittario dall'altra). Non si tratta però della solita contrapposizione fra bene e male, ma di qualcosa di più intimo e perverso: il terrorista sanguinario si ritroverà ad essere un bravo marito e dispensare consigli paterni alla figlia mentre l'incorruttibile agente finirà in un mondo fatto di droghe, loschi affari e terrorismo internazionale.
Attraverso questa compenetrazione i due personaggi diventeranno due facce di un'unica identità, pronte a combattersi senza sosta con la certezza che ciascuna non potrà mai liberarsi definitivamente della sua controparte. E, se per Sean Archer guardarsi allo specchio è ora un incubo, il peggiore degli incubi, Castor Troy si rimira con voluttuosa ironia: quella faccia piaciona, quei panni puliti, quel "mento ridicolo".
Sono dunque il mescolarsi dei ruoli e la continua incertezza che creano la suspense: lo spettatore non sa cosa aspettarsi, per esempio, da un pluriomicida in un ufficio dell'FBI o da un poliziotto modello costretto a combattere contro i suoi stessi colleghi.
Questo film porta il marchio di fabbrica dei migliori lavori di Woo, che riesce finalmente a liberarsi dagli stilemi narrativi forzati dai produttori reietti alle novità. Così possono notarsi alcuni particolari che già ci erano stati presentati dal regista durante il suo periodo asiatico: le colombe bianche, il crocefisso, i motoscafi e la chiesa di "The killer"; la violenza assurda ("ultraviolence") che raggiunse il suo picco massimo nel concitato finale di "A better tomorrow II"; l'innocenza del bambino a cui, come in "Hard Boiled", vengono tappate le orecchie durante una sparatoria (nel primo film da due batuffoli di cotone, in questo dalle cuffie che musicano le note di "Somewhere over the rainbow", come una nuova Dorothy nel regno di Oz). E non mancano nemmeno i suoi famosissimi ralenti, che tanto piacevano a Sam Peckinpah, e quel silenzio violento che precede i solenni duelli dei film di Leone (la scena in chiesa è paradigmatica, con Castor che disturba le intime preghiere di Sean). E' dunque un film che deve tanto al western e a rimarcare questa affinità sarà il bellissimo mexican standoff che precede l'inseguimento finale con i motoscafi.
Sembrerà assurdo, ma Woo deve tanto anche al musical, genere che, per sua stessa ammissione, l'ha fatto innamorare del cinema: così, in ogni suo film si assiste a vere e proprie coreografie d'azione, balletti mortali mozzafiato orchestrati divinamente da un regista capace di utilizzare sei o sette macchne da presa per ogni sequenza d'azione per massimizzare il pathos. Il cinema più bistrattato, quello d'azione, che diventa poesia proprio come i due diòscuri sono i patroni dell'arte poetica, della danza e della musica.
Colonna sonora affidata al compositore britannico John Powell, qui per la prima volta alle prese con un film dopo svariate esperienze in spot pubblicitari. Le musiche sono sicuramente adeguate, concitate nei momenti più fracassoni, dolci e sinuose in quelli più drammatici. Inoltre non mancano brani di musica classica, intelligentemente contestualizzati all'interno della trama: dai "Preludi" di Chopin passando per il "Messiah" di Handel sino a "Il flauto magico" di Mozart.
E se il film ebbe successo sia al botteghino (oltre 100 milioni di dollari incassati negli States) sia nei giudizi della critica fu anche merito dei due attori protagonisti: Travolta e Cage, Cage e Travolta, si fanno il verso l'un l'altro in maniera impeccabile e sono bravissimi a dimostrare la loro impotenza nel corpo ma soprattutto nei panni del nemico. Nicolas Cage volle a tutti i costi la parte (si vociferava una partecipazione di Schwarzanegger e di Stallone nei due ruoli), soprattutto perché a dirigerlo sarebbe stato uno dei suoi registi preferiti (per il nipote di Coppola "The killer" è un must).
Per Travolta si trattò quasi di una rinascita: dopo film come "Pulp fiction" e "Face off" riuscì infatti a ritrovare il rispetto e la stima lontani ormai centinaia di sabati sera.
In conclusione il film è un'efficace e innovativa rappresentazione della lotta tra bene e male, raccontata da un regista che ha fatto dell'esagerazione e dello spettacolo uno stile di vita. Peccato poi che un finale eccessivamente buonista gli sia stato imposto dalla produzione.
Ma se il figlio di Castor Troy accolto nel finale in casa Archer non fosse altro che il simbolo della malvagità che si perpetua?
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Recensione a cura di Gianluca Pari aka VincentVega1 - aggiornata al 26/05/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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