Voto Visitatori: | 6,97 / 10 (56 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 7,00 / 10 | ||
Una ragazza morta nella vasca di una suite. Finisce così la carriera di Lanny e Vince, due famosi conduttori tv. Questi sono i fatti su cui indaga, quindici anni dopo, la giornalista Karen: qual è la realtà che si nasconde sotto una serie di "false verità"?
La formulazione di una teoria scientifica procede per tentativi. Si elabora una teoria che, nel momento e nella parte in cui si rivela fallace, viene riveduta e corretta da una successiva. E così via, fino ad un concentrico avvicinamento ad una teoria che si può ritenere veritiera - almeno fino alla successiva smentita.
Questa successione di "false verità" giustifica il titolo di questo film e ne descrive lo svolgimento. Perché è proprio questo l'andamento della ricerca svolta da Karen: un'indagine giornalistica, che passo dopo passo si discosta dai canoni professionali, fino a divenire un'appassionata e caparbia ossessione, animata da un inevitabile coinvolgimento personale.
Un tuffo nel passato ci porta alla fine degli anni '50.
Lanny e Vince sono i due esuberanti conduttori della maratona televisiva "Telethon", che divertono, affascinano ed emozionano il pubblico americano per supportare le persone affette da poliomielite. La loro carriera è al vertice, e viene arricchita da un momento estremamente toccante: una ragazzina, guarita dalla malattia, legge in diretta la sua testimonianza, mentre Lanny a fianco a lei piange visibilmente scosso. E' il climax di questa loro carriera, che inizia a precipitare solo poche ore dopo la fine della trasmissione: nella vasca da bagno della loro suite, infatti, viene ritrovato il corpo privo di vita di una giovane cameriera di nome Maureen.
Un balzo al presente ci riporta agli anni '70. Sono passati più di quindici anni da quei momenti di fama e gloria, da quell'emozionante istantanea in bianco e nero. La fulgida carriera dei due colleghi e amici è andata spegnendosi. Nessuno dei due è mai stato ritenuto colpevole di quella morte, ma quest'ombra ha segnato inevitabilmente l'avvio del loro declino professionale e la fine di un'amicizia.
Cosa c'è di irrisolto che non è ancora venuto a galla in questa storia intricata? E' questa la domanda che spinge una giovane giornalista, Karen, ad escogitare stratagemmi per avvicinarsi a Lanny, che si accinge a scrivere la sua autobiografia.
Questa però non è esattamente la realtà: Karen vuole ricostruire quel vecchio tragico episodio dalle voci dirette dei due uomini. L'autobiografia, e altre bugie, sono quindi meri pretesti per parlare con gli inavvicinabili Lanny e Vince, ormai separati da tempo.
Ma vi è un'ulteriore verità. Karen è la ragazzina che quel lontano giorno, con la sua lettera, aveva commosso il pubblico di "Telethon". Cresciuta idolatrando i due conduttori, in un'ossessiva ricerca della verità (o di se stessa?), Karen finisce per essere amante di uno e oggetto vizioso dell'altro. Il presente come il passato: dietro le apparenze, la vita privata di Lanny e Vince è fatta di eccessi e di vizi, e così, in un apparente ciclico riproporsi di eventi, Karen rischia (come avvenne a Maureen) di essere vittima di scriteriata dissolutezza.
In un disperato susseguirsi di "verità" che celano menzogne, e di bugie che coprono fatti, la storia si arricchisce di risvolti imprevedibili e di eventi tragici, fino ad arrivare all'ultima, cruda verità.
Nonostante a tutt'oggi il suo nome non sia al livello di quelli più altisonanti di illustri colleghi, Atom Egoyan (armeno migrato in Canada) è un regista decisamente interessante. Le sue opere, animate da spietata concretezza e tocchi di originalità, gli hanno fruttato più riconoscimenti che visibilità. Da citare soprattutto importanti riconoscimenti conseguiti a Cannes (nel 1994 con "Exotica" e nel 1997 con "Il dolce domani", che gli valse anche due nomination agli Oscar).
Le opere di Egoyan più apprezzate dalla critica sono senz'altro quelle già citate e "Ararat" (2002), mentre "False verità" (2005) è forse il suo film più hollywoodiano. La sceneggiatura è importante e la regia è sfarzosa; inoltre, se nei personaggi secondari troviamo alcuni nomi "abituali" (come la moglie Arsinée Khanjian e Rachel Blanchard), i tre protagonisti sono tre nomi importanti. Lanny, Vince e Karen infatti sono interpretati rispettivamente da Kevin Bacon (in una delle migliori prestazioni della sua carriera), Colin Firth e Alison Lohman.
Tratto comune alle varie opere è la ricerca della verità, un tema peculiare e caro al regista, che viene trattato in modo quasi documentaristico ("Ararat" sulle persecuzioni del popolo armeno) piuttosto che romanzato (le indagini di Karen nello stesso "False verità").
"False verità" è stilisticamente notevole.
La struttura è complessa: il racconto degli eventi è intervallato da flashback, sprazzi di passato che diventeranno tessere del mosaico finale.
L'immagine è ricercata: gli ambienti sono sfarzosi, la fotografia è elegante, luci e colori vengono sapientemente gestiti, la regia sa essere vivace e dinamica ma anche compassata e suadente.
I personaggi sono intriganti: la caratterizzazione è ben delineata, anche ad opera di una prova recitativa decisamente positiva che rende interessanti i vari profili.
La trama, elaborata e complessa, si svolge nel camaleontico mondo dello spettacolo. Un mondo fatto di colori ed immagini studiati ad arte per colpire ed affascinare (secondo il concetto più classico di spettacolo, di televisione). Ma è un fascino sinistramente morboso, di cui ricchezza ed ipocrisia nascondono le putrescenze. I visi belli e sorridenti delle star mascherano individui che, a riflettori spenti, strisciano nei meandri della perdizione tra droga e alcool, sesso e perversioni. Vino di lusso accompagnano casse di aragoste, mentre sotto gli occhi di un voyeur impasticcato donne drogate si perdono inconsapevolmente in un lascivo amore saffico.
Ecco perché la storia, seppur tratta dal romanzo di Rupert Holmes (2003), evoca immagini alla James Ellroy. Perché sembra trasudare quella dissolutezza degli ambienti mondani tipica delle opere di e della sua Los Angeles anni '60, così sudicia e così corrotta. E' un crudo affresco di una generazione arricchita, che ha imparato a sognare stando davanti e dentro al televisore. E' il gioco perverso del mitico "american dream": la promessa di un paradiso a portata di mano per chi sa farsi apprezzare, finché l'ebbrezza dell'ascesa causa e nasconde la vertiginosa caduta nella svilente abiezione umana.
Seguendo questa traccia, forse non è un miraggio intravvedere un tenebroso "je ne sais quoi" che profuma di Aronofsky e ancor più di Lynch.
Questo non significa che "False verità" possa essere accostato alle opere complesse e straordinarie dei succitati colleghi dell'armeno.
E' un affascinante noir, che incuriosisce senza picchi vertiginosi di tensione, ma che spesso incappa in qualche sfalsamento del ritmo. A volte la scena si dilunga, autocompiacendosi oppure tergiversando su dettagli secondari; di contro, alcuni passaggi vengono risolti sbrigativamente con un improvviso cambio di passo. E' il caso ad esempio della rivelazione finale.
Ed è proprio il finale che lascia una vaga perplessità: non è prevedibile come altri, però è decisamente sbrigativo e leggermente deludente. Lascia nello spettatore l'impressione di aver assistito ad una sostanziosa catena di eventi drammatici, il cui primo anello però appare abbastanza debole.
Nel complesso resta un buon film, che non assurge ai livelli di un capolavoro, ma che per gli aspetti elencati merita comunque una visione.
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Recensione a cura di ilSimo81 - aggiornata al 18/02/2013 16.45.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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