Recensione fari nella nebbia regia di Gianni Franciolini Italia 1942
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Recensione fari nella nebbia (1942)

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locandina del film FARI NELLA NEBBIA

Immagine tratta dal film FARI NELLA NEBBIA
 

Girato in bianco e nero a Savona nei primi anni del secondo conflitto mondiale, "Fari nella nebbia" sembra ispirarsi in parte al realismo francese di Marcel Carné, quello più impregnato di toni poetici, mantenendosi però, nel complesso, ad una rispettosa distanza dal cinema d'oltralpe, in particolare riguardo ai suoi codici linguistici più diffusi che lo caratterizzavano con successo intorno agli anni '40.
Il film ha una buona originalità espressiva e un disincanto narrativo sulle cose tali da far imprimere al racconto una direzione immaginifica tutta sua, vicina per stile alle più note forme poetiche e realistiche dei film occidentali in circolazione in Europa in quel periodo, anche se bisogna dire che l'argomento trattato, la vita proletaria, è lontano dai soggetti di allora. La pellicola ha però anche dei forti contenuti naturalistici, che ricordano per tematiche trattate i migliori scritti di E. Zola, quelli improntati su realtà che non scaturivano dall'immaginazione dello scrittore ma dall'esplorazione di situazioni umane e sociali del tutto nuove, ricche di fatti di rilievo, in cui l'autore scrutava e annotava con un forte distacco ciò che accadeva e vedeva.
Il regista Gianni Franciolini mette al centro del racconto la vita dei camionisti di petrolio degli anni '40, un'esistenza difficile, dalle relazioni umane complesse, piena di insicurezze giornaliere, ma ricca di passioni estreme. Sono temi forti quelli proposti da "Fari nella nebbia", che richiamano alla mente alcune indimenticabili pagine del cinema italiano degli anni '50, del quale Franciolini con questo film sembra in un certo senso annunciarne l'imminente nascita, che avverrà sotto la denominazione di neorealismo soltanto nel 1946, con il film Sciuscià di De Sica.

Gianni Franciolini prima della seconda guerra mondiale ha lavorato in Francia come collaboratore dei registi J. Choux e G. Lacombe, e negli anni '30 è stato aiuto regista di E. Deslaw; il suo primo lungometraggio fu il poliziesco "L'ispettore Vargas" (1940); "Fari nella nebbia", secondo film del regista, è forse dal punto di vista della riuscita naturalistica-simbolica la pellicola più significativa della sua carriera: nelle opere successive utilizzerà modi diversi di raccontare, unendo al genere della commedia briosa all'italiana aspetti fiabeschi, o forme leggermente satiriche con tratti pungenti chiaramente moralistici e pensieri leggeri di puro intrattenimento (vedi "Racconti d'estate", del 1958). Con "Fari nella nebbia" Franciolini attrae subito i critici cinematografici per la sua verve compositiva e la tecnica di scrittura, che denotano, abbinate al suo magico modo di raccontare per immagini, una straordinaria capacità nel montaggio. Da sottolineare anche l'estrosa capacità del regista italiano nell'unire sapientemente figure simboliche primarie con oggetti secondari, ricchi quest'ultimi di allusioni complementari alla scena primaria, tipiche di un pensare per immagini ben articolato da cui scaturisce una più facile comunicazione dei significanti e significati in gioco.

Successivamente queste doti si coniugheranno felicemente anche con un talento crescente nel preparare la sceneggiatura, dando ai suoi pensieri e ai romanzi che utilizzerà per il cinema un'indimenticabile e preziosa trasposizione visiva.
In alcuni film il promettente regista italiano si farà apprezzare per le sue significative capacità analitiche, aventi per oggetto i meccanismi psicologici che stanno alla base delle più comuni passioni umane e dando alle proprie opere una descrizione visiva accesa, riuscita, che sarà espressa in parte in modo diretto e in parte, per ovvii motivi di insufficiente spazio diegetico (spazio narrativo) del cinema, solo in modo allusivo. In questo senso egli tratterà con competenza e comunicatività sopra le righe questioni radicate in quegli anni in diversi nuclei familiari, dove per gravi motivi isterici o degradi morali l'adulterio, svelato da alcune circostanze sfavorevoli, andava incontro a pesanti drammatizzazioni, con a volte evoluzioni anche tragiche. Di Gianni Franciolini ricordiamo, dei suoi tredici film girati tra il 1940 e il 1959, anche "Giorni felici" e "Amanti senza amore".

"Fari nella nebbia" è stilisticamente complesso: se da una parte sembra introdurre novità che verranno riprese, più o meno consapevolmente, dal neorealismo italiano, dall'altra il suo linguaggio cinematografico appare fornito di numerosi simbolismi, che per forza di cose sono da considerare antitetici al realismo perché debordanti verso un gioco di metafore che impedisce la percezione diretta del significato che racchiudono. Le numerose riprese nella nebbia, nella pioggia, durante la notte, sembrano andare al di là di un linguaggio visivo e parlato esclusivamente legato al vero, creando un'atmosfera caratterizzata da toni evocativi, misteriosi, enigmatici, che allontana dal gusto per la certezza e la chiarezza del senso dei fatti che accadono, suggerendo in definitiva verità altre, più riposte, inconsce, da interpretare, quasi che esse fossero da scoprire riflettendo, ragionando come in un rebus, pensando se necessario a delle relazioni insolite, e a domande e interrogativi che si prolungano inevitabilmente all'uscita dalla sala.

Nel film la fusione stilistica tra realismo e simbolismo dà maggior spessore psicologico alle passioni umane contenute nella narrazione, coinvolgendo lo spettatore in sensazioni più originali, tali da trascinarlo suo malgrado su un crinale psicologico non chiaro, imprevedibile, un po' folle nella sua mobilità spiazzante e apertura tematica, spesso tagliente, pericoloso, dove la trasgressione o l'efferatezza psicologica, tipica soprattutto della competizione di alcuni animali feroci, diventano le vere pulsioni protagoniste della storia, rendendo visibile a tratti macchie psichiche di un alter ego oscuro, indefinibile, pauroso, votato al tragico, qualcosa che in condizioni normali nessuno immagina possa in qualche modo appartenergli.
Il film di Gianni Franciolini mostra passioni irrefrenabili, violente, che sembrano non appartenere più all'humus culturale su cui crescevano i valori cristiani e laici in vigore in quel tempo, passioni che sorprendentemente appaiono estranee anche ai più noti comportamenti emozionali legati alle ideologie degli anni '40. Il film sembra rappresentare un mondo oscuro, ambiguo, presente solo nell'inconscio di ciascuno, di cui forse allora non si osava parlare per timore di evocarlo senza poterlo controllare, con effetti sociali irrimediabili.
I toni bui della morte che accompagnano il film in quasi tutto il suo percorso sono pertinenti al tema trattato; indicano il tutto della passione che è in gioco, la sua indifferenza al futuro e alla morte, lungo l'effetto dell'azzardo che in un certo senso l'avvolge e che è in grado di affascinare i personaggi ma portandoli in un secondo tempo allo stravolgimento e a una fine umiliante. Un buio forte quindi, quasi costante, che non può non richiamare negli spettatori anche la tristezza della popolazione italiana entrata in guerra per una discussa causa fascista che porterà le masse e il paese alla rovina, oltre ogni fervida immaginazione.

Il film inizia con una scena notturna che si ripeterà più volte in flashback perché significativa di un'ossessione cui è preda il protagonista Cesare, camionista (Fosco Giachetti). Si vede Anna (Mariella Lotti), sua moglie, scendere a precipizio una rampa di scale di condominio, come se fosse sconvolta da qualcosa di burrascoso, forse una decisione appena presa irremovibilmente, e dietro di lei Cesare che la insegue per parlargli ancora. Il marito non riesce a raggiungerla e uscito da portone si avvia a prendere servizio sul suo camion diretto a Savona.
Cesare e il suo secondo autista Gianni (Mario Siletti) partono da Acqui diretti a Savona, ma la guida al volante di Cesare è molto nervosa; egli pensa ossessivamente alla lite appena avuta con la sua bella moglie, è sconvolto per la perdita della donna di cui si sente responsabile, tanto da decidere non appena terminato il viaggio a Savona di ritornare ad Acqui, dove risiede.
Giunto in sede durante la notte, ad attendere Cesare c'è subito un nuovo viaggio per La Spezia con un camion di nuova concezione, denominato 666, molto più potente dei precedenti. Dopo un'animata discussione con Egisto (Lauro Gazzolo), anziano e severo capo reparto, risoluto nella decisione di farli partire subito, Cesare decide, seppur a malincuore, di continuare il viaggio. Dopo qualche chilometro, ad un bivio, anziché imboccare la strada per Genova prende a sorpresa quella per Acqui, avventurandosi nella nebbia e a una velocità sostenuta verso casa sua, animato dalla speranza di avere notizie della moglie Anna, allontanasi da casa.

Alcuni flashback mostrano nel frattempo la scena completa della lite avvenuta tra Cesare e la consorte. Il senso del diverbio riguarda l'insoddisfazione matrimoniale dei due. Anna, pur amando Cesare, è inappagata; accusa il marito di trascurarla e di fare un lavoro che danneggia la loro relazione perché lo costringe a stare per troppo tempo lontano da casa. Inoltre nei giorni di riposo Cesare non la porta a ballare e non vuole imparare le tecniche del ballo; si veste solitamente in modo poco elegante portandosi dietro, per quanto riguarda il comportamento mondano, qualcosa dell'andazzo abitudinario preso nel lavoro.
Durante il viaggio la nebbia e la velocità procurano a Cesare e Gianni un fastidioso incidente, per fortuna non grave, che però non gli impedirà di raggiungere Acqui. Giunto nella sua abitazione trova una lettera di addio di Anna.
Nel frattempo il film mostra alcune scene di vita mondana della moglie, che si svolgono in noti locali da ballo della zona; la donna, pur corteggiata assiduamente da un certo Filippo (Carlo Lombardi), noto don Giovanni, resisterà alle sue offerte dimostrando così la sua integrità psicofisica e di essere ancora innamorata del marito.
Al ritorno da Acqui, Cesare poco prima di giungere a Savona dà un passaggio a una bellissima donna, Piera (Luisa Ferida), caduta dalla bicicletta, che rimane colpita dai modi virili di Cesare finendo per dimostrargli in qualche modo un suo interessamento. Cesare non è indifferente ai segnali ammiccanti di Piera; l'occasione per i due di iniziare un rapporto avviene casualmente in un bar a Savona, allietato da una fisarmonica e dagli sguardi umili, sognanti, dei camionisti di provincia.
La loro storia sarà breve e intensa, ed entrerà in crisi quando Piera si accorgerà di non poter sostituire totalmente Anna, la moglie di Cesare, perché egli non vuole farsi vedere in giro con lei, considerata da tutti la sua amante, né fare con Piera scelte di convivenza più complete.
Piera lo tradirà con il suo nuovo secondo Carlo, e quando Cesare verrà a saperlo vorrà ucciderlo. Mentre prepara in casa la pistola per freddarlo, trova improvvisamente Anna in una stanza. La moglie, con il suo intuito femminile ed alcune informazioni datele dalla consorte di Gianni, aveva capito cosa poteva accadere ed era accorsa velocemente in suo aiuto.
Anna lo bacia appassionatamente e gli perdona tutto, facendogli capire che lo ama ancora e che è disposta a ritornare a vivere con lui.
Cesare accetta entusiasta la proposta di Anna e si calma, ridiventando amico di Carlo. La pioggia battente che accompagna gli ultimi minuti del film sembra voler lavare tutti peccati di egoismo, orgoglio e viltà commessi dai protagonisti, aprendo qualche orizzonte di speranza per tutti.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 12/09/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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