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Voto Recensore: | 8,50 / 10 | ||
Il cinema indipendente americano non può non includere un cineasta, a suo modo particolare, come Russ Meyer.
La sua passione per il cinema si manifestò fin da giovanissimo, quando vinse un premio per giovani registi dilettanti; successivamente, durante la Seconda Guerra mondiale, fu aggregato in Europa al seguito del Generale Patton, realizzando filmati durante la sua avanzata verso la Germania nazista: materiale molto interessante, visto che fu usato come riprese di repertorio anche nella omonima pellicola di Franklin J. Schaeffner "Patton, generale d'acciaio".
Dopo la guerra si indirizzò verso produzioni commerciali, perlopiù filmati industriali, che affinarono la sua tecnica documentarista e che furono per Meyer un'ottima palestra di lavoro per un genere che lo stesso regista apprezzava.
Il primo approccio verso i "nudies" (film a carattere erotico) avvenne nei primi anni '50 con fotografie di pin-up in pose molto osè ed i primi cortometraggi, con protagoniste avvenenti spogliarelliste.
L'esperienza non fu tra le più felici, anche se redditizia: il regista si discostava nettamente dalla filosofia di questo tipo di film. Si trattava sopratutto di pellicole molto banali con storielle sempliciotte, utili soltanto a stuzzicare l'appettito dell'americano medio benpensante, senza che quest'ultimo si scandalizzasse eccessivamente per ciò che aveva visto. Meyer invece premeva per un approccio molto scanzonato e divertente, ma inserendo al contempo, spingendo molto sul grottesco e sulle fantasie morbose, anche una certa dose di violenza.
Ovvio che tali pellicole erano ritenute troppo oltraggiose per i produttori del tempo, intimoriti da prodotti potenzialmente invendibili, così Russ Meyer si dedicò alla sua carriera di fotografo dove si fece un nome molto importante fino ad essere nientemeno che il fotografo dei paginoni centrali di Playboy, la rivista di Hugh Hefner.
Dopo il suo debutto cinematografico vero e proprio nel 1959 con "The immoral Mr. Tease", si entra nel periodo migliore della carriera del regista americano, con una serie di film girati in bianco e nero.
"Lorna" fu il primo di questa serie, continuando con "Mudhoney", "Motorpsycho" e appunto "Faster, Pussycat! Kill! Kill!".
Tre provocanti ballerine, Varla, Rosie e Billie, scorrazzano sulle deserte strade americane con le loro automobili sportive. Un ragazzo, con la sua fidanzata, si ferma vicino alle loro auto e le sfida per una corsa. Sconfitto in maniera scorretta da Varla, il ragazzo prova a difendere la sua donna aggredita dal trio. Lottando con lei il giovane non ha speranza ed è ucciso; Linda invece, la fidanzata, viene rapita dalle tre.
Ad una stazione di benzina le ragazze si accorgono di un vecchio paralitico e del suo grande figlio scemo, entrambi molto ricchi; con una scusa riescono ad entrare nella loro fattoria, ma il carattere difficile dell'anziano, armato di fucile, le mette in guardia. L'uomo intuisce che la giovane è loro vittima e nonostante non ci sia fiducia, decide ugualmente di invitarle tutte a pranzo, con il secondo scopo di poter dare la ragazza proprio al grande figlio scemo. Poco dopo Linda riesce a fuggire, e nel deserto incontra un uomo al quale racconta la verità. Questo la riporta alla fattoria perché l'uomo è Kirk, il secondo figlio dell'anziano paralitico.
La giovane sequestrata riesce però a fuggire nuovamente, inseguita dal vecchio, dai suoi figli e da Varla.
Dopo diverse peripezie, la povera Linda riuscirà però ad avere la meglio sui propri aguzzini ed a fuggire via.
La scena iniziale è esemplificativa della filosofia di Meyer riguardo le figure femminili dei suoi film: tre corpi provocanti che danzano per un pubblico maschile gretto, chiassoso ed eccitato. Provocazione che non vuol dire donna-oggetto da usare a piacimento, ma che simboleggia l'uso del corpo femminile come arma per soggiogare l'universo maschile, sempre messo in cattiva luce nei film di Meyer. In questa pellicola, infatti, come anche nelle altre opere del regista americano, gli uomini sono estremamente deboli, quasi degli inetti. Oltrettutto la stessa parola "pussycat" possiede una doppia valenza: viene usata generalmente per definire sessualmente una donna, ma all'occorrenza anche un uomo effeminato. Le tre donne di "Faster, pussycat, kill! Kill" dietro questa fragile apparenza in realtà manifestano comportamenti tipicamente maschili: guidano auto ad alta velocità, fumano sigarillos, sono determinate e combattive dallo spiccato spirito indipendente.
Il principale antagonista di Varla, Rosie e Billie è rappresentato da una famiglia composta da tre uomini, retta sotto un rigido patriarcato da un vecchio sulla sedia a rotelle che detesta i treni ed ogni forma di progresso tecnico e culturale. Durante il pranzo mostrerà tutta la sua "alta" considerazione verso le donne sentenziando: "Vi abbiamo dato il diritto di voto, di guidare, di fumare, di mettervi i pantaloni e ora abbiamo anche un presidente democratico!".
I suoi due figli non sono certo migliori: uno è un ritardato mentale dalla grande forza fisica, semplice strumento del volere del padre che lo comanda a bacchetta, mentre l'altro (Kirk) è troppo debole caratterialmente per opporsi all'autorità del vecchio: vorrebbe ma non ha la forza per farlo. Gliene viene data l'opportunità dalla stessa Varla, in un breve momento di intimità, salvo poi voltar faccia subito dopo, mostrando la sua ipocrisia e la sudditanza verso la figura paterna.
Per finire Linda, classica teen-ager irritante ed infantile, caratterialmente all'opposto delle tre protagoniste. Una miscela del genere scatena uno scontro inevitabile dove si confrontano due culture e due mentalità differenti: da una parte la volontà di imporsi delle donne nei confronti dell'uomo con tutti i mezzi, anche illeciti, dall'altra una famiglia riflesso di quell'America profonda e rurale, immobile ed ottusa così tanto detestata da Meyer, che già nei film precedenti ne tratteggiava, in maniera spietata, i suoi aspetti peggiori.
Molto ben curato dal punto di vista tecnico, con una bellissima fotografia in bianco e nero, il film è strutturato come un fumetto, dai dialoghi volutamente didascalici, dalla stilizzazione dei caratteri dei personaggi, ivi comprese le loro movenze e le pose, che donano alla pellicola un forte accento grottesco e surreale.
Il film è uno dei pochi di Meyer in cui non si vedono scene di sesso o di nudo esplicite, ma possiede tuttavia una forte carica erotica di fondo (una marcata attrazione fisica di Rosie verso Varla ne è un esempio).
Ma la vera arma vincente è certamente Suvaki Luna Pascual Yamaguchi alias Tura Satana, personalità dominante del film, bad girl dal fisico prorompente e dalle forme mozzafiato evidenziate da abiti neri attillatissimi, quasi una versione su celluloide di una icona degli anni 50: Betty Page, la regina delle pin-up dalla inconfondibile frangetta.
Carattere forte e deciso, che non esita a imporre il proprio dominio sulle altre due ragazze, e che non ha paura di mettersi alla prova anche dal punto di vista fisico nei confronti del cosidetto "sesso forte", Varla è la vera forza trascinante del film di Meyer, e malgrado i suoi comportamenti siano molto discutibili, crea una empatia quasi ipnotica con lo spettatore. La sua morte alla fine del film lascia molto amaro in bocca, visto che gli unici sopravissuti alla vicenda saranno i personaggi più odiosi del film: Kirk e Linda.
Il successo della sua Varla fu tale da trasformare Tura Satana in un personaggio di culto, preso a modello per le future donne forti del cinema americano.
Stranamente il film, al contrario della maggiorparte delle pellicole di Meyer, fu inizialmente un fiasco dal punto di vista commerciale, ma è stato successivamente riscoperto dal movimento femminista qualche anno dopo, che lo ha eletto a proprio manifesto. Tutto ciò può sembrare perfino ironico rispetto alle accuse di misoginia e fascismo rivolte al regista americano. Accuse ovviamente respinte sempre al mittente da Meyer.
"Faster pussycat, Kill! Kill!" si è ritagliato un posto a se stante nell'immaginario collettivo. Colpiscono ancora, a distanza di molti anni, la sua incredibile freschezza e la capacità di anticipare mode e tendenze tipiche di un certo cinema americano indipendente di quegli anni, teso a svecchiare la Hollywood ancorata a modelli vecchi e stantii, e formulare nuovi linguaggi cinematografici togliendosi definitivamente di dosso zavorre come il Codice Hays (un ridicolo zibaldone su ciò che può essere mostrato o meno nelle pellicole cinematografiche), peraltro già in fase declinante come mostrato in film dai temi forti come "L'uomo dal braccio d'oro" di Preminger.
Meyer ha però dato il suo piccolo contributo, e la sua lezione non è certo passata inosservata, se ancora oggi registi come Quentin Tarantino si ispirano a Meyer (come nel recente "Death Proof").
Con il suo umorismo graffiante, con le sue donne dalle taglie forti, Meyer mette in ridicolo l'America puritana e bacchettona e pone la donna come figura centrale per un rinnovamento culturale e sociale della società americana. D'altronde se c'era un regista che amava le donne, in tutti i sensi, quello era proprio lui.
"Ladies and gentlemen, welcome to violence."
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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 15/05/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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