Voto Visitatori: | 6,35 / 10 (116 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 7,50 / 10 | ||
"Se dio non può sconfiggere il male allora non è onnipotente...
Se può sconfiggerlo e non vuole farlo allora dio è malvagio...
Se invece non vuole e non può farlo allora perchè chiamarlo dio?"
Per alcuni il cinema è morto, per altri attraversa una profonda crisi; forse è vero, resta il fatto che ancora oggi è possibile uscire dalla sala sorpresi dopo aver visto qualcosa di completamente inaspettato.
"Franklyn" entra di diritto in questo genere di film: si può odiare il suo ermetismo o amare il suo stile, ma resta il fatto che non potrà mai essere accusato di banalità.
"Franklyn" si presenta al suo pubblico come una classica "graphic novel" sul modello dei vari Snyder, Miller o Rodriguez, ma da subito si capisce che è un prodotto del tutto diverso, che rifugge da facili etichette.
In primo luogo si delinea subito come un film ad episodi, in cui varie storie, distanti tra loro, si mescolano senza un'apparente unità narrativa.
La prima storia si apre con la figura di Preest, un eroe solitario in cerca di vendetta nella "Città di mezzo", luogo non ben definito (forse una Londra del futuro) dove vige una dittatura interreligiosa.
Preest è l'elemento di disturbo, perseguitato perché non riconoscendosi in nessun credo, diviene una pedina instabile e rancorosa.
Successivamente si torna alla Londra del presente, dove si intrecciano le vicende di Emilia, artista depressa con tendenze suicide, di Ester, uomo solitario alla ricerca del figlio scomparso, e di Milo, giovane disilluso abbandonato prima delle nozze.
Contrariamente a quanto potrebbe apparire, in "Franklyn" si possono rintracciare più analogie con il cinema di Inarritu che con quello di Miller, grazie alla tendenza a raccontare le vicende di vari personaggi che hanno un unico comune denominatore: il dolore per la perdita e l'accettazione della realtà.
Per gran parte della durata della pellicola, lo spettatore vaga da una storia ad un'altra nonostante queste risultino essere profondamente distanti sia dal punto di vista dei contenuti che anche da quello stilistico.
Mentre le vicende di Preest ci sono raccontate con tutti i classici cliché del genera fantasy-futuristico, facendo inizialmente storcere il naso a chi tema una riedizione 2009 di "V per Vendetta" o "1984"; in realtà ci si rende subito conto di essere pedine di un gioco portato in scena da Gerald McMorrow, sceneggiatore e regista alla sua opera prima.
Si passa dal fantasy al drammatico, fino a uno stile più prettamente sentimentale nella storia di Milo.
Gerald McMorrow dimostra di essere un giovane ed interessante regista, capace di cercare l'originalità rielaborando secondo regole diverse le nostre convinzioni e schematizzazioni del cinema, creando un film ad incastro dove spetta al pubblico ricostruire gli eventi.
Da questo momento in poi si sconsiglia la lettura a chi avesse intenzione di vedere questo film.
Il film di McMorrow è un viaggio all'interno della psiche umana, che analizza i percorsi di dolore dei suoi personaggi e sopratutto sottolinea come l'influenza di un fato avverso possa distruggere le vite di persone apparentemente normali.
McMorrow affronta il tema dell'abbandono, che si presenta nella perdita di persone care; nel caso specifico l'attenzione si sposta verso la perdita della figura paterna (ricomprendendo anche Dio come figura paterna per antonomasia).
I personaggi di questo film reagiscono in modo differente, costruendosi realtà parallele ma ognuna con delle caratteristiche assolutamente peculiari.
Mentre Preest rinuncia a priori alla realtà, costruendosi un mondo immaginario dove si erge a eroico paladino dei più deboli, la situazione risulta essere diversa per gli altri personaggi.
Emilia trova nella figura di un operatore sanitario un fidato confessore mancato in tutta la sua vita, Milo compensa con un'amica immaginaria la perdita prima del padre e poi dell'amore fino a Ester che trova in Dio la ragione delle sue disavventure.
La paura di affrontare la realtà non è vista però in modo negativo da McMorrow, ma anzi le entità che popolano la mente dei protagonisti possono anche essere interpretate come frutto del volere divino.
Queste figure aiutano i protagonisti ad affrontare gli irrisolti del proprio passato e a trovare il coraggio di vivere il presente.
La ricostruzione qui proposta risulta essere solo la punta di un iceberg di un film che riesce a sottoporsi a mutevoli interpretazioni a cominciare da alcune incongruenze nella trama fino a domande che restano volutamente senza risposta.
A questo punto l'ambiguità della figura dell'operatore sanitario (forse Dio in persona?) risulta essere difficilmente classificabile così come misteriosa è quella dell'"uomo dei numeri" oppure del fantomatico Franklyn, enigmi che rendono questa pellicola un vero "puzzle movie" nello stile di Chirstopher Nolan con i suoi "The Preestige" o "Memento".
Ma forse la vera chiave di lettura è rinvenibile in una frase: "se credi fortemente in qualcosa, chi può dire che sia reale o meno?", alludendo proprio al fatto che nel film non esiste una vera e propria scomposizione tra il piano immaginario e quello della realtà, tale che qualsiasi interpretazione che abbia come base una distinzione di questo tipo, non potrà mai avere una certezza logica.
Sebbene non sia stata ancora fornita una risposta ufficiale è evidente che un film del genere ambisce ad entrare nella categoria dei "cult movie", ma anche se spesso le operazioni nate a tavolino risultano essere fredde e asettiche, in questo caso la situazione risulta diversa, in quanto oltre ad elementi formali, la tematica del dolore è resa con grande efficacia.
Notevoli sono anche le interpretazioni, a cominciare da quella di Eva Green che è evidentemente nata per interpretare personaggi tormentati anche grazie a una fisicità e ad una bellezza che la rendono unica nel panorama cinematografico odierno.
Inoltre Gerald McMorrow dimostra che non sono necessari budget spropositati per costruire un buon fantasy: tramite la creazione di splendidi sfondi, e utilizzando l'interno di vere chiese ed edifici medievali, riesce a ricostruire un mondo gotico in modo non solo convincente ma anche esteticamente molto suggestivo e originale.
Le musiche sono un altro punto di forza, ma in generale è l'impostazione estetica del film a farsi ricordare, così come i video girati da Emilia/Eva Green, che dimostrano un talento visionario di McMorrow che lascia ben sperare per il futuro.
Sono evidenti una cura maniacale dei particolari e sopratutto la volontà di esprimere una storia avvincente senza cercare di compiacere lo spettatore.
In realtà è proprio dal punto di vista dello spettacolo che "Franklyn" risulta presentare le sue pecche più grandi.
Lo spettatore vaga per gran parte della visione senza capire nulla di ciò che accade, elemento che come abbiamo visto risulterebbe essere un punto di forza se a ciò non si accompagnasse un ritmo narrativo decisamente troppo lento. Così facendo non solo si appesantisce la visione del film, ma si rischia di non coinvolgere lo spettatore, che per troppo tempo rimane estraneo alla vicende proposte.
Solo verso la fine cominciando a delinearsi le connessioni fra le varie storie raccontate, si riesce ad apprezzarne sempre di più le varie sfumature ma che comunque rendono indispensabile una seconda visione per comprendere in pieno la trama.
"Franklyn" è un film che denota alcuni difetti dovuti ad un approccio ancora acerbo di McMorrow, ma che nello stesso tempo, pur essendo un film prettamente di genere, riesce a farsi apprezzare per la profondità e delicatezza con cui tratta argomenti di grande complessità.
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Recensione a cura di Paolo Ferretti De Luca aka ferro84 - aggiornata al 11/05/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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