Recensione gilda regia di Charles Vidor USA 1946
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Recensione gilda (1946)

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locandina del film GILDA

Immagine tratta dal film GILDA

Immagine tratta dal film GILDA

Immagine tratta dal film GILDA

Immagine tratta dal film GILDA

Immagine tratta dal film GILDA
 

Una chioma di folti capelli che spunta dal nulla. Una donna quasi violata nella sua intimità domestica. Ma sul volto di lei compare un sorriso magico e incantatore; un'euforia contagiosa e una bellezza infinita che possono far sognare, così come possono esser capaci di dannare per sempre l'anima che osasse avvicinarsi. Quest'ultima non sarebbe più in grado di pensare ad altro, prigioniera di un sortilegio.
La bellissima donna, dallo sguardo letale e affilato come una lama, si chiama Gilda e si è appena sposata con tale Ballin Mundson, possessore di una sfarzosa casa da gioco in quel di Buenos Aires.
Il caso vuole che Johnny Farrell, astuto giocatore, truffatore incallito ed ex amante di Gilda, fosse stato assunto poco tempo prima proprio da Ballin come suo braccio destro...

Nata il 17 ottobre 1918 a Brooklyn col nome di Margarita Carmen Cansino, Rita Hayworth (che dopo questa interpretazione rimarrà "Gilda" per sempre) iniziò a ballare da professionista all'età di 12 anni.
La Hayworth veniva da esperienze cinematografiche con alcuni registi importanti quali Hawks, Cukor, Mamoulian e lo stesso direttore di origini ungheresi Charles Vidor, regista di "Gilda".
A sua volta Glenn Ford (Johnny Farrell) aveva già lavorato con la Hayworth e Vidor in "Seduzione" (1940). Entrambi gli attori avevano partecipato a opere discrete, ma solo con questa entrarono nell'olimpo delle star hollywoodiane per eccellenza.
Classico intramontabile della Columbia, "Gilda" è stato restaurato grazie all'intervento della UCLA Film and Television Archive. Tipico film noir con la peculiare ambientazione "esportata" in paesi esotici o lontani (in questo caso l'Argentina), con atmosfere ambigue e arbitrariamente provocanti, dove il modello dell'uomo venuto da una società avanzata naufraga nello smarrimento e nella tentazione della perdita di sé, resta a tutt'oggi un capolavoro del genere.
Fondamentale nella creazione di queste atmosfere un po' "malate" è la bella fotografia di Rudolph Mate', un bianco e nero tanto radioso e straordinario da rendere il melodramma pomposo senza risultare eccessivo e seducente al punto giusto.
Anche il ridoppiaggio, avvenuto nel 1978 per poter consentire alla televisione la messa in onda della pellicola (che soffriva di una traccia sonora originaria molto consunta), mantiene intatto il suo fascino. Le voci di Pino Colizzi (Johnny) e Vittoria Febbi (Gilda) sono autorevoli ed efficacemente rispondenti alle cadenze primigenie.

Col progredire della storia, Johnny rivela un'indole complessa, piena zeppa di componenti misogine (e questo è spiegabile dal fatto che ha avuto una forte delusione amorosa) e sadomasochistiche (molto interessante, al riguardo, è la festa di carnevale con tanto di frusta come parte integrante del costume e minacciosa risorsa nelle mani di Gilda) che si risolvono nell'odio profondo che egli riserva alla sua ex amante e ai modi costrittivi coi quali intende punirsi/punirla. In molti, soprattutto la critica europea dell'epoca, vollero affermare che il personaggio di Johnny fosse preda di pulsioni omosessuali.
A parte che anche gli stessi protagonisti maschili ebbero dei dubbi sulla sottotraccia più o meno esplicita della scrittura, dobbiamo dire però che il comportamento di Johnny sembra giustificato dalla delusione devastante avuta dal primo incontro con Gilda, femme fatale e mangia uomini per eccellenza, tanto da esserne rimasto comprensibilmente scottato, ancora innamorato e assai geloso.

Le schermaglie tra la Hayworth e Ford sono memorabili. I dialoghi che le accompagnano sono così pregni di significato e così profondi che il film risulta avvincente in ogni singola scena.
Rita Hayworth era riuscita a fare di quella donna dall'etica ambigua e dai sentimenti instabili una straordinaria presenza sessuale, attorno alla quale ruotavano il film e la stessa attenzione del pubblico.

Nonostante gli ambiti esotici e gli "intrighi internazionali" evocati da una sceneggiatura più stramba del solito, viste le continue urgenze di fare di ogni dialogo una massima (ma anche ricca di spunti notevoli grazie ad alcune forme seducenti di scrittura), la vera attrazione di "Gilda" continua ad essere proprio la sua protagonista.
Se è vero, dunque, che ogni singola sequenza è a rischio di pacchianeria è altrettanto certo che i significati che emergono da cotanta spudoratezza sono così densi da sfiorare l'eccellenza.

E' evidente che dobbiamo fare i conti con alcune forzature - ma preferiremmo chiamarle ornamenti - quali il contesto storico (il termine della seconda Guerra Mondiale) dentro il quale la vicenda viene disegnata e un non meglio precisato scontro per il controllo di un improbabile monopolio del tungsteno (anche se, in questo caso, gli autori hanno probabilmente inteso disegnare un'altra figura con deliri di onnipotenza che "sostituisse" quella appena caduta in Germania).
Se la storia può apparirvi illogica, potete tranquillamente fingere di non capire, concentrandovi sulla protagonista.
Nonostante le incoerenze del personaggio, che con altre attrici sarebbe probabilmente risultato grottesco, la Hayworth riesce a fare della figura di Gilda una creatura sensuale, tumultuosa, immorale, vendicativa e bellissima.

Un paio di caratteristi in gran forma accompagnano questo "duetto con terzo incomodo". Un inserviente, conosciuto da tutti i frequentatori del locale come Zio Pio, che risulta essere un filosofo impagabile: sempre al centro delle vicende dei protagonisti, li conosce meglio di loro stessi, e la sua infinita saggezza ed esperienza spesso funge da monito ai tre primi attori travolti dalla passione e accecati dalla gelosia.
Egli, insieme al poliziotto che presidia costantemente la bisca alla ricerca di indizi che possano condurlo ai nomi dei grandi criminali coi quali sta trafficando Ballin, sono i due artefici, i custodi e i risolutori in primis dei destini dei due amanti.
Le pene d'amore sono costanti nell'esistenza di Gilda. A volte sembra non rimanergli altro che cantare, strimpellando una chitarra in beata solitudo (richiamando le note di "Amado mio") o ballare coreografata da Jack Cole, il quale si ispirò alle vere performances di una spogliarellista.
Il guanto nero sfilato lentamente ed eroticamente dal braccio, sventolato in aria in modo provocante sulle note di "Put the blame on mame" è una sequenza entrata di diritto nell'immaginario erotico.

Gilda è una donna che non si può tenere in gabbia, è una ribelle per natura.
Nei suoi attillati abiti da sera, che riescono appena a contenerla, la Hayworth si muove aggraziata e folgorante. Istintiva com'è, ci appare come una flessuosa sirena incantatrice e l'emozione è tanta da far annebbiare il cervello.
Un fascino carnale senza precedenti, un'ambrosia degna in tutto e per tutto di una Dea.

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Recensione a cura di pompiere - aggiornata al 26/10/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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