Voto Visitatori: | 6,85 / 10 (79 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 9,00 / 10 | ||
Maggie Smith, una delle indiscusse regine del cinema e del teatro inglese, durante i titoli di testa, a bordo della sua autovettura con autista e cameriera, avvia questa pellicola gioiello diretta con sagacia dal compianto Robert Altman.
È uno dei pochi e selezionati invitati di Sir Willam McCordle, ricchissimo proprietario di Gosford Park, che periodicamente organizza battute di caccia nei suoi possedimenti.
Un vero e proprio raduno di ospiti illustri, ognuno con cameriere e valletti al seguito, sta per avere luogo davanti agli occhi dello spettatore; nulla è lasciato al caso, grazie a una organizzatissima servitù comandata da Jennings, il maggiordomo, e dalla signora Wilson, la governante.
Tutto procede esattamente come previsto, eccezion fatta per l'omicidio del padrone di casa (ma è davvero un imprevisto?) che crea qualche piccolo imbarazzo. Dopotutto, ricordiamo che siamo in Inghilterra, e il glorioso self control è d'obbligo.
Fin qui sembrerebbe la trama rimaneggiata di film visti e rivisti, del calibro di "Arsenico e vecchi merletti" o simili, ma ben presto la storia si dipana nella sua ben più complessa struttura.
Gosford Park è un vero e proprio microcosmo dove convivono due dimensioni parallele, collegate ma sempre distinte: chi vive e lavora below the stairs è condannato per sempre a far parte della servitù, non conta nulla e non potrà mai assurgere al rango di chi vive invece above the stairs.
Due mondi separati solo da una scala, percorsa innumerevoli volte, che segna tuttavia una insormontabile demarcazione sociale. Siamo nel 1932, e l'Inghilterra vive ancora anni tranquilli in cui lo snobismo sembra essere l'unico pensiero degli ambienti salottieri. E Altman ha dato un valore simbolico a quella scala, elevandola a protagonista del film. Per quanto possa essere un mezzo di collegamento, forse un bastione o una fortezza risulterebbero più fragili. È una scala che avverte di non illudersi: non è percorrendola che si possa migliorare o peggiorare la propria condizione, perché è una barriera ideologica, convenzionale, mentale, culturale.
Gli invitati di Sua Signoria si trovano al di sopra della scala, appartenendo, per lo più, alla cosiddetta alta società: vi si annoverano contesse, baronesse, colonnelli e gentiluomini, e la presenza isolata di un regista di Hollywood non appare altro che un pretesto per variegare i soliti convenevoli che caratterizzano questo tipo di consessi.
Nessuno sembra eccitarsi più di tanto quando si pronuncia il nome di Greta Garbo, o si annuncia la trama del prossimo film giallo in produzione; i salotti di Gosford Park, esaurito il brevissimo effetto del ritrovarsi dopo qualche tempo, piombano nella più cupa noia, nella monotonia affogante. Il "salotto buono" appare di uno squallore esasperante.
Molto ma molto più interessante è invece l'industrioso microcosmo della servitù, collocata nel basement del fabbricato: un vero e proprio labirinto ove sono dislocate numerose sale per la cura degli effetti personali dei signori di sopra. Unica "zona franca", la cucina, il dominio incontrastato della cuoca, che è anche sorella della governante, dove non può comandare nessuno, nemmeno la bella moglie di Sir William.
Per la sua effervescenza, sebbene dominata anch'essa da convenzioni bislacche (assumono il nome dei padroni, si seggono a tavola secondo il grado sociale che non posseggono), l'area below the stairs ravviva ogni momento del film in cui l'attenzione del regista vi discende: nell'ambiente della servitù vengono fuori, tra gli inevitabili pettegolezzi, tutte le verità nascoste delle persone di sopra. Chi è ricco secondo le apparenze in realtà è venuto a Gosford Park in cerca di un posto di lavoro o di un socio in affari; chi è snob in reltà gode di un vitalizio di Sua Signoria e cerca di ottenere un aumento.
Si delinea così il reale motivo per cui gli ospiti sono lì: la battuta di caccia è solo un pretesto, tutti gli invitati hanno intenzione di ottenere qualcosa dal ricco padrone di casa.
Dal punto di vista sentimentale le cose sono ancora più complicate: si scoprono matrimoni infelici, amanti e concubine ufficiali ed ufficiose, e anche in queste storie al centro dell'attenzione è sir William.
A lui sono dovute le malinconie della moglie e della cognata (che ovviamente hanno sposato l'uomo che non desideravano), ma ancor di più, costui si rivelerà un tipaccio della peggiore specie, abituato in passato a sedurre le sue operaie e a costringerle ad abbandonare gli sventurati figli in un istituto dimenticato da Dio, se non avessero voluto perdere il posto. E tra la servitù si celano accuratamente alcune delle sue vittime.
In sostanza, le circostanze richiamano il celeberrimo "Assassinio sull'Orient Express" e molti altri romanzi della Christie: tutti sono potenziali assassini in quanto ognuno ha un movente.
In virtù di ciò, ipotizzare chi sia l'assassino diventa difficile, quasi impossibile, anche se alla conclusione della pellicola una mezza rivelazione proviene da una delle persone più improbabili.
Non sveleremo la fine di un giallo, e in realtà l'omicidio a Gosford Park costituisce un elemento quasi secondario della storia; ma quella particolare rivelazione spiega molte cose, e squarcia un velo che copriva due delle situazioni più scabrose celate fino a quel momento: il cuore di due mamme che hanno dovuto rinunciare al proprio bambino.
Una, coraggiosa, che preferì tenerlo pur perdendo il lavoro, ma che poi se lo vide portar via dalla scarlattina; l'altra, che dopo aver deciso di lasciarlo, aggrappandosi all'illusione di una fortunata adozione, si rende conto di averlo di nuovo ritrovato, di averlo lì, davanti agli occhi, ma sceglie di continuare a restare nell'ombra.
Forse, accetta la sofferenza più grande: avere la possibilità di abbracciare il proprio figlio e rinunciarvi per proteggerlo da lontano, senza che lui conosca mai il rischio corso da sua madre.
A Gosford Park, dunque, sono davvero pochi i personaggi cui è possibile attribuire univoca caratterizzazione, che mostrano apertamente il loro reale volto; molti hanno almeno due facce, qualcuno addirittura tre, e il cambio avviene quando meno lo si aspetta.
Il film, pur in una lenta cadenza di sequenze, non appare mai noioso o scontato proprio per questo; e può anche accadere che il personaggio all'inizio affascinante, diventi disgustoso in seguito per poi farsi riconquistare al termine.
L'ambientazione è superbamente curata nello stile degli anni Trenta, le tradizioni inglesi sono ricercate ed applicate ovunque (la colazione a letto solo per le donne sposate, il buffet dove al mattino ci si serve da soli). Un po' troppo in ridicolo appare la Polizia, ma si trova oggettivamente in difficoltà nell'accertare i fatti.
Tuttavia, al termine del film una considerazione sorge senza ombra di dubbio: la servitù è assolutamente spontanea nel conservare e dimostrare la propria dignità, costruita sulle solide basi del sudore e della fatica, e non teme di nutrire sentimenti forti perché semplici, dettati univocamente dal cuore. L'amore che non chiede, che aspetta il tempo giusto, che protegge, che copre, che difende, che spera. Tutti valori sconosciuti agli aristocratici che, ad un certo punto, dovendo per forza maggiore svelare le proprie pochezze, non eccellono certamente nella conservazione di una integrità tutta virtuale.
Uno scontro sociale, condito con una giusta dose di cattiveria dal regista, in cui la classe meno fortunata conquista una rivincita.
Due curiosità.
Le sequenze delle cena furono girate con differenti camere e con microfoni d'ambiente; tutti gli invitati dialogano proprio come se fossero a cena, senza aspettare il ciak del regista; in fase di montaggio poi è stata formata la sequenza dei dialoghi che comunque contengono in sottofondo gli altri.
Maggie Smith, ormai non proprio giovanissima, in questo film ha accettato di farsi invecchiare ancora di più dal trucco. Forse caratterizza il personaggio più piacevole e più complesso di quelli che si trovano above the stairs.
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Recensione a cura di antoniuccio - aggiornata al 25/11/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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