Recensione greed - rapacita' regia di Erich Von Stroheim USA 1924
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Recensione greed - rapacita' (1924)

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locandina del film GREED - RAPACITA'

Immagine tratta dal film GREED - RAPACITA'

Immagine tratta dal film GREED - RAPACITA'

Immagine tratta dal film GREED - RAPACITA'

Immagine tratta dal film GREED - RAPACITA'

Immagine tratta dal film GREED - RAPACITA'
 

Il nome Erich von Stroheim suggerisce a tutti gli amanti del cinema il personaggio indimenticabile del maggiordomo in "Viale del tramonto", oppure del comandante tedesco in "La grande illusione" di Jean Renoir. Pochi sanno che è anche annoverato fra i più grandi registi del periodo muto. E' stato senz'altro il primo che ha tentato di liberare l'arte cinematografica dalle strette del sentimentalismo e dell'eroismo, realizzando opere in cui non si nascondevano i sordidi meccanismi del reale e il prevalere dell'egoismo e della cattiveria nell'animo umano. Nei suoi film interpretava spesso anche personaggi che dietro l'apparenza di persone eleganti e di mondo mostravano un animo cinico, prevaricatore e violento. Si era così fatto la fama di regista e attore "maledetto", presentato dai produttori come l'uomo "che amerete odiare".

In realtà Stroheim aveva portato negli Stati Uniti dalla natia Europa tutta la disillusione e il pessimismo di chi aveva visto morire una nazione (l'Impero Austro-Ungarico) e un continente suicidarsi (la Prima Guerra Mondiale). Aveva capito benissimo cosa è che conta davvero in società e come questa funzioni veramente dietro le apparenze. Si era così dato la missione morale di smascherare tutte le falsità e le idealizzazioni. Per lui il principale scopo dell'arte cinematografica non doveva essere quello di creare profitti, ma quello di dire solo la verità e tutta la verità, anche la più scomoda.
In maniera cocciuta e orgogliosa lottò aspramente per realizzare i suoi intenti di artista, ma l'insuccesso delle sue opere più impegnate lo privò di qualsiasi canale finanziario, condannando così al fallimento il primo tentativo di creare un cinema di massa, basato consapevolmente su fini artistici ed etici e non di cassetta.

Quel che ci resta di questo audace tentativo di inaugurare un nuovo tipo di cinema è il film "Greed" (termine inglese che in italiano ha – guarda caso – tanti significati: rapacità, avidità, cupidigia, ingordigia). L'opera è la trasposizione del romanzo "Mc Teague" dello scrittore americano Frank Norris. Si tratta di uno dei maggiori esponenti della corrente del realismo naturalista americano. I suoi scritti si ispirano alle dottrine filosofiche di Charles Darwin e Cesare Lombroso e all'opera letteraria di Emile Zola. La visuale è quella del materialismo sociale e dell'inesorabile determinismo dettato dall'ambiente e dall'ereditarietà.

Il romanzo narra la storia di Mc Teague, un omaccione robusto e irascibile, di scarsa intelligenza ma tutto sommato mite e di buon cuore. Nato in ambiente povero e miserabile (il padre muore alcolizzato), viene inviato dalla madre in città a fare pratica di dentista. Lì conosce Trina, la fidanzata del suo miglior amico Marcus, e se ne innamora. Marcus, in maniera apparentemente generosa e liberale, "cede" la sua fidanzata a Mc Teague che può quindi sposare Trina.
Questa situazione "normale" viene sconvolta da un evento inaspettato: Trina vince 5.000 dollari a una lotteria. Sembrerebbe l'inizio della tranquillità finanziaria e della felicità e invece l'arrivo dell'oro trascinerà i tre protagonisti in una spirale fatta di gelosie, deperimento morale, abbrutimento fisico e materiale e infine alla violenta distruzione reciproca.
Questa è la storia; in realtà la vicenda è una semplice traccia per dipingere in maniera distaccata e impassibile un intero ambiente sociale (quello dei bassifondi) e l'umanità degradata e viziosa che ci vive; un po' come aveva fatto Zola con "L'assommoir" a cui "Mc Teague" stilisticamente si ispira.

Stroheim coglie il succo dell'opera e mira proprio a riprodurre nel suo film l'aspirazione a rappresentare nella cruda verità tutti i meccanismi di un'intera società. Decise quindi di non tralasciare niente delle immagini e degli scenari che il testo di Norris gli suggeriva. Ne venne fuori un'opera filmata di 42 rulli di pellicola, della durata di quasi 9 ore. Chi ebbe la "fortuna" di vederlo nella sua integrità originale ne uscì fuori come frastornato, con la sensazione di avere vissuto una seconda vita.
Lo stesso Stroheim si rese conto che non poteva proporre al pubblico un'opera del genere e si rassegnò a ridurlo a una durata di circa 4 ore, da dividere in due proiezioni separate. A questo punto intervenne però il produttore con ben altri intenti (quello di renderlo un film commerciale) e togliendo la pellicola dalle mani di Stroheim, la sforbiciò impietosamente fino all'attuale moncherino di poco più di 2 ore. Il film uscì nelle sale nel 1924 (misconosciuto da Stroheim) e si risolse in un clamoroso insuccesso.

"Greed" è quindi una delle opere più martoriate della storia del cinema, l'ombra di quello che avrebbe potuto essere,  il mancato capolavoro di un genere cinematografico (il cinema naturalista) che non è mai nato.
Nonostante che noi adesso disponiamo solo dei riflessi di quella che doveva essere una grande luce, riusciamo lo stesso a riconoscere e ad apprezzare i grandi meriti e le innumerevoli capacità registiche di Erich Von Stroheim.

Tagliate tutte le scene descrittive degli ambienti, tutte le sottotrame e i personaggi secondari rivelatori di una società materiale e degradata, ci rimane la nuda azione riguardante i tre personaggi principali. Ed è proprio nella rappresentazione dei caratteri che si riconosce la fine e abile mano del grande regista, che evita accuratamente ogni abbellimento, idealizzazione o sdolcinatura nei personaggi.

Mc Teague è un omone rude e tenero, con i ricci biondi e due occhi che, nonostante il bianco e nero, si intuiscono di un blu profondo e un po' inquietante. Ha sempre qualcosa di trattenuto, di instabile e di perturbante dietro quell'apparenza di mite e timido bambinone. E' il fosco e violento retroterra ereditario che inevitabilmente salterà fuori e prenderà il sopravvento, non appena l'ambiente si rivelerà sfavorevole e difficile.
L'attore che lo impersona (Gibson Gowland) ce lo propone in maniera molto convincente e naturale, riuscendo a esprimere perfettamente la doppia natura mite-violenta e l'alternarsi degli stati d'animo nel personaggio.
Zasu Pitts interpreta Trina in maniera enfatica e teatrale, come usava spesso nei film muti dell'epoca. Riesce comunque a trasmettere bene la natura di persona chiusa in se stessa che ha Trina, timorosa di espandersi ad esempio con il sesso. Proprio questa tara psicologica di persona nemica degli svaghi e del superfluo la porterà alla mania morbosa dell'avidità e del culto dell'oro. Strabiliante la trasformazione anche fisica che subisce il personaggio dopo la vincita. Da delicata e timida ragazza si trasforma in una dura, arcigna e insensibile megera, la quale passa il tempo ossessionata dall'accumulo dei soldi. A un certo punto arriva quasi ad amare fisicamente il denaro, lo palpa in continuazione, lo sparge sul letto, ci si corica insieme.

Stroheim utilizza un metodo di ripresa che alterna a campi medi o lunghi, frequenti primi o primissimi piani. Riesce così a ricreare perfettamente l'atmosfera e il pathos delle scene. Curatissime poi le scenografie, sempre di luoghi comuni, trattati senza nessuna attrattiva. Del resto nel film quasi sempre piove o è inverno. Una parte importante e suggestiva la svolgono le frequenti simbologie e le scene oniriche.
Insomma, nonostante la dispersione di scene e situazioni, Stroheim riesce a dare unitarietà di atmosfera a tutto il film, creando una sottile tensione drammatica negativa, come una specie di aspettativa di imminenti eventi tragici o di sfortune. La vicenda stessa ha questo tragico incedere, fino alla memorabile, terribile e indimenticabile scena conclusiva.

La resa dei conti finale fra Mc Teague e Marcus avviene nella Death Valley, uno dei luoghi più inospitali del mondo. La mdp di Stroheim ce la rende in tutta la sua desolazione e nella sua nuda vastità abbacinante e senza vita. E' in questo luogo antipoetico e ostile che avviene uno dei duelli più anticonvenzionali, disperati e antieroici della storia del cinema. La lotta avrà un esito drammaticamente e crudelmente beffardo per il vincitore. Gli ultimi minuti del film trasmettono poi un intenso e fortissimo senso di sconfitta, di rimpianto, di dolore immenso per una vita buttata via, una tristissima e lancinante sensazione di impotenza. L'ultimo fotogramma dà poi il definitivo e tragico suggello a uno dei primi grandi finali non lieti della storia del cinema.
Sì, è proprio questo l'enorme merito di Stroheim, quello di avere avuto il coraggio di consegnare allo spettatore una storia dura e senza speranza; un modo per rivelarci le amare verità dell'esistenza umana.

Questo è il messaggio del primo grande "pessimista" della storia del cinema.

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Recensione a cura di amterme63 - aggiornata al 12/11/2010 10.14.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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