Recensione guida per riconoscere i tuoi santi regia di Dito Montiel USA 2006
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Recensione guida per riconoscere i tuoi santi (2006)

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locandina del film GUIDA PER RICONOSCERE I TUOI SANTI

Immagine tratta dal film GUIDA PER RICONOSCERE I TUOI SANTI

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"Guida per riconoscere i tuoi santi", o forse una guida per riconoscere le persone che ti vogliono bene.
Le persone alle quali pensi quando hai un problema, alle quali puoi confidare i segreti più intimi, senza timore di essere giudicato; coloro con cui puoi arrabbiarti, sfogarti, perdere la pazienza, coloro con i quali puoi condividere speranze e amarezze, gioire o soffrire insieme, che ti restano vicino non per cosa hai, ma per ciò che sei; che provano gioia a stare con te, anche se non condividono necessariamente tutti i tuoi interessi, coloro ai quali possiamo dare tutta la nostra fiducia sicuri che non ci tradiranno mai, con i quali si crea una perfetta sintonia per cui l'altro sa già cosa vuoi dire, senza grandi discorsi, e ti resta vicino anche quando stai in silenzio.
Chi non vorrebbe una guida per riconoscere le persone che ci vogliono bene veramente?
Anche se sono i ragazzi del branco, gli amici che lasci per fuggire da una realtà opprimente; anche se sono un padre che ti adora ma che ti vorrebbe diverso e non vuole lasciarti partire per inseguire i tuoi sogni; anche se sono la ragazza che ami ma solo a modo tuo; anche se sono le strade che devi percorrere per fuggire lontano da tutta la melma che ti circonda e nella quale qualcuno vorrebbe farti affogare. Una strada non sappiamo quanto giusta o sbagliata, ma pur sempre una strada: la tua strada. Una strada da percorrere fino in fondo per arrivare, alla fine, a riconoscere i tuoi santi.
I tuoi santi! Chi? Gli amici? Gli affetti? O coloro che ti hanno permesso di scappare da una periferia anonima e violenta?
Un mondo chiuso, una sorta di ghetto dove ad un certo momento senti che ti manca l'aria, dove improvvisamente ti senti un estraneo. E decidi di fuggire. Lontano. Da tutto e da tutti. Per seguire i tuoi sogni. Verso l'ignoto, verso la libertà.
E Dito un giorno non ce la fa più e scappa. Lascia tutto, la famiglia, gli amici, la ragazza che ama e scappa. Verso la California, verso l'American dream.

Dito (Dito Montiel, regista, sceneggiatore, autore del romanzo da cui il film è tratto, è lui che vorrebbe una guida per riconoscere i suoi santi) è oggi uno scrittore di successo che vive a Los Angels, in California.
Di ritorno da un reading, nel corso del quale ha letto alcuni brani del suo romanzo, "A guide to recognizing your Saints", appunto, ascolta sulla sua segreteria telefonica un accorato appello della madre che lo esorta a tornare immediatamente a casa perché suo padre ha avuto un grave malore e sta morendo in ospedale.
Il viaggio a ritroso, dalla California verso il Queens, il grigio e degradato quartiere di New York dove è nato e cresciuto e dal quale è fuggito 15 anni prima per salvarsi dall'emarginazione, diventa per Dito l'occasione per ripensare al suo passato e fare un bilancio della sua vita.
Ritornare significa far riemergere i ricordi angosciosi dell'ultima estate passata ad Astoria, nel Queens, le grigie giornate segnate da violenza e pestaggi, litigi coi genitori e microcriminalità, primi amori e cruda scoperta del sesso, amicizie difficili e consumo di droga; quando ancora adolescente scorazzava per le strade del quartiere insieme agli inseparabili amici di sempre, Antonio, Giuseppe e Nerf.
Antonio, il volto perennemente segnato dalle percorse del padre, spavaldo e impulsivo, bullo fragile e violento, generoso e protettivo al punto da mettere la sua vita all'inferno per salvare quella dell'amico; Giuseppe, fratello minore di Antonio, costantemente alla ricerca di conferme, nella continua necessità delle attenzioni del fratello a cui vorrebbe tanto assomigliare; Nerf, il terzo vertice del triangolo che stringe in una morsa affettiva il protagonista e gli impedisce di andare via da quel sobborgo per realizzare i suoi sogni. Compagni di vita e di esperienze, figure di riferimento che gli vogliono bene ma non gli permettono di aspirare ad una vita migliore.
Le figure femminili sembrano ombre sbiadite che non si elevano mai al di sopra della marginalità: la madre, succube del marito, non riesce a mediare tra l'intransigenza del padre e la voglia di evasione del figlio; Laurie, la giovane fidanzatina, sensuale e insicura, simbolo dell'innocenza violata. La sua ansia di essere accettata si traduce, spesso, in atteggiamenti eccessivamente sensuali e provocanti che trovano terreno fertile negli ormoni in subbuglio di adolescenti emarginati e anche un po' reietti.
Il caldo torrido dell'estate del 1986 che precede la fuga è insostenibile come il bisogno di affrancarsi dalla difficile realtà del suo quartiere, caratterizzata dalla drammatica assenza di futuro, ma soprattutto da un contesto familiare mosso da buone intenzioni ma opprimente e castrante, che gli tarpa le ali e gli impedisce di crescere.

La sua adolescenza è segnata da scorribande e pestaggi, litigi col padre e un senso di frustrazione per un futuro senza prospettive, dove i sogni muoiono prima ancora di nascere e ogni stimolo creativo è messo a tacere dalle esigenze primarie di sopravvivenza. Ma è anche il periodo dei primi amori, delle amicizie pericolose, del consumo di droghe e delle prime, brucianti, esperienze sessuali. La sua casa è la strada dove si consumano le peggiori esperienze della vita; il suo mondo è il difficile rapporto con il padre, il suo vissuto è una realtà fatta di violenze e fragilità, di sconfitte e di rivolte, di sogni e speranze puntualmente tradite.
In questo contesto Dito va alla continua ricerca di una minuzia di normalità che gli faccia sperare un futuro meno squallido del presente, normalità che quella condizione e quell'ambiente non gli consentono di trovare. Da un lato la scuola che si offre come un mezzo per affrancarsi da una situazione avvilente, dall'altro la famiglia che lo ama in maniera totale, ma che non gli concede un seppur minimo di spazio vitale. Come quasi tutti i ragazzi della sua età, Dito non ha ben chiaro cosa farà da grande, ma ha ben chiaro l'obiettivo di non farsi sopraffare dal degrado urbano e sociale e dalla violenza che scorre tra le bande del quartiere in perenne e sanguinoso conflitto fra di loro.
Poi l'incontro con un nuovo compagno di classe, Mike, un ragazzo appena arrivato dalla Scozia, come lui ricco di sogni e di aspirazioni, gli fa capire che un'altra vita è possibile e che la strada per l'emancipazione non passa necessariamente attraverso la giungla del Queens.
Cambiare si può, insomma, ma è necessario rompere con il passato, con la famiglia, con gli amici del gruppo, tanto compatto quanto autodistruttivo.
Ma la rivalità con un'altra banda del quartiere finirà per segnare la vita di tutti e porre definitivamente fine all'infanzia di Dito e dei suoi amici.

Con questa opera prima l'eclettico Dito Montiel (modello per Calvin Klein, cantante rock, musicista, autore del libro da cui il film è tratto) stupisce per il modo sapiente con cui usa la macchina a mano ogni qualvolta vuol trasmettere la tensione di un litigio o la violenza bruta di un regolamento di conti con contorno di urla e turpiloquio. Stupisce per il modo con cui riesce a catturare lo spirito dell'adolescenza o cogliere l'essenza di quell'età prima che la vita ci faccia scoprire il valore di quanto ci siamo lasciti dietro le spalle per inseguire le nostre ambizioni.
Montiel ricorre inoltre a diversi espedienti (autenticità di accenti, momenti stranianti, fatti che sembrano nascere lì direttamente di fronte alla macchina da presa, facce cui bastano pochi tocchi per delineare i caratteri che le sottintendono, e le fisionomie che le definiscono) per far interloquire i suoi personaggi direttamente con gli spettatori, e rendere così nella sua interezza tutta la drammaticità del suo libro.
Il montaggio velocissimo e una colonna sonora dilatata dalle tipiche musiche statunitensi degli anni ‘80, contribuiscono a dare al film un andamento vorticoso e rapido, quasi nevrotico, che si contrappone alle poche ma significative scene di romanticismo sentimentale.

Temi centrali del film sono i problematici rapporti tra padre e figlio, il difficile mondo degli adolescenti , il difficile modo di essere adolescenti, con le nostre storie e le nostre vicende, le nostre relazioni e i nostri affetti familiari, così forti e così fragili allo stesso tempo, e così facili da spezzare.
Una storia di colpe irrisolte dunque, e una riflessione sul complesso e arduo compito di diventare adulti, a partire da una rottura. Perché non è poi così difficile dire addio, è ciò che ci lasciamo alle spalle che è pesante.

Molto bella e suggestiva l'atmosfera anni '80 che si respira nell'arco di tutto il film, e che ci fa ritrovare il sapore amaro di quell'altra America: quella dei sobborghi anonimi e violenti; dei quartieri degradati dalla disoccupazione e dalla povertà, quella malfamata raccontata dai primi Scorzese e Cassavetes, dalle mille etnie, delle ragazze cresciute troppo in fretta, delle famiglie abbrutite socialmente e moralmente; quella delle gang giovanili, delle madri succubi dei mariti e dei padri incapaci di imporre regole condivise.
C'è l'America di "Stand by me" e di "Fa' la cosa giusta", ma anche di "Taxi Driver" e di "Bronx", di "Slepeers" e di "I ragazzi della 56a strada", di "Rusty il selvaggio" e di "Quei bravi ragazzi". C'è tanto Loach senza politica e tanto Lee senza razze, ma soprattutto c'è lui, Dito Montiel, con la sua umiltà e la sua capacità di raccontarsi, con la sua voglia di mettere a nudo la sua anima e di ritrovare le sue radici, e di riuscire a riconoscere i suoi santi.

"Nonostante abbia lasciato tutti, non sono stato lasciato da nessuno", riuscirà alla fine ad esclamare riconoscendo che, nonostante abbia abbandonato tutti, nonostante abbia fatto i soldi, nonostante abbia ottenuto ciò che voleva, i suoi affetti, la sua gente, le sue radici, sono sempre lì, ad Astoria nel Queens.

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 02/01/2012 12.23.00

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