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"Quando il cinema diventa leggenda". E' la scritta che compare sulla locandina di "Heat". E' vero, perché questo film è un capolavoro. Attori come Robert De Niro e Al Pacino, più tutta una serie di comprimari di non poco conto, una regia in stato di grazia, delle sequenze indimenticabili, una fotografia bellissima, del fidato di Michael Mann, Dante Spinotti. "Heat" è praticamente il poliziesco perfetto.
Partiamo dalla trama. La storia è classica. C'è un rapinatore, Neal Mcloley, interpretato da De Niro, che insieme ai propri compagni, vuole rapinare una banca. Poi c'è un poliziotto, Vincent Hanna, interpretato da Al Pacino, che vuole fermarlo a tutti i costi. I due si sfidano e giocano al gatto e al topo. Raccontato così potrebbe sembrare una banale storia di guardie e ladri, come troppo spesso si vedono al cinema, fin dagli anni d'oro di Hollywood. Invece la pellicola di Mann è di una complessità estrema.
Il regista narra in tre ore di film le storie di tutti i personaggi che sono coinvolte nella vicenda. Vi è da parte di Mann un'attenta analisi psicologica, che coinvolge gran parte dei protagonisti. Ognuno di essi ha i propri problemi, la propria storia, il proprio passato. Ognuno affronta una diversa realtà quotidiana. C'è il rapinatore, uomo solitario dal passato misterioso, che un giorno incontra una donna di cui si innamora. Eppure la storia si rivela difficile perché incompatibile con la sua filosofia. "Una volta uno mi ha detto "Non fare entrare nella tua vita niente da cui tu non possa sganciarti in trenta secondi netti se senti puzza di sbirri dietro l'angolo"." Questa è la frase con cui De Niro racconta a Pacino la storia che sta vivendo.
Poi c'è il poliziotto, Vincent Hanna, tre matrimoni alle spalle, e uno molto vicino al fallimento, con una figliastra con un sacco di gravi problemi.
E poi ancora c'è l'altro rapinatore interpretato da Val Kilmer, con una moglie e una figlia e una passione per il gioco d'azzardo.
E oltre a questi protagonisti ci sono anche una miriade di altri personaggi co protagonisti: il nero appena uscito di prigione che si fa coinvolgere nella rapina, gli altri 2 rapinatori, Tom Sizemore, che si fa chiamare Viscido e il quarto membro della banda, interpretato da Danny Trejo. E poi ancora Roger Van Sent (William Flethcer) e l'organizzatore dei colpi che da protezione ai fuggitivi (John Voight).
Tre ore di film bastano appena per raccontare e intrecciare le vicende che vivono tutti i personaggi coinvolti. Si può capire dunque che "Heat" non è il solito poliziesco guardia e ladri all'americana. Anzi le caratteristiche che presenta sono del tutto insolite nel panorama hollywoodiano di oggi. Il tutto viene fatto con una perfetta scelta dei tempi, il raffronto tra i due protagonisti avviene prima a distanza e poi diventa progressivamente sempre più ravvicinato, fino alla sequenza "simbolo" del film in cui De Niro e Pacino si siedono come vecchi amici ad una tavola calda a bere un caffè. In questa scena i due si raccontano le loro vite, e scoprono che, pur essendo seduti ai lati opposti di un tavolo, hanno due vite, travagliate e con grosse difficoltà, ma del tutto simili. Questa famosa sequenza in cui la guardia e il ladro si lanciano i rispettivi avvertimenti e si sfidano, è anche importante perché riunisce allo stesso tavolo in pratica i due migliori attori americani, Pacino e De Niro che per la prima volta si trovano faccia a faccia.
Oltre a questa, centrale, nel film assistiamo a diverse sequenze da antologia. La prima rapina è un assaggio di quella che c'è alla fine. Entrambe presentato un realismo molto insolito e impressionante. Più che una sequenza d'azione si tratta di 2 vere e proprie azioni militari che finiscono in una carneficina. Mann non parla assolutamente di eroismi. Tutti i personaggi presentati sono infatti dei perdenti. C'è chi non può vivere una propria vita privata per la professione che fa, chi trascura la propria famiglia, e chi ancora si gioca gran parte degli "incassi" delle rapine al casinò. Questo si riflette anche sulle scene delle rapine. Mann punta più possibile a costruire delle sequenze spettacolari, senza mai strafare, e senza particolari estetismi, ma sempre estremamente realistiche. Un senso di amarezza pervade lo spettatore quando il primo dei 5, viene colpito dalle pallottole e la sua fidanzata scopre l'accaduto al telegiornale.
Un'altra sequenza molto bella è quella dell'incontro tra Amy Brenneman e Robert De Niro, prima nella biblioteca e poi a casa di lui.
C'è un romanticismo quasi inesistente nel cinema hollywoodiano odierno. Il loro discorso sul balcone dove di sfondo si vedono tutte le luci della città è molto suggestivo. Il tutto è aiutato sicuramente dalla fotografia molto elegante di Dante Spinotti, costante collaboratore di Mann, e poi anche dalla ottima colonna sonora, che si sposa benissimo con le atmosfere della pellicola.
Infine un'altra scena molto bella è quella finale nel quale Ashley Judd fa segno a al marito Kilmer di scappare. L'espressione piena di amarezza dell'attore in quel momento è molto significativa. Non viene catturato ma anche lui ha perso, come i suoi compagni. Non potrà più rivedere ciò a cui teneva di più, sua moglie e sua figlia.
Insomma come in un film di Sam Peckinpah, Michael Mann parla di perdenti, e non fa alcuna distinzione tra i buoni e i cattivi. La scena in cui Pacino e De Niro parlano in un bar ne è la prova.
I due si sfidano, dicono quello che farebbero, raccontano la propria vita, ma non sono poi molto differenti. Entrambi a causa della loro "professione" trascurano i propri familiari o chi li ama.
Veniamo alla regia e agli attori. Michael Mann, come nel resto degli anni '90 è in stato di grazia. La sua regia è perfetta, e adeguata alla situazione. Non ci sono particolari movimenti della macchina da presa se la situazione non lo richiede. C'è al contrario un maggiore dinamismo se ciò si dimostra necessario. Le influenze poi sono molteplici. Come già nel precedente "l'ultimo dei Mohicani" molti movimenti della camera o la grandiosità di qualche sequenza ricordano Kurosawa.
E che ne dite poi dell'indifferenza con la quale i quattro rapinatori non rinunciano alla rapina programmata, pur sapendo che i poliziotti li pedinano e che quasi sicuramente sarebbe stato un fallimento? Ricorda secondo me il Sam Peckinpah di "Il mucchio selvaggio" nella famosa scena finale, nella quale i 4 sfidano con disinvoltura un esercito di messicani, pur sapendo che sarebbero andati incontro a morte sicura. Anche nelle rapine il punto di riferimento per Michael Mann è sempre Sam Peckinpah.
Anche altri autori, sia europei che americani, piacciono a Mann.
Ovviamente c'è molto di Melville in "Heat", nel delineare i personaggi e nel pessimismo di fondo. Il Neal Mcloey di De Niro ricorda molto "Frank Costello" e altri anti-eroi tipici in Melville. Per non parlare poi del Roy (Humprey Bogart) nel film "Una pallottola per Roy" di Raul Walsh.
Roy come Mecoley alla fine va incontro al proprio destino.
La cura e il professionismo che caratterizzano sia i rapinatori che preparano il colpo sia i poliziotti che tentano di sventarlo, ricordano molto alcuni autori americani classici. Il professionismo è uno dei temi portanti nel cinema di Howard Hawks, che in più di una occasione Mann ha detto di stimare parecchio.
E poi ancora i due inventori del genere, Stanley Kubrick con il suo "Rapina a mano armata" e soprattutto John Huston, con "Giungla d'asfalto". In "Heat" c'è pietà per i personaggi di cui si narrano le vicende, come quasi sempre in Huston. Inoltre assistiamo alla compilazione di un mosaico molto complesso da parte di Mann che ricorda in qualche modo la scomposizione temporale del capolavoro di Kubrick.
Lo stesso discorso va fatto per l'epilogo. Come nei due film citati, entrambi interpretati da Starling Haiden, anche nel film di Mann il tentativo di fuga si rivela un totale fallimento. Stessa cosa accade nell'altro migliore poliziesco degli anni '90, il "Carlito's Way" di Brian De Palma.
Non possiamo prescindere, infine, da molte altre similitudini con pellicole e autori anche più recenti. Il rapporto particolare di stima reciproca e di forte rispetto, (anche del regista nei loro confronti) è la caratteristica principale di "The Killer" di John Woo. Un rapporto simile che lega i due protagonisti vi è anche in altre pellicole precedenti, come quello fra William Petersen e Willem Defoe in "Vivere e morire a Los Angeles" di William Friedkin, altro superbo poliziesco del decennio precedente, in "Point Break" di Kathrin Bigelow, dove il poliziotto a poco a poco finisce per sposare le stesse idee anarcoidi del criminale, e perfino in pellicole completamente diverse, come nei "Duellanti", il magnifico esordio di Ridley Scott.
Insomma, come dicevo, "Heat" è un poliziesco molto atipico nel panorama hollywoodiano moderno. I suoi modelli sono classici, sia americani che europei. L'attenzione ai particolari, lo studio delle psicologie dei personaggi, e soprattutto, la capacità di Mann di essere il più realistico possibile, lo rendono uno dei thriller romantici per eccellenza.
Il successo di "Heat" è dovuto chiaramente, oltre che alla grande regia di Michael Mann, anche alle grandi interpretazioni dei protagonisti. Difficile, se non impossibile, scegliere tra Robert De Niro e Al Pacino.
Si può soltanto dire che Al Pacino ha la parte che più gli è congeniale, sempre costantemente sopra le righe. E' una parte che ci ha già regalato in più occasioni, ma che solo lui può fare alla perfezione.
De Niro, invece ha una ruolo solo apparentemente più semplice. Di fronte alla grandezza di Al Pacino che domina le scene, De Niro, da grandissimo attore, recita in una parte diametricamente opposta. La sua interpretazione è molto più controllata e meditata. Per questo a mio parere è impossibile fare un paragone tra i due attori.
Un altro merito di "Heat" è quello di dare molto spazio ai comprimari. Nessuno degli altri attori sfigura di fronte ai due mostri. Val Kilmer fa una bella parte ed è assolutamente perfetto. Tom Sizemore è un ottimo caratterista, e a mio parere è un buon attore. Tra l'altro nel '95 ha preso parte anche a un altro film magnifico, "Strange Days". Speriamo che abbia un ruolo da protagonista nei prossimi anni. Inoltre nel film ci sono altri ottimi caratteristi, come l'onnipresente Danny Trejo, e Wes Studi. Piccola parte poi per un altro grande del cinema, il grande John Voight.
Riguardando il film oggi, insieme al resto della filmografia del regista, ci si può rendere conto che forse "Heat" è la summa della poetica manniana. Questo è testimoniato anche dal fatto che dopo il '95, il regista decise di cambiare decisamente direzione e abbandonare il poliziesco, prima con un film inchiesta sulle multinazionali del tabacco, "Insider" e poi con la biografia di Cassius Clay, nel film "Ali", ma non per questo inseguendo risultati inferiori.
Forse la perfezione stilistica Mann l'ha raggiunta totalmente in "Manhunter", che molti critici affermano essere il suo film migliore. Gli stessi hanno spesso criticato al regista il finale di "Heat", perché poco attinente con la visione pessimistica del resto del film. Se vogliamo è l'unico difetto discutibile di una pellicola praticamente perfetta.
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Recensione a cura di Requiem - aggiornata al 05/04/2004
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