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Voto Recensore: | 8,00 / 10 | ||
E' da apprezzare l'estrema poliedricità di un regista come Richard Linklater, capace di passare da un genere all'altro con molta dimestichezza ed allo stesso tempo riuscire a miscelarli all'interno di uno stesso film con altrettanta maestria, come nel caso di "Hit Man", presentato Fuori Concorso all'80esima edizione della Mostra di Venezia. Un film che dopo averlo visto farà parte dell'immenso calderone di diversi film passati nelle rassegne precedenti in cui ci si domanda il perché non siano stati messi direttamente in Concorso come nel caso di Hokage di Tsukamoto solo per limitarci all'ultima kermesse veneziana.
Gary Johnson è un professore di filosofia all'università di New Orleans, un tipo ordinario che però nasconde una doppia identità, visto che lavora sotto copertura per la polizia fingendosi un sicario in modo da far arrestare in anticipo coloro che vorrebbero commissionare un omicidio. Un giorno a uno degli incontri registrati dalla polizia si presenta però una ragazza indifesa, di cui Gary si innamora all'istante.
Lo spunto per la storia di "Hit Man" risale ad un articolo di un giornale texano che Linklater lesse vent'anni prima, nel quale raccontava la storia di Gary Johnson, un professore universitario lavorava per la polizia fingendosi un sicario a pagamento e riuscendo, tramite delle registrazioni ad incastrare i potenziali mandanti di un omicidio. Ovviamente della storia rappresentata in "Hit Man" c'è solamente lo spunto. Linklater lo usa per una riflessione nient'affatto banale sull'identità, su come ci vediamo, su ciò che vorremmo essere e su come ci vedono gli altri.
Gary Johnson è un timido professore di filosofia dalla vita dimessa, che passa quasi inosservato agli occhi dei propri studenti che lo descrivono come una persona grigia nella sua prevedibile ordinarietà. Vive da solo in compagnia dei suoi due gatti e per arrotondare lavora per la polizia nell'intercettare i potenziali mandanti di omicidi. C'è chi vuole uccidere una moglie, un capoufficio, un marito. Un'umanità che varia dalla meschinità pura alla disperazione di una scelta così estrema.
Gary rimane sempre dietro le quinte, fino a quando non è costretto, causa un imprevisto logistico, ad andare in prima linea ed interpretare il killer, riuscendoci in maniera talmente credibile ed imprevedibile per lo stesso Gary, tanto da essere "promosso" al front face di questa piccola task force. Il "killer" all'interno di Gary ha fatto capolino.
"Vivere pericolosamente", è ciò che enuncia Gary nelle sue lezioni ai suoi alquanto svogliati studenti, tuttavia è lui il primo a non farlo, in fondo non infelice della sua vita abbastanza piatta senza guizzi. E' la sua confort zone ed è moderatamente soddisfatto di ciò che ha, ma quella componente repressa della sua personalità che vuole emergere troverà sfogo attraverso il suo alter ego di killer prezzolato. Ed è sorprendente non solo nella sua convincente trasformazione, ma anche di come viene visto dai suoi interlocutori. La figura del sicario che incarna pesca direttamente nell'immaginario collettivo, soprattutto quello cinematografico e Linklater calca molto, ma non a sproposito, questo suo aspetto puramente cinefilo facendo di Ron un poutporri degli assassini visti su grande schermo. La capacità di trasformazione di Gary in killer è godibilissima e divertente in ogni circostanza, però "Hit Man" non cade nella trappola della ripetitività perché inserisce nel contesto l'elemento romantico.
Al suo cospetto si presenta una donna, la bella e sensuale Madison, che vuole i suoi servigi di killer perché vessata dal marito violento. Per Gary che si presenta come Ron è il classico colpo di fulmine in quanto cerca di dissuadere la donna dai suoi propositi e proteggerla dalle conseguenze di quell'atto. E' la molla dove Ron espande il suo confine fino a quel momento limitato alle intercettazioni per incastrare i vari mandanti di possibili omicidi. Ron comincia ad "invadere" il territorio fino a quel momento controllato di Gary, ponendolo in una situazione di confine potenzialmente pericolosa perché in fondo potrebbe essere un potenziale complice di eventuali crimini commessi dalla donna, ormai disperata per il suo ménage coniugale senza via d'uscita.
Se gli altri killer erano identità fugaci, in pratica figure usa e getta che avevano lo scopo di incastrare potenziali mandanti di un assassinio, la nuova identità di Ron mostra il protagonista molto più a suo agio anche nella vita reale. In parole povere esporta alcuni caratteri di Ron nel suo quotidiano, tanto da essere notato, in positivo, sia dai suoi studenti che nel suo lavoro in polizia.
Le sue lezioni all'università non sono altro che gli atti in cui idealmente si divide il film ed una lezione chiave è quella che spiega l'eterno conflitto fra il Super-Io e l'Es, cioè tra la propria coscienza che ci premia se ci comportiamo bene con noi stessi ed a livello sociale con la nostra parte più istintiva, dei nostri bisogni la quale è incurante delle conseguenze di ogni nostro comportamento. L'Io semplicemente è un compromesso fra questi due elementi e Gary, attraverso la personalità di Ron, sta riposizionando la propria stessa identità.
Gary non pare interessato, anche nel dialogo con la ex moglie, ad intessere una relazione con un'altra donna, ma per Ron è il contrario. Comincia a frequentare Madison che sta divorziando dal marito fino diventare il suo nuovo fidanzato. Affronta il suo quasi ex all'uscita di una discoteca e lo allontana sotto la minaccia di una pistola. Il guaio è che poi se lo ritrova come potenziale mandante per uccidere la moglie e solo a vedere Gary/Ron scappa a gambe levate. Il personaggio del marito, occorre dire, è quanto di più tossico si possa trovare in giro: figlio viziato di una ricca famiglia, violento, maschilista, alcolizzato e dipendente da droghe. Non certo uno stinco di santo.
Nel momento in cui quest'ultimo viene trovato morto, ipotizzando un litigio con un pusher Gary/Ron va in corto circuito quando viene a sapere che è stata la stessa Madison ad ucciderlo giustificandosi con la legittima difesa, alquanto labile. E' il momento del Rubicone per il personaggio principale: varcarlo o meno, affrontando le conseguenze della sua scelta, qualunque essa sia.
Una sceneggiatura di alta qualità, questa è la caratteristica che balza all'occhio di "Hit Man", scritta dallo stesso Linklater e da Glen Powell, l'attore protagonista. Un elemento che valorizza innanzitutto la miscela di genere che spazia dalla commedia al noir, dal genere romantico al thriller psicologico, ottimamente assemblati da dialoghi brillanti e da un buon ritmo che valorizza non solo la fruibilità e la mancanza di tempi morti, ma anche e soprattutto la bravura degli attori. Glen Powell da belloccio di commedie romantiche e dal ruolo in Top Gun: Maverick, si mostra come un attore a 360 gradi con personaggio complesso e stratificato, coadiuvato da Adria Arjona, personaggio sensuale da mozzare il fiato, ma capace di mostrare sia il lato fragile che quello più determinato della sua personalità.
Basta vedere il loro perfetto affiatamento nella sequenza in cui viene imbastita una messa in scena di una falsa intercettazione tesa a far confessare Madison del delitto di suo marito. Un gioiello di montaggio, ritmo e brillantezza dei dialoghi da applausi per la sua perfetta resa su schermo.
Un film che fondamentalmente è una commedia ma che travalica il genere stesso. Non è sicuramente un film disimpegnato, ancor meno banale e rimane, come detto all'inizio, il rimpianto di non averlo visto nella categoria del concorso a Venezia, in cui poteva dire la sua in qualche categoria.
"La cavalleria è morta ma non l'ho uccisa io"
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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 22/06/2024 13.01.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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