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Il film affronta la storia del pugile afro americano Rubin Carter detto Hurricane, quasi campione mondiale dei pesi medi, che venne arrestato insieme ad uno sconosciuto (John Artis) con la tuttora non dimostrata accusa d'omicidio. Durante la detenzione, Carter scrisse dell'irregolare vicenda giudiziaria subita in un libro che fece parlare e cantare personaggi di spicco come Cassius Clay e Bob Dylan. Dopo 22 anni di reclusione il suo caso fu riesaminato senza pregiudizi razziali e venne decretata la sua piena innocenza.
Poteva una storia del genere, in cui il balletto giustizia- sopraffazione si muove tanto bene, non trovare il suo produttore cinematografico? Certo che no, ed infatti eccolo qua: "Hurricane" il grido della "libertà"!
Per il semplice fatto che si basa su una storia reale questo film non si fa solo guardare con interesse, ma concede ad un animo volontariamente limpido il coinvolgimento emotivo necessario che porta inevitabilmente ad inumidire l'occhio di fronte a gravi ingiustizie, nonché a tirare il sospiro consolatorio e a mandare a letto il pensiero fiducioso nelle umane sorti collettive.
Eppure tale grande speranza, figlia della realtà, viene banalmente ricomposta dalla concernente versione filmica.
Decisamente troppo riguardosa questa prova registica di Norman Jewison, che 26 anni prima ci aveva abituati a ben altri voli pindarici; forse la standardizzata attenzione con cui ci mostra la vita dello sventurato Rubin Carter è solo un tentativo di redenzione per la geniale provocazione di Jesus Christ Superstar? Questa sembrerebbe l'unica spiegazione possibile per cui il film non si solleva mai al di sopra di un certo tono convenzionale.
La sceneggiatura, facilmente ispirata e desunta dai libri acchiappa sogni dei due protagonisti (Rubin Carter e Lesra Martin), quindi già di per sé poco obiettivi, viene forzata sulla percezione da film con bollino verde.
Come altrimenti spiegare la facilità con cui pure un bimbo con poca esperienza di vita riuscirebbe ad indicare i buoni e i cattivi? Questa didascalica divisione dei bravi pro Hurricane dai malvagi avversi è in generale abbastanza svilente per lo spettatore e soprattutto non troppo inerente alla reale storia che si voleva raccontare.
Passi l'innocenza di Carter, a cui infine si crede per forza di eventi (o per buona fede, o per non sentirsi razzista, o perché non si è mai creduto nei tribunali americani, o perché crediamo ai testimoni oculari, o perché l'interpretazione di Denzel Washington è stata abbastanza convincente o semplicemente perché la canzone di Bob Dylan è stupenda), ma perché farlo passare come un candido Cristo redento a tutti i costi?
Oltre al forte dissidio interiore (a volte eccessivamente teatrale) che fratello Washington/Hurricane vive nella prima cella d'isolamento e due minuti verso la fine, cosa rimane delle infinite sfaccettature caratteriali di quell'uomo che per venir accusato così facilmente di omicidio non era certo uno stinco di santo?
Passi che questo film sia una sorta di tributo, omaggio riparatore dell'ingiustizia subita, ma perché non far sapere che Carter da piccolo era più che discolo, che non fu militare modello, che in prigione ci tornò per altri 4 anni a causa di crimini a lui riconosciuti e, soprattutto, che la sera dell'arresto ritrovarono delle armi nella sua auto?
Non si insinuano dubbi sull'innocenza del tornado nero, si discetta semplicemente sulle manchevolezze del film: fornire queste altre informazioni oltre a dare un lodevole tragico spessore al protagonista avrebbe reso senz'altro più credibile la controparte, ovvero la quasi caricaturale autorità giudiziaria corrotta.
Se il carattere e la storia del protagonista vengono accennate così malamente meno ancora per i rimanenti poco credibili antagonisti, su tutti il detective Della Pesca, il quale, più che un verosimile razzista figlio della sua cultura bigotta, pare la versione impossibile di Mefistofele. E pensare che nel 1958 con "The Touch Of Evil", Welles aveva già dettato le regole per giocare una grande partita sull'ambigua definizione dei personaggi, a pregio e riuscita di un eccellente film.
Ma non dimentichiamoci degli altri personaggi, come invece pare aver fatto lo sceneggiatore: Lesra/Vicellous Reon Shannon, il buon samaritano, anzi il buon Lazzaro; perché non calcare anche su questo personaggio? Perché non raccontare meglio la sua vicenda? Tutto sommato era l'unico vero personaggio su cui ci si poteva dilungare: ingenuo e speranzoso giovane.
Ancora, i tre canadesi della caritas, se togliamo loro le parole da catechisti, cosa rimane? Possiedono lo spessore di tre sagome in cartone alla mercè delle idee del ragazzino: perché costoro scelgono di aiutare Hurricane, e in particolar modo perché riescono dove altri, ben più famosi, avevano fallito? La loro credibilità si attesta solo con le reali testimonianze: pare siano realmente esistiti.
Saltando sui convenzionali ying e yang, quali il buon poliziotto americano bianco e il bravo carcerato fratello nero (nemmeno la pubblicità dei Ringo ha armonizzato così bene) ci accontentiamo di alcuni personaggi minori, in assoluto i più credibili del film, vale a dire il direttore del carcere, l'uomo che minaccia Hurricane e il giudice Sorokin.
Il primo è l'unico tramite il quale apprendiamo che l'ex-pugile non è vittima dell'odio personale di Della Pesca, ma rappresentata un personaggio scomodo su un piano d'interesse più ampio.
Il giudice, forse grazie anche all'espressività di Rod Steiger, è uno dei personaggi in versione filmica più riusciti: con austera diplomazia ci dona un personaggio coerente.
Infine arriviamo al vero protagonista della tragedia senza conclusione: John Artis/Garland Whitt: che fine fa questo povero diavolo?
Accusato ingiustamente come Carter, entra in prigione appena maggiorenne, condanna ancor più pesante, considerando che a nemmeno 18 anni uno inizia a vivere; perché per tutto il film nessuno lo considera, se non con un contentino del tipo "lui è il mio vero eroe"?
Ah, giusto, Bob Dylan non ha scritto una canzone per John, lui non avrebbe potuto diventare campione del mondo.
D'accordo, il titolo parla chiaro: è Hurricane l'indiscusso protagonista che, attraverso Denzel Washington, ci regala un nuovo eroe cinematografico da incensare al pari di William Wallace.
Lo dice anche la bionda canadese/Deborah Urter però: "Scommetto che anche Hurricane Carter è stato aiutato: nessuno ce la fa da solo".
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Recensione a cura di Aliena - aggiornata al 17/04/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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