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Il Casanova è Federico Fellini? Vale la pena chiedersi questo, visti i legami autobiografici che da sempre questo autore ha inserito nella sua opera, in maniera esplicita. Se lo aveste chiesto a lui all'epoca della produzione del film (1974-75) probabilmente vi avrebbe cacciato via infuriato. È strano il rapporto che ha legato Fellini a questa sua creatura: sin dal titolo si esplicita che questo Casanova non è un film biografico del "seduttore" veneziano, non segue la storia della sua vita né le duemila pagine di tomi che lo hanno reso famoso; al contrario, è la caricatura di Fellini sul Casanova, ovvero come in passato la Roma (titolo dell'omonimo film) era quella secondo Fellini cosi anche il Casanova è una sua proiezione sul personaggio di cui, inizialmente, sapeva praticamente poco o nulla se non i vari stereotipi sullo sciupafemmine impenitente.
Casanova invece nelle sue memorie, vale la pena ricordarlo, parlava pochissimo di conquiste femminili e più di vicissitudini avventurose: nella sua vita fece di tutto e diventò qualunque cosa, da evaso celebre a massone, da esorcista a giocatore d'azzardo.
Si deve a Laforgue, autore tanto ammirato e usato da Carmelo Bene, il revisionismo concentrato maggiormente sul lato seduttorio. Sta di fatto che Fellini covava in segreto la voglia di fare un film su questo personaggio da decenni, e quando ne ebbe la possibilità non se la fece sfuggire, tralasciando ancora una volta il "Mastorna" che si porterà dietro come uno spettro incompiuto e di cui potremo ritrovare le tracce in ogni suo film.
La gestazione del film fu travagliata: costi altissimi, screzi con il produttore De Laurentis prima con cui il progetto assumerà la forme embrionale, e Grimaldi poi con cui giungerà alla nascita, e in primis incomprensioni di Fellini con la sua stessa creatura. Fellini odiava visceralmente il Casanova. Cominciò a rendersene conto parlandone con i giornalisti in maniera feroce, criticandone i lati che lo avevano reso una sorta di prototipo del maschio italiano infantilmente legato ad un'idea di donna e di conquista e di frustrazioni sessuali. Un odio, quello verso il Casanova, esagerato tanto da scatenare un caso mondiale e curioso durante la lavorazione del film: un autore che si ribella contro il suo stesso personaggio. Fellini neanche lesse la storia della sua vita, ma non ne aveva bisogno; d'altronde aveva fatto un mediometraggio su Poe (Toby Dammit) magnifico senza bisogno di leggerlo. Eppure le ripercussioni cominciarono a farsi notare anche quando, una volta scelto l'attore che lo interpreterà, il regista sfogherà la sua rabbia verso di lui. Davvero una sorta di transfert psicologico in piena regola. Chiedendosi il perché di questo accanimento forse si possono scovare motivi, neanche a dirlo, autobiografici: si sa che Fellini criticava il maschio italiano cosi ansioso di conquiste femminili, ma il dongiovannismo affliggeva anche lui in maniera spaventosa viste le continue scappatelle dalla moglie, le relazioni, quasi l'ossessione per il femminile che assume toni spesso e volentieri grotteschi e mostruosi.
"Casanova di Federico Fellini" era, in fondo, una caricatura di quest'ultimo inconscia, come sottolinea il sempre puntuale Kezich. Ma Fellini se ne rese conto, forse, e alla fine riuscì ad entrare in contatto con l'anima di sé stesso e del Casanova, quasi "perdonandolo". D'altronde non si poteva fare un film cosi inizialmente, vero, caricaturale verso il protagonista, ma che poi assume via via connotati sempre più empatici e struggenti in profonda partecipazione con la sua solitudine.
La scelta di Donald Sutherland è stata un altro tocco di genio, oltre alla sceneggiatura di Fellini e Zapponi. Scartati Redford perché "troppo bello" e Volonté che chiedeva troppo, scartando perfino Sordi che si candidò al ruolo da solo, Fellini scelse questo attore che aveva già visto più volte in precedenza: un professionista mostruoso ma esteticamente lontano dalla bellezza cinematografica che un personaggio del genere si è portato dietro in ogni sua trasposizione. Durante la lavorazione non si lamentò mai, riuscendo a cogliere nel profondo e nell'essenza della sua interpretazione senza renderla troppo parodica o patetica, ma con mille sfaccettature. Eppure inizialmente Fellini lo trattava male, lo ignorava, sfogava su di lui le proprie frustrazioni nei confronti di un lato di sé stesso che non riusciva ad accettare.
Ma poi, col procedere della lavorazione, tutto si calmò e anzi i due si affezionarono. Anzi, i tre: Sutherland, Fellini e il Casanova.
Il ritratto che molti non hanno digerito dell'avventuriero veneziano è inizialmente quello più propriamente patetico, vanesio, grottesco, compulsivo: un uomo che dà spettacolo di sé nell'arte amatoria (in primis). Le scene di sesso sono volutamente volgari e grottesche, qualcosa di meccanico. La faccia sudata di Sutherland mentre stantuffa in maniera esagerata durante l'atto riflette più che piacere nient'altro che una prova verso se stesso nei confronti degli altri: ovvero l'essere considerato il migliore in quello che fa. Vediamo inizialmente questo Casanova felliniano attraversare le acque in tempesta (e in cartapesta) di una Venezia cosi finta e proprio per questo cosi vera, per andare ad un appuntamento con una "monaca". Sotto lo sguardo di un esterno (oltre al consueto spettatore del film...), il Casanova e la donna cominceranno una danza assurda di movimenti a mimare un atto sessuale. Tutto per compiacere quell'occhio che spia, per compiacere "l'altro" che però non è la donna ma un terzo, e infine per compiacere il Casanova stesso che si trova realizzato una volta fatto questo.
Come il suo uccello meccanico che usa per darsi il "ritmo", il Casanova è uno strumento meccanico, vuoto, un marchingegno. Nulla più.
Seguendo le sue disavventure si riscontrano avventure in primis sessuali, continue gare con se stesso e verso altri: dalla fuga dai Piombi alla "sfida" con Madame D'Urfé, ogni donna di qualunque età è vittima della sua innata voglia meccanica di sesso (esplicita la sequenza della "gara" di sesso). C'è però anche un certo lato omosessuale latente, probabilmente non mostrato a dovere se non in una scena tagliata facilmente reperibile, oppure nella scena con il gobbo Dubois e i cantanti in stile barocco. Lentamente poi qualcuna farà breccia nel cuore del Casanova, ma questi ne resterà abbandonato e dal cuore ancora più gelido (qui cominciano le avvisaglie di come Fellini riesca ad andare oltre il suo odio e ad entrare in contatto con questo personaggio). E ancora, rapporti impossibili come quello con la gigantessa con i due nani che la accudiscono (torna ancora il circo tanto caro a Fellini) e quello irrisolto con la madre nella scena stupenda (ma ce n'è una che non lo sia?) del teatro.
Il Casanova di Federico Fellini è un antieroe spezzato, non del tutto completo, irrealizzato. Nel finale della vecchiaia questo si comincia a capire con i rimpianti verso una vita piena di avvenimenti straordinari ma che non aveva comunque impedito di renderlo un vecchio ingiuriato e trattato come un servo. Ed è nel rapporto con la bambola meccanica che Fellini tocca uno dei suoi vertici artistici: inizialmente patetico, assume connotati sempre più struggenti. Il Casanova ha finalmente trovato la sua "donna"; come lui imperfetta, non vera, una bambola che ha tutte le caratteristiche (vuote) e meccaniche. Ma proprio per questo, specchio di una vita gettata al vento, piena di rimpianti. Si intravede fortissima la morte.
Nel finale il Casanova dice "Ho fatto un..." e siamo catapultati in una Venezia ghiacciata, deserta se non per spiriti passeggeri che hanno fatto parte della vita incompiuta del Casanova. Ci sono solo lui e la bambola. Danzano insieme, immobili entrambi, al ritmo di una nenia da carillon inventata da Nino Rota. Entrambi meccanismi cristallizzati in quell'attimo di sogno o morte, per sempre a girare in tondo, mentre scorrono le lacrime di un Casanova che sembra osservarsi. Il sogno è la morte.
"Il Casanova di Federico Fellini" non ha intenti romanzeschi; come il resto dell'opera del regista e come esplicitamente confermato da Fellini stesso, è un'opera pittorica. Alla sua uscita suscitò reazioni contrastanti, ma già qualcuno cominciò ad intravederne i tratti eccessivi e magnifici. Oggi, senza tante polemiche, si può dire che questo è forse il capolavoro dimenticato del cinema non solo italiano ma mondiale. Chi l'ha visto in maniera non distratta, andando oltre il grottesco del sesso e del protagonista, non è riuscito a non considerarlo un vertice assoluto dell'arte fellininana. Ed è cosi: è un capolavoro decadente, che sprizza imputridimento e morte da ogni lato, dietro un sogno non più felice eppure rassicurante che imbriglia in un ballo lento due bambole meccaniche che non sono mai esistite. E proprio per questo sono più vere del reale (il mare di cartapesta...).
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Recensione a cura di elio91 - aggiornata al 12/11/2012 15.20.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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