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Nella costiera californiana, vicino a Los Angeles, alle 7,19 di una mattina di tarda primavera del 1953, viene avvistato nell'atmosfera, da un centro radar della zona, un luminoso oggetto spaziale che viaggia alla velocità di 8.000 km all'ora, situato a 75.000 piedi di altezza.
L'Ufo utilizza un'energia di tipo magnetico, creando al suo passaggio forti disturbi radio e televisivi; si muove orizzontalmente, cosa che fa escludere l'ipotesi meteorite. I suoi cambi di direzione sono bruschi, improvvisi, tanto da far pensare all'assenza di un piano di volo, e vanno dall'Alaska al polo Nord, dall'equatore a Santa Monica e Vancouver, fino a giungere sul mare a 80 miglia dalla costa di Los Angeles, dove gli aerei della difesa militare arrivano velocemente, ma senza riuscire ad intercettarlo.
Quando tutto sembra terminato e la vita a Los Angeles riprende la sua normalità, le radio e le televisioni, situate in alcuni luoghi della zona, a turno vanno incontro a strani e forti disturbi del segnale, costringendo i gestori di rete a mandare nei punti critici pattuglie mobili con strumenti goniometrici in grado di individuare le sorgenti disturbanti.
Curiosamente, nei luoghi dove sorgono le interferenze, le pattuglie mobili dei gestori di rete finiscono sempre per incontrare quelle della polizia, che interviene per segnalazioni di omicidi o esplosioni. Ciò fa pensare che chi commette l'omicidio o innesca le esplosioni sia in qualche modo anche responsabile dei disturbi alle frequenze di rete.
Le ricerche e le testimonianze portano all'individuazione, in un capannone prossimo a una raffineria, di un essere strano, molto alto, simile a un palombaro, con tanto di casco e tuta. Sfuggito in precedenza a un guardiano, aveva anche appiccato il fuoco a due grossi serbatoi della raffineria.
Quando la strana creatura sta per essere presa, si rende invisibile, grazie alla sua conformazione molecolare a base di silicio, tipica del vetro; non prima però di aver lasciato in fretta, ben in vista su di un tavolo, il suo compromettente abbigliamento. I periti, esaminati con cura la tuta e il casco, deducono che le interferenze siano state causate dal tessuto della tuta, resistente al fuoco e al taglio con le forbici nonché altamente radioattivo. Da ciò prende sempre più corpo l'ipotesi che si sia in presenza di un extraterrestre proveniente da un'altra galassia.
L'essere invisibile segue in laboratorio le mosse del gruppo di scienziati per rimanere vicino al suo casco che gli consente, non visto, di respirare grazie ad alcune bombolette di metano situate al suo esterno. Ma lo scatto imprudente con flash da parte di un fotografo che sorprende l'extraterrestre con il copricapo protettivo addosso, terrorizzandolo, porterà alla distruzione del casco che cadrà rovinosamente a terra compromettendo seriamente la vita dell'extraterrestre. L'extraterrestre ormai disperato cerca di comunicare con i terrestri attraverso un codice vagamente simile a quello morse.
Riusciranno gli scienziati e la polizia a salvare l'ospite capitato accidentalmente, tranquillizzandolo del tutto sulle reali intenzioni dei terrestri e rendendolo utile per la ricerca scientifica?
Il regista di questo film, William Lee Wilder, è fratello del più famoso regista Billy Wilder. Lee era già noto a quei tempi per film come "Tre passi al nord", un giallo di produzione italiana girato nel 1949, e "Lo sfruttatore", un film drammatico americano, uscito nel 1950.
Con "Il fantasma dello spazio" del 1953 Lee Wilder tenta di entrare in competizione con le contemporanee e famose serie di qualità della fantascienza statunitense, che andavano affermandosi in tutto il mondo da tempo, come "La cosa da un altro mondo", "Ultimatum alla terra" (entrambi del 1951), riuscendo e a non sfigurare.
Il film suggestiona e colpisce con abilità consumata, mostrandoci situazioni che, pur al limite della credibilità, erano a quei tempi predilette dai produttori cinematografici, in quanto funzionavano da metafore evasive o conciliatrici rispetto a paure e ansie reali, in genere legate all'andamento storico, sociale e politico di quegli anni.
Il film quindi ci prospetta un alieno-schermo, che ci rispecchia sia nelle sembianze che in alcuni modi di comportarsi, con un atteggiamento completamente simile all'uomo più comune (quello che fa opinione), pur provenendo da un'altra lontana galassia del tutto incommensurabile con la nostra.
E' proprio un extraterrestre ben imparentato con noi! Con mani da lavoro come le nostre e attrezzature spaziali molto familiari, tanto che i passanti lo scambiano per un generico palombaro.
Si sa, gli anni '50 erano tempi in cui solo gli studenti in fisica, gli insegnanti, alcuni filosofi e scienziati prendevano sul serio lo sviluppo sempre più disincantato della scienza. Nei suoi metodi era diventata molto più astratta, chiudendo parecchie aspettative mitiche sull'immediato. Era una scienza sicuramente più aperta all'ignoto e interessata a nuovi oggetti di studio, lontani dall'immaginario popolare degli spettatori del cinema.
Quelli scientifici erano metodi di ricerca già in quel periodo complessi, ultra specializzati, depurati di ogni forma di filosofia positivista. Essi si presentavano come un sapere logico, innovativo che non poteva più avere sbocchi leggendari pratici, perché i suoi metodi erano del tutto slegati dagli ideali soggettivi, certi, che essa stessa inconsapevolmente aveva un tempo suscitato nelle masse, provocando così attese e speranze in gran parte andate deluse.
Una scienza che allora aveva attivato nelle masse proiezioni e identificazioni di ogni sorta sulle sue possibili miracolose applicazioni tecnologiche, in grado però solo in un sogno ad occhi aperti, in una suggestione quasi ideologizzata, di rendere protagonisti, facendoli uscire dall'anonimato, tantissime nuove persone.
L'universo era visto e paragonato a un gigantesco ventre materno, in grado di partorire mostri o misteri affascinanti, oppure capace di disegnare figure semialiene positive o negative di grande intelligenza e coerenza etica, che in qualche modo richiamavano, seppur indirettamente, questioni e mancanze tipicamente umane, terrestri.
Ma il film rimane ben saldo e fedele anche a un'idea di realtà facilmente riconoscibile, costruita a volte sul filo sociale del pregiudizio, quello ben noto nel quotidiano americano più consumistico e ideologicamente nazionalista-mitologico.
Un pregiudizio abituato all'errore di valutazione un po' razzista sull'altro straniero, che viene in seguito regolarmente rettificato attraverso il senso di colpa, finendo per chiedere una riparazione, una riabilitazione di sé e dell'altro offeso, attraverso il riconoscimento scientifico della sua importanza sociale come oggetto di studio.
L'alieno del film uccide per paura, insicurezza, travolto dall'ostilità che avverte. Egli è caduto accidentalmente con la sua astronave nel mare per una pura questione di ignoranza sulle forze fisiche di gravità del nostro pianeta, le cui leggi sono risultate del tutto incompatibili con quelle dell'energia magnetica che muove l'astronave, leggi fisiche forse un po' sottovalutate dall'alieno, che si è proteso imprudentemente in un mondo sconosciuto senza conoscerne prima le forme costitutive.
L'essere comunque si salva e giunge a riva, ma sulla spiaggia già frequentata nella tarda primavera da alcuni cittadini di Los Angeles, non incontra curiosità e solidarietà per il suo stato fisico e la provenienza, ma ostilità aprioristica, inconscia, non giustificata dai fatti reali, motivata solo da fantasmi psichici rivestiti di razzismo, colorati di xenofobia, che portano nella realtà l'americano medio di turno a cercare di colpire con un bastone l'alieno in quanto inguaribile nemico straniero.
Solo una donna scienziato cercherà e riuscirà a comunicare con l'alieno, anche se non capirà il suo linguaggio, perché nuovo e troppo difficile o non potrà percepire le frequenze particolari della sua voce, intese invece dal cane.
La donna infatti sembra quasi intuire la sofferenza dell'extraterrestre e sposta pertanto del tutto l'attenzione dal pericolo all'amore per l'ospite, generando in lui un'attesa preziosa per la salvezza della sua vita in pericolo.
Forse la donna americana tutto sommato si sente nel sociale ancora emarginata, per lo meno nel più profondo di sé; è in un certo senso subordinata e un po' schiava delle numerose nuove forme del maschilismo statunitense sviluppatesi in quel periodo.
Essa assume allora inconsciamente una femminilità trasgressiva, che la porta a non identificarsi più, del tutto, con il consumismo del mito americano e avverte nell'alieno, anche se solo per un attimo, la propria scomoda alienazione simile a quella dell'extraterrestre e riesce quindi a comunicare con la creatura alcuni aspetti umani fondamentali del suo sé.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 24/02/2011 10.58.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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