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Un film che rivisto a distanza di 36 anni mantiene tutto il fascino del thriller politico d'autore. La pellicola è tratta dal bellissimo libro inglese di Frederick Forsyth "The Day of the Jackal" pubblicato nel 1971 e divenuto in breve tempo un best seller di spionaggio.
L'Algeria ottiene l'indipendenza dalla Francia il 5 Luglio del 1962.
Questo importante fatto politico è l'esito storico di innumerevoli sanguinosi scontri tra i militari francesi e la popolazione algerina più indipendentista. Eventi tragici avvenuti tra la metà degli anni '50 e gli inizi del '60. Tra le lotte territoriali più famose ricordiamo la cosiddetta Battaglia di Algeri che vede nel 1956 l'entrata dei paracadutisti francesi ad Algeri per sedare la rivolta innescata dai terroristi musulmani.
L'indipendenza lascia però scontenti molti francesi. In particolare quelli che si erano insediati da anni nel territorio algerino e avevano acquisito e prodotto beni che rischiavano di perdere.
A un mese dall'indipendenza, nell'agosto del 1962, un commando capeggiato dal colonnello Bastien-Thiny, appartenente all'Organisation de l'armèe secrète (OAS), attenta alla vita di Charles De Gaulle.
Appostati sui bordi della strada, tre terroristi dell'OAS, al passaggio della macchina presidenziale, sparano con il mitra 143 proiettili in sette secondi. Solo un proiettile rischia di colpire il presidente, transitando a soli due centimetri di distanza dalla sua testa.
Il capo cattolico dei terroristi Bastien-Thimy verrà catturato e fucilato.
Il film al principio mostra le sequenze di questo attentato. La pellicola subito dopo, ispirandosi al nucleo narrativo del romanzo di Forsyth, narra in modo avvincente le vicende di un killer assoldato dall'OAS per compiere un nuovo attentato al presidente.
Il killer è molto abile, agisce in solitudine convinto che solo in quel modo si possono ingannare i servizi segreti francesi. E' un uomo biondo, sul metro e quarantacinque di altezza, pronto a uccidere senza esitazione. E' un esperto di arti marziali. Il suo soprannome è "lo sciacallo".
L'OAS capeggiata da Marc Rodin, per poter pagare al killer un milione di sterline, deve compiere una rapina alla banca di Grenoble.
L'identità del killer rimarrà sempre ignota. Agirà con nomi falsi, non si conoscerà mai il suo vero nome né la sua reale nazionalità.
Inizialmente opera con il nome falso di Charles Calthrop appartenente a un cittadino londinese derubato del suo passaporto.
Le parte più avvincente del film riguarda l'inseguimento a distanza del killer, tra l'Italia e la Francia. La caccia avviene sotto la direzione di un eccellente ispettore, Claude Lebel, che vive praticamente nel suo studio di polizia dove trasferisce le sue cose essenziali e ordina inizialmente in modo scherzoso una tonnellata di caffè.
Lebel vuole cercare di indovinare e prevedere tutte le mosse dell'avversario. L'ispettore aspetta la mossa falsa dello sciacallo, qualcosa che gli permetta non più di inseguirlo a distanza ma di acciuffarlo, di farlo prigioniero alla luce di fatti-reati provati.
La suspense delle scene di inseguimento tra i due è magistrale, forse unica nella storia del cinema. Zinnemann riesce a inchiodare lo spettatore alla poltrona grazie a una tensione costante, a volte addirittura esponenziale, comunque sempre sopra le righe in virtù dell'inserimento di ingredienti narrativi collaudati e sapientemente dosati.
Zinnemann è un ottimo tecnico, basti pensare alla straordinaria cura con cui descrive l'arma dell'attentato, i suoi proiettili, la struttura di sostegno, le forme che può assumere a seconda delle funzioni e delle esigenze del killer.
Di grande coerenza tecnica anche la scena in cui il sicario prova l'ama del delitto in un bosco: calibra con un cacciavite il cannocchiale con grande accuratezza e precisione finché riesce a centrare il bersaglio di una zucca. Il killer sa anche saldare e usare gli utensili, conosce a perfezione le procedure delle anagrafi comunali per l'ottenimento della carta di identità e certificati vari.
Zinnemann monta le scene in modo superlativo, con un tempo di risparmio straordinario, riuscendo a dire di più nello stesso intervallo temporale. Ne è un esempio questa tecnica: far entrare i protagonisti in una scena del film dove stanno per svolgersi colloqui importanti poi saltare scena e andare verso il finale dei colloqui mostrando solo la parte decisionale cui sono giunte le conversazioni. In questo modo si ottengono vantaggi di tempo che si possono dedicare a scene di descrizioni più funzionali all'estetica del racconto.
Molto avvincente anche la suspense nel finale. Ottima la musica e la coreografia della cerimonia a Parigi con De Gaulle che premia i partigiani. De Gaulle nel momento dell'assegnazione delle medaglie d'oro ad alcuni partigiani distintisi per meriti nella resistenza antifascista viene preso di mira dallo sciacallo.
Il killer è appostato su una finestra socchiusa situata in un appartamento dell'ultimo piano di un palazzo che dà sulla piazza della cerimonia.
L'ispettore Lebel, e il poliziotto che ha lasciato inconsapevolmente passare l'assassino, corrono in modo forsennato su per le scale per fermare l'omicida ed eventualmente ucciderlo. Riusciranno a salvare il Presidente senza altri spargimenti di sangue? Nessuno saprà mai chi fosse veramente lo sciacallo, la sua professionalità noir era talmente geniale che si era reso inesistente: sfuggiva a tutte le polizie del mondo.
Il film di Zinnemann ("Mezzogiorno di fuoco" - 1952, "Odissea tragica" - 1948, "Delitto al microscopio" - 1942) si svolge con un ritmo da grande cinema d'autore: per consentire una cucitura dei fatti più facile e salda, nonché fortemente comunicativa, il regista ha reso le scene essenziali e molto dinamiche.
Del romanzo di Frederick Forsyth il regista usa bene le idee e i fatti che il libro racchiude traducendoli in un linguaggio cinematografico sobrio che si avvale delle leggi narrative classiche del cinema. Queste ultime sono più strette di quelle della letteratura perché i pensieri introspettivi dei personaggi e i loro profili psicologici e culturali nel romanzo sono più profondi e ricchi di particolari. Ciò porta a scelte filmiche di scrittura selezionata, condizionate e legate al tempo breve del film rispetto al romanzo e allo spazio diegetico (narrativo) che il cinema può consentire nel suo affrontare un discorso letterario.
Da un punto di vista un po' più psicanalitico il film sembra sollevare la complessa questione dell'identità: da una parte, per quanto riguarda il senso della necessità del suo dissolvimento nell'azione criminosa, per sfuggire alla cattura e alla condanna sociale, e dall'altra per quel suo strano potere di coinvolgerci con un forte disagio, quando ne siamo insoddisfatti. La sua instabilità penetra a volte nella normale vita civile di tutti i giorni.
L'ambiguità che vogliamo mantenere in alcune parti della nostra identità, affinché si possa essere liberi di confrontarci e amarci con gli altri in modo più consono ad altri registri forse più inconsci (come certi desideri presenti nei sogni irrealizzabili respinti da tempo e che anelano in altre forme a una soddisfazione) forse ci crea un dispendio di energie teso a sistemare le nuove cose in altra identità e se non ci riusciamo ci procura delle ansie molto forti.
Fino a quando ci accontentiamo dell'identità che abbiamo? Quali sono le circostanze della vita lavorativa o di quella passionale che ci obbligano ad abbandonarla o a difenderla ancora più strenuamente? Perché ci descriviamo spesso con caratteristiche che non abbiamo ancora e che speriamo di raggiungere solo in futuro? E che peso hanno in certe scelte di riforma della nostra identità i desideri degli altri, con cui cerchiamo delle relazioni anche sapendo a volte che non si piace o che non siamo utili?
Il film di Zinnemann è anche una metafora amara della condizione umana. Un pensiero su quello che non riusciamo ad essere per soddisfare quelle esigenze sociali e individuali che richiedono identità multiple... in questo siamo un po' tutti a volte sciacalli e spesso poliziotti...
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 17/11/2010 10.30.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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